Simulacri vegetali tra specchi, santi e animali sacrificali

processione matarille
Maglione (Torino), processione delle matarille aperta dagli spadonari di Venaus

Le figurazioni simboliche presenti nell’iconografia plastica paleo-cristiana sono state un magnifico mezzo di catechesi per generazione di fedeli (Danielou, 1961). La Chiesa ha accolto le immagini simboliche in quanto «il simbolismo ha una funzione reale ed importante nella liturgia, e bisogna tenerne conto per spiegare non poche cerimonie o gesti rituali tuttora in vita, e per darsi ragione di certi testi liturgici e di taluni accostamenti apparentemente strani, ma che trovano una chiara quanto inaspettata spiegazione alla luce del raffinato simbolismo inteso e descritto dagli scrittori ed artisti medioevali» (Righetti, 1969, I, p. 73).
Sui simulacri arborei portati in processione nel Canavese – a Bollengo (Torino), a Borgofranco d’Ivrea (Torino), a Maglione (Torino) – per le feste dei santi patroni vengono affisse alcune immagini sacre, raffiguranti la Madonna Addolorata e il Sacro Cuore di Gesù, associate, a seconda dei paesi, alle figure di santi particolarmente venerati: a Borgofranco, Santa Lucia e Santa Rita, a Bollengo, numerose immagini che di anno in anno aumentano di numero. Le “matarille” di Maglione – simulacri arborei portati in testa durante la processione del santo patrono – si presentano particolarmente interessanti per la costante presenza della figurazione simbolica dell’agnello associato a San Giovanni Battista, vestito di pelle ovina, con l’agnus Dei in braccio, l’Agnello mistico (Testa, 1962, pp. 1-40), simbolo biblico per eccellenza di Cristo-Redentore.
Il Buon Pastore, raffigurato con cappello a tesa da pellegrino, porta sulle spalle la pecora traviata da riaccompagnare all’ovile.
Incuriosisce il contrassegno agiografico relativo ad un episodio tratto dalla vita di sant’Agnese, raffigurata coll’agnellino in braccio, secondo quanto riferito nella sua passio tramandata dalla Legenda aurea . (Da Varazze, 1995, pp. 140-144). Interessante appare il gioco di parole latine che associava Agnese all’Agnus, l’agnello anch’esso immacolato e puro: «per questo in arte fu poi rappresentata con un agnello, in associazione o in alternativa a una palma da martire. Dai mosaici del VI secolo di Sant’Apollinare Nuovo di Ravenna in poi, l’agnello divenne il suo simbolo principale, e si arrivò anche alla sua associazione con la lana di agnello utilizzata per il pallium episcopale. Nella ricorrenza annuale due agnelli bianchi vengono portati in Sant’Agnese fuori le mura, per essere offerti al santuario, mentre il coro canta l’antifona Stans a dextris ejus agnus nive candidior (“Alla sua destra sta un agnello più bianco della neve”). I due animali vengono poi benedetti, fatti uscire e accuditi fino al tempo della tosatura; le suore del convento di Sant’Agnese tessono con la lana i pallia, che tutte le vigilie della festa di SS. Pietro e Paolo (29 giugno) sono posti sull’altare della Confessione di S. Pietro, per poi essere inviati “dal corpo di Pietro benedetto” agli arcivescovi di tutto il mondo, a ricordo che la loro autorità è legata alla loro comunione con la Santa Sede» (Butler, 2001, p. 89).
Nella reiterata presenza della figura dell’agnello, vittima sacrificale per antonomasia, nell’indicare il sacrificio redentore di Gesù Cristo, pare di intravvedere, quasi in filigrana, una sorta di passaggio dal cruento sacrificio animale a quello vegetale, di cui matarille, axent o atsènt che dir si voglia, sarebbero l’immagine plastica percepibile esteriormente. Una prospettiva ermeneutica che ci permetterebbe di leggere altri riti con vegetali e animali, quali la diffusa “benedizione delle erbe” e la più inconsueta «benedizione degli agnelli1».
