Preliminare è una trattazione etimologica del termine. Esiste un apposito lemma nel dizionario di G.Devoto e G.C.Oli (Id., Il dizionario della lingua italiana, Ed.Le Monnier, Firenze, 1990), che così si esprime a riguardo: «…atteggiamento, spontaneo o concordato, rispondente ad una sostanziale convergenza od identità di interessi, idee o sentimenti … In senso più elevato la coscienza viva ed operante di appartenere ad una comunità, condividendone le necessità, in quanto si esprime in iniziative individuali o collettive, di sostegno morale o materiale…». Il vocabolo deriva dalla dizione solidario, dal francese solidaire, originato a sua volta dalla parola latina solĭdus, ossia ciò che è solido, integro, pieno e compiuto, per lo più con frequente e stretto riferimento ai vincoli di natura giuridica legati alla cosiddetta solidarietà nelle obbligazioni1. Di consueto, nell’uso comune più diffuso, il termine “solidarietà” indica un atteggiamento benevolente e comprensivo, gratuito, atto a venire incontro alle esigenze e ai disagi di qualcuno che ha bisogno di un aiuto.
Nel concreto, due sono gli orientamenti individuabili in relazione al concetto di solidarietà. In un primo caso esiste un’accezione “laica“, cosiddetta “sociale“, di natura filantropica, concretizzata dalle attività poste in essere dalle istituzioni o dagli organismi della società civile, volta a rimediare ai disagi economici o di altro genere dei soggetti interessati. Nel secondo caso, invece, sussiste diffusamente una nozione più estesa, “religiosa“, per lo più di matrice ebraica prima2 e cristiana poi, in stretta connessione alla misteriosa unione che rende fratelli tutti gli uomini, in quanto figli di Dio: gli esseri umani, infatti, sono stati creati ad immagine e somiglianza di Dio3. In quanto tali appartengono alla “grande famiglia umana” ed hanno il dovere di essere solidali gli uni con gli altri, sia nel bene sia nel male.
Nel messaggio cristiano, in particolare, non esiste una dicotomia tra l’essere della vita privata e quello della vita pubblica, ma sussiste una ed un’unica esistenza unitaria, ancorata ad una coerenza data dai comandamenti dell’Amore. Tutti i soggetti sono chiamati a rispondere sempre e comunque ad un precetto universale: «Ama il prossimo tuo come te stesso»4. Parafrasando il testo evangelico, quindi, diventa essenziale “fare agli altri ciò che si vorrebbe essere fatto a se stessi“, considerato anche il fatto che Gesù Cristo ha affermato, altresì, che «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me»5. Viene, perciò, espresso un corollario riassumibile nella celeberrima e pedagogica frase di John Donne: «…Nessun uomo è un’isola…», ossia, come affermato a tale proposito dal Catechismo della Chiesa Cattolica6: «L’uomo, venendo al mondo, non dispone di tutto ciò che è necessario allo sviluppo della propria vita, corporale e spirituale. Ha bisogno degli altri».
La solidarietà è un’espressione della Carità cristiana, è un aspetto della stessa Virtù7, un modo di estrinsecarsi dell’Amore in seno alla comunità degli uomini. La stessa, come definita dalle figure guida della Chiesa di oggi8, è: «…una scuola di vita che educa non a dare semplicemente qualcosa, ma se stessi. L’attenzione alla persona umana nella sua integrità, specie quella che si trova in difficoltà … per il recupero di tutte le potenzialità di coloro che vivono ogni sorta di disagio…». Essendo un iter, un non agevole percorso esistenziale, essa si nutre di tempo e costanza nell’affrontarlo, spesso di fatica, e non può limitarsi ad un’operazione una tantum, quale mero tributo a quello che possiamo chiamare “senso di colpa” o sorta di disagio personale alla vista delle difficoltà altrui. È un impegno quotidiano a tutto campo, che coinvolge il singolo come il destinatario nella sua interezza esteriore ed interiore. A tale proposito è emblematico il messaggio del Consiglio permanente della C.E.I. (Conferenza Episcopale Italiana) per la XXXII Giornata Nazionale per la Vita del prossimo 7 Febbraio 20109, nel quale si mette in luce come tra i fondamentali compiti della Chiesa, e quindi della comunità degli uomini, sussista l’impegno per: «…lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il superamento dell’indigenza e del bisogno… il benessere economico è un fine, non un mezzo, il cui valore è determinato dall’uso che se ne fa: è al servizio della vita…».
Nell’episodio evangelico dell’offerta della vedova10 è sotteso un concetto che può essere così parafrasato, citando il noto testo letterario di K.Gibran, Il profeta,11: «…date poca cosa se date le vostre ricchezze. È quando date voi stessi che date veramente… Vi sono quelli che danno poco del molto che possiedono, e per avere riconoscimento… E vi sono quelli che danno tutto il poco che hanno. Essi hanno fede nella vita e nella sua munificenza, e la loro borsa non è mai vuota. Vi sono quelli che danno con gioia e questa è la loro ricompensa…E vi sono quelli che danno senza rimpianto né gioia e senza curarsi del merito. Essi sono come il mirto che laggiù nella valle effonde nell’aria la sua fragranza…».
