C’era un tempo in cui il carbone era l’unico, poderoso sostentamento per il progresso. Era il tempo in cui, dopo qualche secolo impiegato a conoscere e a domare la forza delle ‘pietre nere’, l’uomo cominciò a costruire grandi macchine in grado di produrre energia. Anzi, di estrarla da quel prezioso materiale che si formò, grazie al paziente incedere dei secoli e delle stagioni, nella pancia oscura della terra. Comignoli sui tetti delle fabbriche, comignoli sulle case, comignoli sulla schiena di grandi bastimenti che solcavano i mari più agitati e profondi del pianeta, comignoli sui nasi delle locomotive, potenti mostri meccanici i cui sbuffi di vapore, miracolosamente, annullavano distanze credute eterne.
Il mondo stava cambiando. Tutto accelerava, tutto cresceva. Ma per crescere e accelerare, serviva energia.
Le caldaie avevano fame di energia.
Una fame insaziabile. Una fame che avrebbe potuto placare solo il carbone. Non bastava quello fossile.
Troppo poco. E troppo lento il miracoloso processo chimico necessario a formarlo.
Ma gli uomini che ormai conoscevano le fondamentali leggi della materia, inventarono le carbonaie. Carbone vegetale. Energia prodotta dai rami e dagli arbusti che, sapientemente accatastati, lentamente bruciavano per giorni e notti, tramutandosi in ‘cibo’ per il progresso.
Dietro alle facciate delle sfavillanti botteghe cittadine, dietro agli affollati ingressi delle fabbriche, dietro alle rotaie luccicanti delle strade ferrate, dietro alle enormi eliche delle navi, si nascondeva il lavoro di migliaia di uomini e di donne il cui imprescindibile compito era ‘fabbricare’ e trasportare il carbone.
Loro, talvolta distanti miglia e miglia da quel progresso che alimentavano con il lavoro delle braccia e delle schiene, erano il primo anello di una lunga catena, un anello senza il quale le enormi caldaie del benessere, della scienza e della modernità, si sarebbero raffreddate e spente.
Nel centro del grande Mare Nostrum, sull’Isola, vivevano molti di loro. Si alzavano all’alba e si recavano tra le colline e le montagne della Sardegna, là dove la vegetazione era tanta e la terra fertile, là dove cresceva la materia prima per ottenere energia.
Il prodotto delle grandi carbonaie di Piscina Manna e Mont’e Sali, veniva poi faticosamente trasportato sino ai moli di Cala Bernardini, nel comprensorio di Pula. Esili bilancelle a vela latina attendevano ansiose l’arrivo del carico. I marinai carlofortini che reggevano il timone delle imbarcazioni, avevano il compito di trasportare “l’energia” ai grandi vascelli che attendevano al largo. E da lì alla terra ferma, scivolando sulle agitate acque del Mediterraneo. Nel Calendariu 2004 di Su Nuraghe, ritroverete una serie di immagini che raccontano questa storia. Una storia ancora una volta condivisa con il Piemonte e il Biellese dove, a chilometri di distanza, analoghi gesti ed analoghi riti venivano compiuti nelle fredde vallate intorno a Vallemosso.
Donne e carbone. Questo il titolo.
Come recupero di una memoria che scompare e come omaggio a quelle tante, tantissime donne, che lavorarono per anni producendo carbone e trasportandolo, sulle grandi ceste tenute in equilibrio sul capo, per garantire nuova linfa a quel progresso che, in gran parte, non ebbero occasione di toccare con mano.
Edoardo Tagliani