Inoltre, sui simulacri arborei maglionesi sono presenti gli specchi, tracce significative di cultualità arcaiche. Ciascuna matarilla è ornata di specchi ovali e rotondi, di diverse dimensioni. I primi, più grandi, alternati con le immagini dei Santi, sono posti alla base; quelli piccoli e tondi, sono posizionati in cima al simulacro. Si tratta di specchi simili a quelli che si riscontrano sui buschet, appesi a fronde verdi, solitamente conifere, sistemate sulle corna delle vacche durante la transumanza che si effettua tra Piemonte e Valle d’Aosta. Per “l’inarpa” e per “la desarpa”, la salita e la discesa dagli alpeggi, sulle corna della capobranco, la “Regina delle corna” e della “Regina del latte”, vengono legati i buschet, decorati con nastri rossi o bianchi, a seconda dell’animale, adornati di specchi. Le mucche vengono agghindate anche con elaborati collari sui quali appendere grandi campanacci di ferro, di ottone o di bronzo. Sovente si tratta delle preziose Chamonix2 il cui suono permette di “intonare il gregge” in armonici accordi; dal suono, il pastore è in grado di individuare le sue bestie3.
Specchi, ma di forma quadrata li ritroviamo, ancora, nell’abbigliamento di “Lou Turc”, caratteristica figura della “Beò di Blins”, il Carnevale di Bellino che si svolge in Val Varaita in provincia di Cuneo, con cadenza triennale. “Lou Turc”, è un personaggio vestito di pelliccia, che porta sonagli alla cintura ed in testa un copricapo quadrangolare ornato di specchi in ciascuna delle quattro facce. La figura ricorda quella del “selvaggio” nella versione dell’infedele. Quando il corteo del carnevale si avvicina a edifici religiosi, “Lou Turc” si dibatte con forza per sfuggire ai guardiani che lo tengono in catene. A fine giornata, “il Turco” verrà battezzato con vino rosso davanti alla chiesa del villaggio, assistito dai padrini della “Beò”. Convertito e civilizzato, non emetterà più versi animaleschi ma, oramai Cristiano, inizierà a parlare in occitano.
Fin dall’antichità, le superfici riflettenti, naturali o artificiali, venivano poste in relazione con astri e divinità del cielo. «Il latino speculum (specchio), ha dato il nome a speculazione: in origine “speculare” significava osservare il cielo e i relativi movimenti delle stelle con l’aiuto di uno specchio. Sidus (stella) ha parimenti dato considerazione, che etimologicamente significa guardare l’insieme delle stelle. Parole astratte che significano oggi delle attività altamente intellettuali» (Chevalier – Gheerbrant, 2008). Lo specchio è, ad un tempo, solare e lunare, maschio e femmina, disco del sole e luce riflessa della luna, significa verità, specchio dell’universo, riflesso dell’intelligenza divina e sovrannaturale. «Il riflesso nello specchio è il mondo temporale e manifesto» (Campbell Cooper, 1987, p. 276). Si ritiene che lo specchio abbia proprietà magiche e che consenta di accedere al regno dell’inversione, per questo – secondo alcune credenze popolari – ha funzione protettiva contro le negatività, perché «il male viene distrutto dalla vista del suo orribile riflesso. Quando il male si riconosce, si autodistrugge» (Campbell Cooper, 1987, p. 276).
