Donare implica condividere, non tenere solo per sé – dare, donare, mettere a disposizione degli altri, con generosità, le ricchezze possedute – solo con un’attenzione oltre le proprie mura di casa è possibile vivere ed appartenere alla comunità
Il chicco di grano è uno dei simboli più presenti e pregnanti nella storia delle religioni e delle società. Esso richiama il ciclo della vita, la fertilità della terra ed il cibo, in quanto elemento base per la produzione alimentare. Per queste sue caratteristiche è stato utilizzato iconograficamente in vari culti pre-cristiani di matrice agro-pastorale1 e, non a caso, si ritrova anche all’interno della Bibbia, nel Nuovo Testamento. Il Vangelo di Giovanni, infatti, al Cap. XII, 24-25, propone a riguardo le seguenti parole: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la propria vita la perde, e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna».
Il passo neo-testamentario introduce il lettore al tema della sequela di Cristo ed, in particolare, all’azione di donare. A tale proposito nel dizionario Devoto-Oli2 è reperibile al lemma “Donare” il seguente significato ordinario: “dare con assoluta spontaneità, liberalità, disinteresse; rifl. attendere con amore e con impegno a qualcosa, dedicarsi“. L’azione indicata dal citato verbo si sostanzia nel passaggio di proprietà di un bene da un soggetto ad un altro senza una compensazione necessariamente diretta di natura commerciale.
Per M. Mauss3 il meccanismo del dono si articola in tre momenti fondamentali basati sul principio della reciprocità, ossia “dare – ricevere – ricambiare“, sebbene in un’ottica di forte libertà4, dal momento che il relativo obbligo, se come tale esso può essere definito, è di natura morale, senza garanzie di un ritorno per il donatore, assenza che presuppone, tuttavia, una certa fiducia nel prossimo. Il dono, quindi, può comportare spesso un’aspettativa di reciprocità, un ritorno almeno in termini di prestigio, sebbene ciò non sempre alla fine si realizzi.
Altre volte il tutto può essere mosso da una finalità meno materiale, ossia da una gioia interiore nel rendere l’altro più felice o meno triste: in tal caso il “donare” assume un significato particolare, consistente in un “altruismo“, ossia in quella qualità morale per la quale prevale l’interesse per il benessere dei propri simili, che può esistere tra pari, in forma di collaborazione per un mutuo vantaggio, o può presentare una struttura gerarchica, come nel caso dei genitori verso i figli. Tuttavia di frequente viene considerato vero altruismo solo un amore per il prossimo disinteressato, che non si basa sullo schema dello scambio sotteso al principio sinallagmatico latino del «do ut des».
In ogni caso, quindi, il concetto di dono porta in sé l’idea della relazione, la creazione di rapporti umani, presupponendo, così, un valore, una dignità insita nel soggetto destinatario che, specie nell’ottica cattolica, nel caso dell’essere umano, è sempre e comunque presente, a prescindere dall’etnia, dalle origini, dalla salute, dalla capacità economica e dalla cultura dell’individuo coinvolto: Simone Weil, a tale proposito, riteneva che la più grande grazia fosse di sapere che gli altri esistono5. Il termine dono, tra l’altro, può indicare anche un particolare talento o abilità della persona, innata o che, comunque, può essere appresa in modo semplice e spontaneo: in tale caso “dono” è sinonimo di “dote” ricevuta sin dalla nascita da parte di Dio o della Natura.
