A manu tenta, solidarietà tra cultura ebraica e cristiana

ballu a manu tentaA Biella, la Caritas ha raccolto 23.654,70 Euro – È stato consegnato a don Ferdinando Gallu il frutto della sottoscrizione Un Euro per Haiti, promossa dal Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe – Affisso in bacheca il resoconto della colletta.

La maggior parte dei sottoscrittori, versando offerte destinate a persone che non conoscono, hanno voluto rimanere anonimi; piccoli segni che, in qualche modo, rimandano al concetto ebraico di benevolenza, beneficenza, piuttosto che alla nozione cristiana di carità e compassione.
Alcuni comportamenti e vocaboli sardi rimandano al Giudaismo; in Sardegna, non a caso, il “venerdì” è detto “chenapura”, cena “purile”, senza lievito, azzimo come il pane preparato nel giorno di precetto ebraico.

Battista Saiu

Zedakà, carità nell’Ebraismo

nelle parole di Ludovica Pepe Diaz

Nell’Ebraismo fare l’elemosina è una azione doverosa e non facoltativa, poiché fa parte delle numerose mizvot che l’Ebreo è tenuto a fare nella sua vita ed, in particolare, in alcune circostanze (fra cui la festa di Purim o dell’Espiazione).
Inoltre si può notare come mentre la parola “carità” deriva da “caritas” cioè amore, benevolenza e quindi, secondo il principio di carità, si aiuta il prossimo provando per esso compassione, nella concezione ebraica la zedakà, derivando da zedak cioè giustizia, è semplicemente la cosa giusta da fare. Implica, cioè, alcune conseguenze: infatti l’Ebreo è obbligato a fare zedakà, indipendentemente dal fatto che nutra o meno sentimento di amore o compassione verso chi sta aiutando. Per esempio: se un mendicante si comporta in modo offensivo e quindi non provoca amore bensì, irritazione, vi è ugualmente l’obbligo di fargli zedakà.

Ecco in sintesi, le norme per la zedakà:

  • bisogna fare tutto quanto è possibile per non compromettere la dignità del bisognoso, si deve donare con volto cordiale senza mostrare la men che minima superiorità: l’atteggiamento con cui si dona è anche più importante di ciò che si dona;
  • sarebbe bene che né il donatore né il destinatario della zedakà si conoscessero, per evitare imbarazzo in caso di incontro casuale. Per tale motivo è incoraggiata l’istituzione di un bossolo in cui tutti, quindi anche il povero, mettano la loro offerta;
  • si può fare zedakà dando del lavoro o un prestito perché questo non è imbarazzante né umiliante. Meglio sarebbe non volere rimborso per il prestito, in questo caso però il beneficiario deve credere veramente che si tratta di un prestito, in modo da non compromettere la sua dignità;
  • anche il povero ha l’obbligo di dare zedakà in questo modo egli acquisisce maggior dignità;
  • c’è un chiaro ordine di priorità per quanto riguarda chi deve ricevere zedakà: per primi i familiari bisognosi, poi i vicini e, quindi, i concittadini. Però i poveri d’Israele e di Gerusalemme hanno una speciale priorità. Un ebreo ha l’obbligo di dare anche ai poveri non ebrei ed alle Istituzioni non ebraiche della sua città;
  • quando è possibile, è preferibile dare direttamente a una persona povera piuttosto che a un’Ente o Associazione, com’è preferibile dare piccole quantità di zedakà ogni giorno piuttosto che una soma grande di volta in volta, anche se le cifre sono le stesse, perché ogni atto di zedakà è una mitzvà in sé;
  • si dovrebbe dare in zedakà il 20% del proprio reddito.

Zedakà = Atto di giustizia equilibratrice o elemosina.
Mitzvot (pl.di mitzva) = Azioni giuste dovute a Dio.
Mitzvà (s. di mitzvot) = Azione giusta dovuta a Dio.


Nell’immagine: Lodè, ballu “a manu tenta”.

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