Molti i significati dello specchio dovuti alla credenza nella corrispondenza magica tra una cosa e la sua copia. «Si pensava che gli specchi trattenessero l’anima o l’energia vitale di colui che vi si rifletteva» (Biedermann, 2000, p. 506), per questo motivo, ancora ai nostri giorni, se nella camera ardente è presente uno specchio, questo deve essere coperto. Lo specchio ha una doppia funzione: la prima, apotropaica, di allontanare, annullare le influenze maligne come nel caso dei buschet in cui gli animali devono essere protetti dai pericoli durante gli spostamenti; l’altra di catturare l’immagine riflessa, come nel caso delle matarille che “fotografano“, ritraggono i frutti della terra durate la processione nei campi, prima dell’inizio dei raccolti, affinché l’immagine dell’abbondanza possa essere conservata attraverso lo specchio e riproiettata in forma di nuovi frutti nella successiva annata agraria.
Due sono, infatti, le processioni che si svolgono a Maglione in occasione della festa di San Maurizio, la domenica più prossima al 22 settembre: la prima, la vigilia, prima del calar del sole, l’altra, la mattina della festa. La sera della vigilia, matarille ed alabardieri si dànno appuntamento davanti al Municipio. Ad attenderli alcuni suonatori che eseguono musiche tradizionali piemontesi ed una piccola folla che formerà il corteo preceduto dalle ragazze con in testa i simulacri arborei, scortate dai giovani con le alabarde infiorate; attraversano il paese da un capo all’altro per poi rientrare al luogo di partenza. Lo stesso percorso cerimoniale con la croce in testa verrà effettuato la mattina successiva, presente il sacerdote, con simulacro e reliquie del Patrono. Due momenti ben distinti di cui il primo rimanderebbe alle processioni attraverso le campagne, effettuate da giovani donne per assicurare il buon raccolto, così come si può evincere da alcune disposizioni di un sinodo eporediese del 1602 che censuravano la persistenza di certi culti di fertilità in cui le donne, in abiti cerimoniali preparati per l’occasione, ornate di fiocchi, nastri, collane, eran solite andare per le campagne portando sulla testa un alto copricapo a forma di cono o di piramide, ricoperto di fiori. La cristianizzazione ha attecchito nelle campagne anche attraverso la rifunzionalizzazione di riti preesistenti, ampiamente diffusi e radicati. Sappiamo dalla ricerca condotta nei primi anni Novanta da Norma Molinatti che fino ad epoca recente la realizzazione delle strutture vegetali da portare in processione veniva affidata a vergini consacrate, sotto il diretto controllo della Chiesa (Molinatti – Savant-Aira, 1995).
Ancora negli anni Venti del Novecento i simulacri arborei erano confezionati e dati in affitto per le feste di Perosa e di Borgofranco dalle suore di clausura di Ivrea e di Montalto (Molinatti – Savant-Aira, 1995, p. 422). Attualmente, gli atsènt di Borgofranco, le matarille di Maglione, così come le cavagnette di Vagna di Domodossola sono custodite nelle sagrestie delle rispettive chiese parrocchiali. Invece, in altre località, a Mergozzo, a Viganella e a Trontano, nell’Ossola, le cavagnette vengono custodite da privati, rinfrescate e abbellite in occasione della festa. Interessante il caso di Bognanco, in cui alcuni devoti preparano spontaneamente le “alberelle” o cavagnette da portare in processione durante la festa patronale di San Lorenzo, messe a disposizione di chi non è in grado di confezionarle da sé. Nella processione dell’edizione 2010, abbiamo potuto osservare una quarantina tra donne e bambine con cavagnette in testa. In passato, si era soliti adornare con binde, pizzi e nastri colorati – al posto delle attuali cavagnette – i rami di betulla.
Nell’Ossola e in alcune località del Canavese, fino ad un recente passato, gli abiti cerimoniali indossati erano quelli della festa, perlopiù confezionati per le nozze, gli stessi venivano utilizzati per le ricorrenze importanti, tra cui la processione del “Corpus Domini”. L’abito accompagnava i momenti importanti della vita e seguiva anche quello del trapasso, quando da nuziale diventava il vestito della morte, presente – se non indossato – nel corredo funebre posto dentro la bara (Saiu Pinna, 1998).