Donare implica anche il “condividere“, il “non tenere solo per sé” quanto si possiede, il “dare“, il “donare“, il mettere a disposizione degli altri, con generosità, quelle ricchezze possedute, anche perché solo con un’attenzione oltre le proprie “mura di casa” è possibile realmente vivere ed appartenere alla grande comunità di vita, così come menzionato negli Atti degli Apostoli, laddove, al Cap. XX, 35, si afferma che «Si è più beati nel dare che nel ricevere». Il Nuovo Testamento ben evidenzia il “vivere insieme“, la koinonía nella quale la messa in comune della vita, dei beni e dei talenti era uno dei caratteri costitutivi ed, al tempo, distintivi delle comunità dei primi Cristiani del I Secolo d.C. Sempre negli Atti degli Apostoli il concetto viene ribadito in ben due celebri passi (Capp. II, 42-45; IV, 32-35) ed è stato oggetto nel corso del tempo delle più svariate interpretazioni teologiche, sociali e politiche6. A ben vedere il racconto biblico non esprime un’episodica scelta, ma un vero e proprio stile di vita identitario della comunità dei discepoli, una forma vitae nella quale la logica della comunione plasma lo spirito e l’azione del singolo onde evitare negli altri una situazione di bisogno ed indigenza, secondo quanto la stessa Legge Ebraica aveva prescritto secoli prima nel Libro del Deuteronomio (Cap., XV, 4). Si tratta di un condotta di vita mossa dall’amore gratuito, un modus agendi che non può limitarsi ad un mero attivismo, perché altrimenti si cadrebbe in un egoismo, in quello che «…è il vostro cattivo amore di voi stessi. Vi rifugiate presso il prossimo via da voi stessi e di questo vorreste fare una virtù …»7. Il condividere le proprie ricchezze, in primis il proprio tempo, con generosità e gratuità, significa essere come “covoni di grano“, strumenti verso i quali l’amore «… vi accoglie in sé. Vi batte finché non sarete spogli. Vi staccia per liberarvi dai gusci. Vi macina per farvi neve. Vi lavora come pasta fin quando non siate cedevoli. E vi affida alla sua sacra fiamma perché siate il pane sacro della mensa di Dio …»8.
Donarsi è condividere, quindi, è diventare col proprio contributo strumento di un qualcosa più grande dei singoli soggetti partecipi, parte di una dinamica nella quale: «… attraverso le loro mani Dio parla, e attraverso i loro occhi sorride alla terra …»9, realtà non sempre percepita nella sua valenza da chi ne è coinvolto, in quanto viene a determinarsi quel circolo virtuoso nel quale “l’amore genera amore“, poiché quanto di bene fatto per gli altri, nel mistero escatologico, viene fatto a Cristo stesso (Vangelo di Matteo, XXV, 40). Citando – in conclusione – un intellettuale del Novecento di formazione multiculturale: «… È bene dare quando ci chiedono, ma è meglio comprendere e dare quando niente ci viene chiesto. Per chi è generoso, cercare il povero è gioia più grande che dare. E quale ricchezza vorreste serbare? Tutto quanto possedete un giorno sarà dato… perché serbare è perire… siate prima voi stessi degni di essere colui che dà e allo stesso tempo uno strumento del dare. Poiché in verità è la vita che dà alla vita, mentre voi, che vi stimate donatori, non siete che testimoni…»10.
Gianni Cilloco
Nell’immagine: Biella, Nuraghe Chervu, benedizione con il grano.
- Cfr. J.Chevalier e A.Gheerbrant, Dizionario dei simboli, BUR, Milano, 2008, voce “grano“ [↩]
- Cfr. G.Devoto e G.C.Oli, Il dizionario della lingua italiana, Le Monnier, Firenze, 1990 [↩]
- Cfr. Saggio sul dono. Forma e motivo dello scambio nelle società arcaiche, Einaudi, 2002 [↩]
- Cfr. E.Bianchi, “Nessuno tra loro era bisognoso“, Ed. Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano, 2005, pp. 9-10 [↩]
- Cfr. O.Clément, Le feste cristiane, Ed. Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano, 2000, p. 92 [↩]
- Cfr. E.Bianchi, cit., p. 4 [↩]
- Cfr. F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra, Mondadori, Milano, 1998, p. 53 [↩]
- Cfr. K.Gibran, Il profeta, I edizione I Miti Poesia Mondadori, Milano, 1998, p. 12 [↩]
- Cfr. K.Gibran, cit., p. 16 [↩]
- Cfr. K.Gibran, cit., pp. 16-18 [↩]