Alcune considerazioni del giovane socio (21 anni) Matteo Floris
Costruire un nuraghe fuori dalla Sardegna e a distanza di migliaia di anni? A Biella si può. Fino a qualche tempo fa in pochi avrebbero immaginato che ai piedi delle Alpi si sarebbe potuta realizzare un’opera simile, probabilmente unico caso esistente in Italia. Eppure, grazie alla collaborazione tra il Circolo Su Nuraghe e l’Amministrazione comunale di Biella, ci siamo riusciti. Per cogliere il senso di tale iniziativa è indispensabile non fermarsi ad un’analisi superficiale, che impedirebbe di capire le reali motivazioni che hanno portato a trapiantare il simbolo della millenaria storia sarda in una provincia piemontese, ma bisogna sforzarsi di andare un po’ più in profondità. Nuraghe Chervu (nome che deriva da quello del torrente biellese Cervo), è un simbolo di unità e un inno alla diversità, non un semplice capriccio folcloristico della numerosa comunità sarda di Biella.
L’idea di un monumento a forma di nuraghe, infatti, nasce innanzitutto per celebrare i novant’anni trascorsi dalla fine della Prima guerra mondiale, ultimo atto del travagliato percorso di unificazione del Paese, costruito con l’ingente sacrificio di sangue di centinaia di migliaia di uomini provenienti da ogni luogo d’Italia. E quale monumento può ricordare meglio tale sacrificio, se non quello che rappresenta il simbolo della regione che ha pagato con la più alta percentuale di richiamati alle armi? La Sardegna, infatti, mandò al fronte un soldato ogni nove abitanti e vi perse oltre 13mila dei suoi figli. La piccola Biella, invece, pianse ben 532 caduti, che l’opera intende ricordare insieme a tutte le oltre 650mila vittime italiane del conflitto.
La struttura stessa del nuraghe rappresenta bene l’immagine di un’Italia fatta di e dagli uomini. Uomini come pietre che, insignificanti se separate e disordinate, acquistano un senso soltanto se organizzate in una forma determinata. Questa forma abbiamo quindi deciso che sarebbe stata quella arcaica dei nuraghi, i megaliti più numerosi, conosciuti e tra i più imponenti d’Europa, che individuano una zona precisa, quella della Sardegna, che ha contribuito in modo determinante alla nascita dell’Italia moderna. La Repubblica di oggi, infatti, non è che il punto d’arrivo di un lungo percorso, iniziato proprio con il Regno di Sardegna e continuato, mutandosi, con il successivo Regno d’Italia. Questo da un punto di vista giuridico e politico, ma, cambiando prospettiva, c’è un altro sacrificio, oltre a quello dei soldati, che ha concorso in maniera determinante alla creazione della realtà odierna. Ed è quello degli emigrati, cioè di tutti coloro che sono stati costretti ad abbandonare la propria terra d’origine per trasferirsi nelle regioni settentrionali, dove con il proprio lavoro si sono trasformati per decenni nel vero motore dell’economia nazionale. Tutto ciò, e in particolare il valore della diversità e dell’immigrazione, Biella e i suoi abitanti lo conoscono bene ed è anche per questa ragione che hanno accolto positivamente l’idea di un nuraghe che – e per capirlo basta ritornare alla metafora delle pietre – diviene così anche un monumento dedicato a tutti gli emigrati.
Proprio questa sorta di “elogio delle diversità”, maggiormente significativo in un momento in cui lo straniero è sempre più inteso nell’accezione romana di nemico e non in quella greca di ospite, si ritrova costantemente in tutti gli aspetti legati al progetto. Diverse sono le pietre utilizzate per la sua realizzazione, provenienti da tante zone d’Italia. Diverso è il giardino che gradualmente nascerà intorno al nuraghe, un giardino mediterraneo che ha poco a che fare con le caratteristiche della flora alpina locale ma che indubbiamente va ad arricchirla. Diverso, infine, è stato anche il gruppo di lavoro che ha materialmente costruito il nuraghe, una squadra composta da un Piemontese, un Sardo, un Pugliese ed un Rumeno.
Il monumento, però, non guarda soltanto al passato e al presente, ma anche al futuro. Esso è infatti il frutto di un impegno partecipato che ha visto coinvolti oltre settecento studenti delle scuole locali, a partire da quelle elementari. Ai bambini e ai ragazzi è stato chiesto di realizzare un disegno legato proprio ai megaliti sardi e alle incisioni rupestri alpine e la loro risposta è andata ben oltre le più rosee aspettative. Domani saranno loro i “guardiani” del nuraghe e del giardino (che tra l’altro si arricchirà annualmente di una nuova pianta per ogni nuovo nato della comunità sarda) e sicuramente ricorderanno con piacere la prima volta che hanno contribuito attivamente a realizzare qualcosa per la propria città. Proprio quello delle nuove generazioni è stato il contributo più bello alla nascita del primo nuraghe “continentale”, simbolo di una civiltà millenaria che si attualizza nel messaggio indelebile di unità, fratellanza e pace.
Matteo Floris