Ancora oggi, a Maglione, è possibile osservare gli uomini vestiti con la “muda”, l’abito della festa, per il trasporto del simulacro del Santo.
A Babania, i diversi momenti della Festa di San Giuliano (ultima domenica e lunedì d’agosto), sono segnati dal cambio di abiti, diversi al variare della festa. Anche a Bollengo, nel 2006, per la Festa patronale di Sant’Eusebio da Cagliari (2 agosto), sono stati confezionati appositi vestiti indossati esclusivamente in quella occasione. Una spesa non indifferente a carico dei priori, gli sposi novelli dell’anno, non sempre sostenibile. Riduzione di matrimoni religiosi, poca sensibilità di alcuni e, fors’anche, i tempi di crisi non solo economica, unitamente ai costi, stanno apportando modifiche nell’uso dei codici vestimentari consuetudinari. Mutazioni recentemente registrate a Bollengo. Nell’edizione 2010, non essendo disponibili novelli sposi, la tradizione si è adeguata ai tempi e alle mutate condizioni economiche: quattro giovanissime axèntere, vestite casual, in jeans, maglietta e borsetta a tracolla, hanno portato in processione gli antichi segni di devozione popolare.
In modo lungimirante, a spese del Comune, Maglione ha ovviato al problema della confezione dei vestiti e del loro costo, realizzando appositi abiti cerimoniali di indefinita “foggia medievale” adeguabili a diverse taglie. Oggi, in occasione della Festa patronale di San Maurizio, i vestiti vengono affidati e fatti indossare ai giovani del paese per sfilare in processione con matarille e alabarde fiorite.

Tratto da: L’albero e il sacro. Culti vegetali in Piemonte di Battista Saiu Pinna.

  1. Osservazioni effettuate da Paolo Vailati, negli anni 2004, 2006, e 2008, con circa tremila immagini e brevi filmati che documentano la processione di carattere religioso delle Genti Walser, in cui le donne, indossano il ricchissimo e caratteristico costume Walser, percorrono le vie del paese portando una croce e una statua e con le reliquie di San Giovanni Battista. A questo proposito, emblematica appare la cerimonia degli agnelli infiocchettati, portati in processione a Gressoney St. Jean (AO), in occasione della festa della Natività di San Giovanni Battista che rimanda, in pari data, a “s’homo de Bè” , l’uomo pecora, in processione a Minorca. L’appuntamento più importante delle Isole Baleari è quello di San Juan, San Giovanni. A Minorca, la festa comincia la domenica precedente il 24 giugno, ed è chiamanta “Día des Bè” il giorno della pecora, con “s’homo de Bè”, l’uomo pecora, scelto tra gli agricoltori che vogliono sciogliere un voto in onore di san Giovanni. Per l’intera giornata, il prescelto porta sulle spalle un montone, in precedenza lavato e infiocchettato, col pelame segnato da alcune croci. S’homo de Bè cammina a piedi nudi, vestito di pelli, indossando una sorta di mastrucca, lunga giacca priva di maniche realizzata con pelli di pecora bianca, tanto da formare un tutt’uno col vello del montone (Saiu Pinna, 2007, p. 28). []
  2. Bétemps, 2009: nel 1829, a Chamonix, la famiglia Devouassoud aprì il suo atélier, da dove si sono succedute sei generazioni di fabbricanti di campanacci, i famosi Chamonix. []
  3. Bétemps, 2009: il quale segnala come un buon pastore debba avere l’orecchio fine e saper riconoscere, all’occorrenza, il suono di una campana nel concerto di una mandria scampanellante. D’estate, infatti, all’alpeggio, quando la sera le mucche rientrano dal pascolo, è il suono del campanaccio che permette al pastore di ritrovare l’animale smarrito. È così anche quando la nebbia avvolge gli alti poggi. Il ritmo del tintinnìo, inoltre, rapido, irregolare o lento, può segnalare una mucca in difficoltà. []

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