Anche gli uccelli volano in alto, ma tornano a terra per nidificare e vivere – amplificare il nostro linguaggio con la loro presenza e le loro abitudini.
Il dottor Battista Saiu mi ha consegnato una lista di animali da esaminare e possibilmente commentare. Ma alcuni di questi volatili nemmeno li conosco, come non conoscevo i loro nomi in sardo, per non parlare di quello scientifico. Una lettura difficile e misteriosa. Che cosa dovevo fare? Allora mi sono avventurato in un’indagine etimologica e semantica (una mia antica passione maniacale, purtroppo interrotta da alcuni lustri per mancanza di tempo: la vita condizionata da troppi impegni).
Approfittando di qualche momento disponibile, ho cominciato a rispolverare vecchi volumi ammassati nella mia biblioteca e a sfogliare pagine ormai desuete. La compiutezza è rara, infatti non tutto è stato reperito. Ma la sorpresa sostanziale è stata quella di avere scoperto che circa 2000 anni fa alcuni autori latini conoscevano già questi animali e li citavano nelle loro opere. Una bella soddisfazione. “Nulla die sine linea“, diceva qualche nostro antenato. Nessun giorno senza un piccolo progresso. C’è sempre da imparare. Il nostro idioma ricomincia così a suscitare molto interesse: riemerge come attrazione fatale. E poi, con lo sfiorire dell’età, la ricerca, anche se solo curiosa, è vantaggiosa: impegna molto la memoria che altrimenti “minuitur nisi ea exerceatur“. Certo si scende dallo “spirito animale” (Dante, Vita nuova) alla curiosità animalesca. Ma anche così la senilità diventa vitalità.
La nostra lingua sarda è quindi un grande valore che non invecchia, ma ci accompagna e ci coinvolge sempre, floridi e orgogliosi. Ad multos annos, dunque, ma non in riferimento all’eternità che riguarda un’altra dimensione (speranza o sogno). È preferibile l’immanenza, per ora (siamo ancora terreni), per non rischiare di trovare in excelsis una incomprensibile babele. Meglio il sardo, attuale e vivace edonismo.
Del resto anche gli uccelli volano in alto, ma tornano a terra per nidificare e vivere, e fanno amplificare il nostro linguaggio con la loro presenza e le loro abitudini.
Giuseppe Onnis
Airone cinerino (Ardea cinerea): nome sardo: Currulìu, tzurrulìu, tzurrulinu. Lat. Ardea – ae, Virgilio “Georgica”. In sardo solite voci onomatopeiche.
Astore (Accipiter gentilis): nome sardo: Astore, astori, stori. Il sardo deriva da astor, provenzale di origine latina. Accipiter si trova in Plinio e anche in Lucrezio, “De rerum natura”, col significato di sparviero, falco, avvoltoio.
Barbagianni (Tyto alba): nome sardo: Iltrìa, istrìa, istriga, istrullu. I termini sardi derivano dal lat. “striga”, cioè strega. Barbagianni = zio Gianni è un regionalismo.
Chiurlo (Numenius arquata): nome sardo: Ciurlu. In Wagner (DES) troviamo Kurrulìu o tsurrulìu (anche in Lepori)/ Nomi di vari uccelli della famiglia dei trampolieri, tutti imitativi, riferiti al loro verso. Ciurlu potrebbe derivare dall’italiano (Chiurlo), dal romanesco, dal pisano (ciurlotto), dal piemontese (ciurlì); ma anche dallo spagnolo: “chorlito”.
Cinciallegra (Parus major): nome sardo: Maligalina. Termini non reperibili. In sardo antico c’era “Frabu”, a Oschiri, frailadzu (= ardzu). Altri termini: akkuttsaverru (anche arrotino). Tzerri tzerri si trova nel “Diz. It. Sardo Camp.” di Lepori.
Civetta (Athene noctua): nome sardo: cucumèa, cucumiàu, cucumèu. Si tratta di un uccello notturno, come attesta il nome scientifico. Infatti viene citato così da Cicerone: “Athenas noctua mittere”, cioè mandare nottole ad Atene (=fare un lavoro superfluo). In sardo e in italiano sono voci onomatopeiche: cucu…m, cucu…m. In italiano: ci…v, col senso del richiamo.
Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus): nome sardo: cunillu, conigliu, cuniggiu. Non trovato il significato del primo termine scientifico. Cuniculus invece è latino, citato, tra l’altro, da Catullo: “Carmina”, e da Varrone: “Res rusticae”. Il sardo che non può derivare dal latino per la nota regola fonetica, risale al catalano “cunill” o all’italiano “coniglio”.
Fringuello (Fringilla coelebs): nome sardo: Alipinta (Nuoro), arabintu (Milis), papadrigu, aliàlza. (Santulussurgiu). Fringuello deriva dal lat. fring(u)illa, ancora citato da Varrone. Coelebs, lat., celibe, scapolo: forse perché ama la solitudine di stare in gabbia. I termini sardi sono connessi alle sue abitudini e ai colori delle sue piume. Papadrigu (perdasde fogu) perché si nutre di cereali. Alipinta (Nuoro), per le ali nere attraversate da due fasce bianche.
