Accabadora, misteriosa e pietosa antica madre

Premio Campiello 2010 a Michela Murgia, premio alla letteratura sarda ed italiana Scrittori che contribuiscono ad arricchire il patrimonio letterario dell’Italia intera dando mostra a lettori nazionali e stranieri di una fertile “fantasia identitaria“.

mazzocca
Sa mazzocca de s'accabadora custodita a Narcao (CI) da Mario Bullegas

Sabato 4 Settembre, a compimento di un percorso che l’ha vista fare incetta di riconoscimenti in giro per l’Italia, partendo dal Premio Dessì di Villacidro (VS) nel 2009, a quelli del 2010 di Mondello (PA), Cuneo (CN) ed Alassio (SV), Michela Murgia ha vinto nettamente la 48° Edizione del Premio Campiello, diventando, così, sia la quarta donna, sia il secondo autore nato in Sardegna a ricevere il prestigioso riconoscimento letterario negli ultimi anni, facendo così seguito all’exploit di Salvatore Niffoi nel Concorso del 2006 con l’opera “La vedova scalza“.
La competizione, coinvolgente scrittori del calibro di Lerner, Pennacchi, Carofiglio e Pariani, ha visto il prevalere del romanzo “Accabadora“, edito da Einaudi, storia di una donna sarda che, oltre al mestiere ufficiale di sarta, “aiuta a morire” i malati terminali come una misteriosa e pietosa antica madre.
Bruno Vespa, presentatore della serata di premiazione, ripresa in diretta televisiva da Raiuno, ha commentato l’evento dicendo che «nella gara tra il giallo, la memoria e la fantasia, ha prevalso la fantasia1», riconoscendo, così, solo al libro “Scintille” di Gad Lerner, dedicato alla storia della famiglia dell’autore, un esplicito sguardo rivolto al passato ed alle radici personali. Similmente sembrano comportarsi altri commentatori della vittoria e dell’opera della scrittrice di Cabras (OR), anche sardi, proprio in relazione alla figura di s’accabadora. Tra costoro è possibile rintracciare chi, da una parte, sembra non voler affrontare un tema tabù come quello dell’eutanasia, chi dall’altra pare rifiutare l’accettazione della sopravvivenza di aspetti ancestrali nella cultura isolana, anche solo a livello ipotetico2.
Di lato, poi, sussistono coloro che non ritengono abbastanza “sarda” la trama del romanzo in quanto collocata in una sorta di mito “senza tempo”, a-storica, irrealistica e non fedele ad un’immagine tradizionale della realtà isolana. Una critica-stereotipo, quest’ultima, estesa ad altri scrittori che in passato hanno fatto della Sardegna una sorta di “novella Atene“, quali Grazia Deledda, prima vincitrice italiana del Premio Nobel per la Letteratura, Emilio Lussu, capace di descrivere in modo asettico la tragedia della guerra in trincea con “Un anno sull’altipiano“, o Salvatore Satta, che nel suo celeberrimo “Il giorno del giudizio” descrisse un quadro affascinante sulle origini della famiglia e della città d’origine. Un parere refrattario che Gavino Ledda, quando pubblicò “Padre padrone“, incontrò a contrario, quasi “reo” di aver rivelato il segreto di una certa realtà storico-culturale dell’entroterra isolano.
Il lettore più arguto potrebbe chiedersi se tali opinioni, talora ostili, non possano estendersi ad altri autori contemporanei dell’Isola: si pensi, solo a titolo di esempio, al citato Salvatore Niffoi, narratore suggestivo ma capace di far conoscere al grande pubblico, anche d’oltre confine, espressioni e parole della Lingua Sarda; a Marcello Fois, tradotto in più lingue, capace di romanzare nuclei di storia ed utilizzare uno stile nel quale l’astrazione convive con il pensiero più elementare3; a Flavio Soriga, giovane autore eclettico che, come coglibile dalla lettura del suo Sardinia blues, non parla dell’Isola della Costa Smeralda né di quella della Barbagia, parla di persone che, come lui, si sono affacciate o guardano verso il mare aperto, alla realtà dinamica del mondo contemporaneo. Ed ancora molti altri scrittori sardi contemporanei, alcuni dei quali noti all’estero, a questo punto potrebbero essere oggetto di critica.
Ogni scrittore propone un proprio mondo fatto di storie immaginate e di esperienze vissute o sentite narrare, con uno stile personale e l’uso di parole ed espressioni che ne danno una particolare e distinguibile identificazione. Dibattere sul che cosa sia “sardo” e su quanto non sia tale nel campo dello “scrivere” è, come ha ricordato in un recente libello4 Milena Agus, altra nota scrittrice isolana contemporanea, un «non senso». Ogni autore che sia nato, che abbia origine o che viva in Sardegna parla di una propria Isola, terra nella sua integrità separata dal mare, le cui diverse zone e parti narrate «sono vere tutte […] e, nella diversità dei codici e della cultura, ugualmente affascinanti se lo scrittore ne coglie il senso profondo. E comunque unite5 …». Scrittori, quindi, che uniscono non solo la loro Regione d’origine, ma l’Italia intera, contribuendo ad arricchirne il patrimonio letterario e dando mostra ai lettori nazionali e stranieri di una fertile “fantasia identitaria“.

Filomena Cuccuru,
Biella

  1. Cfr. M.Lomonaco, Premio Campiello: vince Michela Murgia, in www.ansa.it. []
  2. Cfr. D.Turchi, Il culto dei morti nel passato e la funzione de “s’accabadora”, in D.Turchi e A.C. “A Cuncordia” – a cura di, Il culto dei morti in Sardegna e nel bacino del Mediterraneo, IRIS, Oliena, 2008, pp.12-17. []
  3. Cfr. la terza pagina di sopracoperta di M.Fois, Memoria del vuoto, Einaudi, Torino, 2006. []
  4. Cfr. M.Agus, Perché scrivere, Nottetempo, Roma, 2007, pp. 13-15. []
  5. Cfr. M.Agus, cit., p. 15. []

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