Inoltre, come anche testimoniato da molte iniziative missionarie e di volontariato, la solidarietà è un modo di far fruttare le qualità personali e di spendere il tempo a propria disposizione a favore di chi ha bisogno, nelle quali diversità e differenze possono essere, a loro volta, se unite e canalizzate nel modo più opportuno e in vista di determinati obiettivi, una forza12, un motore capace di arricchire e moltiplicare la condivisione di tutti quei “talenti” personali non distribuiti in misura eguale dalla Provvidenza13. Le diversità e le differenze rientrano, infatti, nel disegno divino in stretto legame coi bisogni individuali che possono essere appagati dagli altri, in quanto le differenze incoraggiano e, spesso, obbligano, alla magnanimità ed alla condivisione e spingono le culture a mutui e reciproci arricchimenti14.
La solidarietà costituisce, perciò, un universo a valenza etica, all’interno del quale la responsabilità individuale ha un ruolo fondamentale perché ogni contributo può essere importante. Papa Giovanni Paolo II, nella Lettera Enciclica Sollicitudo rei socialis, affermava l’esistenza di una: «…interdipendenza, sentita come sistema determinante di relazioni nel mondo contemporaneo, nelle sue componenti economica, culturale, politica e religiosa, e assunta come categoria morale. Quando l’interdipendenza viene così riconosciuta, la correlativa risposta, come atteggiamento morale e sociale, come ‘virtù’, è la solidarietà… la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune: ossia per il bene di tutti e di ciascuno, perché tutti siamo veramente responsabili di tutti…». In questo senso essere responsabili degli altri vuol dire essere attenti a quanto intorno accade, a partire dalla cerchia familiare o da chi è più vicino o frequentato, nei cui confronti, talora, può essere paradossalmente più complicato volgere lo sguardo ed intervenire.
Nel cammino di vita della solidarietà si può ed occorre guardare, quindi, al di fuori del proprio “orticello”. In questi giorni è sotto gli occhi dei mass-media quanto sta accadendo ad Haiti. Il nunzio apostolico in loco, l’arcivescovo Bernardito Auza, ha lanciato un appello al mondo affinché a breve, scomparsa l’imminenza degli eventi, non venga dimenticato un popolo che ha bisogno di aiuto, che chiede a mani tese e vuote tra il dolore e la speranza di ricominciare dopo il sisma verso il futuro15. Al momento diversi sono i volontari e gli operatori sul posto, giunti da ogni dove16. Urgono, tuttavia, altri copiosi e generosi aiuti, quanto più necessari in una situazione di estremo e diffuso bisogno. Si tratta di una necessità ed, al contempo, di un’occasione per “fare giustizia” nel senso dell’Amore e della Testimonianza, concetto che Papa Benedetto XVI, nella Lettera Enciclica Deus caritas est (n. 28), ha riassunto con le seguenti parole: «…adoperarsi per la giustizia lavorando per l’apertura dell’intelligenza e della volontà alle esigenze del bene…».
Gianni Cilloco
- Cfr., L.Castiglioni e S.Mariotti, IL – Vocabolario della lingua latina, Ed. Loescher – Nuova edizione con appendice antiquaria, Roma-Milano, 1990 [↩]
- Cfr. Levitico XIX, 9-10, e XXIII, 22; Deuteronomio XIV, 28-29, e XXIV, 20-22; Proverbi III, 27; Siracide XVII, 15 [↩]
- Genesi I, 26-27 [↩]
- Vangelo di Luca X, 27 [↩]
- Vangelo di Matteo XXV, 40 [↩]
- Parte III, Sezione I, Capitolo II, Articolo 3, par. 1936 [↩]
- Cfr., Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Sezione I, Capitolo II, Articolo 3, par. 1948 [↩]
- Cfr., ad esempio, l’Omelia del Card. Tarcisio Bertone presso la Sede del C.E.I.S., Roma – Martedì Santo, 3 aprile 2007 [↩]
- pubblicato sul supplemento del quotidiano Avvenire “Noi, Genitori & Figli” del 31 Gennaio 2010, pp. 6-7 [↩]
- Vangelo di Luca XXI, 1-4 [↩]
- Cfr., la I edizione I Miti Poesia A.Mondadori, Milano, 1998, pp. 16-18 [↩]
- Cfr., Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Sezione I, Capitolo II, Articolo 3, par. 1937 [↩]
- Vangelo di Matteo XXV, 14-30; Vangelo di Luca XIX, 11-27 [↩]
- così: Catechismo della Chiesa Cattolica, Parte III, Sezione I, Capitolo II, Articolo 3, par. 1938 e ss. [↩]
- Cfr., l’editoriale e l’articolo di cronaca pubblicati sul quotidiano Avvenire, Domenica 31 Gennaio 2010, rispettivamente a firma di M.Corradi, Caos, miracoli e le mani povere degli Haitiani, p. 1, e G.Cardinale, «Non spegnete i riflettori sul dolore di questo popolo», p. 3 [↩]
- Cfr., G.Paolucci, «Così i missionari testimoniano l’abbraccio di Cristo», in Avvenire, Domenica 31 Gennaio 2010, p. 3 [↩]