Gheppio (Falco tinnunculus): nome sardo: Futibbentu, atilibbriu, tilibriu. In italiano, dal tardo latino, ma il termine è di origine greca: “Ayghipiòs”. Anche falco è del tardo latino, mentre “tinnunculus” viene citato sempre da Plinio. I termini logudoresi atilibbriu e tilibriu sono voci onomatopeiche dovute al grido dell’uccello. Futibbentu è un’interpretazione popolare: “se ne infischia del vento”.
Ghiandaia (Garrulus glandarius): nome sardo: pica, piga, mariapica, marrapiga, melapica. Nome scientifico: uccello canterino che frequenta le querce. Lat. “pica” (che è anche la gazza) citato da Ovidio, “Methamorphoses” e da Plinio il Vecchio, “Naturalis historia”. Piga (log. e camp.) deriva quindi direttamente dal latino con l’occlusiva sorda intervocalica che diventa sonora. In termini composti sono forme popolari che mostrano, secondo Wagner, l’influenza di màlu e di Maria, mentre marra può essere un elemento preromano.
Gruccione (Merops apiaster): nome sardo: Abiargiu, abiòi, moimoi, miargiu. Merops, in greco uccello. Apiaster, una voce latina: “perché si nutre soprattutto di vespe e di api”. Abioi, abiolu: dal lat. apis. Abiargiu, dal lat. apiarium: che si riferisce alle api. In alcune zone, Siniscola, Nuoro, Dorgali: Moyu (alveare) dal lat. modius, moggio.
Merlo (Turdus merula): nome sardo: merula, meurra. Binomio scientifico comprensibile. In italiano deriva dal lat. volgare: “merulus”; in sardo dal lat. classico: “merula”. Log. esattamente dal latino: merula; come il camp. meurra, con il cambiamento di accento.
Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major): nome sardo: Tocadorza, bicalinna, picalinna. Il significato sembra legato all’etimologia in tutte le voci. Sia il binomio scientifico: dendron, in greco albero; copus, forse da colpus, latino medievale. Sia le voci sarde: tocadorza, log. e picalinna, camp. (che batte i tronchi degli alberi). Sia l’italiano: picchio, lat. volgare piculum, diminutivo del lat. classico “picus”, per il becco lungo e forte, atto a forare il legno e la corteccia degli alberi per catturare gli insetti e per costruire il nido.
Poiana (Buteo buteo): nome sardo: Zuaddia, Stori, Stori leporargiu. Il doppio nome scientifico ricalca il latino del solito Plinio. L’italiano deriva dal lat. volg. “pulliana”. Stori deriva dal provenzale “astor”, e questo dal lat. “acceptor – oris”. La voce “leporargiu” dal lat. “leporarium” (= covo delle lepri, per l’abitudine della poiana di cercarvi nutrimento). Zuaddìa, tsueddìa, tsurulìa: voci onomatopeiche, in cui però si potrebbe anche nascondere il nome preromano dell’uccello. Per Wagner esiste anche il termine “tappayu”, un regionalismo. Suffismo –ayu dal toscano, in relazione con “attappare”, perché la poiana si lancerebbe sulle prede, come fanno gli uccelli rapaci.
Scricciolo (Troglodytes, troglodytes): nome sardo: cherri, chidi, muschiata, pisirica. Il nome scientifico potrebbe essere legato alle abitudini dell’uccello di segregarsi in caverne e luoghi isolati. Il nome sardo è onomatopeico: cherri in camp. per il grido dell’uccello: muschitta in log. a causa della sua piccolezza: pisirica: allusiva oltre alla piccolezza, al pisciare (Wagner).
Upupa (Upupa epops): nome sardo: Mariapupùsa, pubùsa, pupusa, pupusacandìa, pupuxa. Upupa, lat., termine citato da Varrone (“De lingua latina”) e da Plinio il Vecchio (“Naturalis historia”). Epops (=upupa), sempre lat., viene citato da Ovidio in “Methamorphoses”. I termini sardi derivano dal latino, ma l’origine è onomatopeica.
Volpe (Vulpes vulpes): nome sardo: Mariane, grodhe, maciòni, margiane, marxani. Il nome scientifico latino “vulpes” viene citato da Plauto: “Miles gloriosus”, da Varrone: “Res rusticae”, da Fedro: “Fabulae” e da Svetonio: “De vita Caesarum, Vespasianus”. C’è anche un proverbio che il sardo poi tradurrà: “Vulpem pilum mutare, non mores”. Il termine mariane (e simili) può derivare da nome di persona tanto frequente in documenti antichi. Molti “giudici” si chiamavano Mariano. E viene usato spesso senza articolo: “Mariane perdet su pilu, ma non sas trassa” (come sopra). Log. macioni; mattzane da mattza, mattzu, alludendo alla coda fornita dalla volpe. Grodhe è probabilmente preromano (Wagner): = astuto.
Nell’immagine: l’airone.