Riprende il corso di filet a su Nuraghe di Biella – mercoledì 12 ottobre, ore 15-17, – info Grazia 3294236841 – Nel filet i segni di antiche radici comuni, tra memoria materiale e identità relazionata – immagini del portfolio n.1 su Fotografias.
Il filet è una tecnica di lavorazione tessile storicamente nota in Francia ed ampiamente diffusa nel continente europeo. Essa ha avuto importanti centri di produzione nell’Italia peninsulare, in Sicilia ed in Sardegna, dove, ancora oggi, trova il suo principale e tradizionale presidio nella città “mediterranea” di Bosa. Gli affreschi medioevali che decorano il locale Castello dei Malaspina, innalzato nel XII secolo a guardia dell’antica foce del fiume Temo, ne attestano la storica lavorazione caratteristica. A ciò si unisce il ricordo delle tipiche reti dei pescatori bosani del passato, tuffate nelle infide acque del mare con segni decorativi, per invocare protezione e garantire l’abbondanza del pescato, attraverso ricami a forma di croce, di stella o di fiore, con funzioni votive e benaugurali, in una sorta di magismo popolare volto a garantire il rientro incolume dal mare. Oggi anche le reti dei pescatori di Bosa sono molto più nude e funzionali solo alla cattura di pesci, ormai private dei segni del sacro. Quelle del filet, invece, nella perdurante ricchezza dei simboli, rinviano al vasto universo religioso popolare, conservando elementi decorativi arcaici simili a quelli presenti sulle cassapanche nuziali, sui tessuti tradizionali ed in certi ricami degli abiti tradizionali. Gli stessi disegni che ritroviamo anche nelle sculture di antiche chiese e, in forma stilizzata, in quelle delle tombe precristiane ampiamente diffuse su tutta l’Isola.
Il “Corso di filet“, attivato dal Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe di Biella a partire dal Novembre 2009, si coniuga a tutto ciò e costituisce, contemporaneamente, un esempio concreto di intreccio tra memoria materiale e saperi popolari. La trasmissione delle culture tradizionali tra generazioni, infatti, avviene da sempre attraverso i canoni dell’oralità e la ripetuta pratica quotidiana. In questo caso un “filo della memoria” che diventa “rete” passa da una decana, “zia” Antonietta Sotgiu, ad allieve più giovani, in primis Paola Antoniotti e Laura Rossetti. Queste ultime, esperte ricamatrici dalle abili mani, hanno così trovato la guida in una vera maestra dell’arte del ricamo e producono canovacci su cui annodare il filo della memoria. Attraverso forme e disegni tradizionali svelano una manualità che diventa arte tangibile capace di ricadere sotto i nostri sensi, portando all’occhio ed al tatto manufatti e segni che materializzano antichi gesti, indicazioni e parole.
«Segnicità e fabrilità, parole e lavoro – secondo le analisi dello studioso Alberto Maria Cirese – sono compresenti e immediatamente congiunte in tutto intero all’operato dell’uomo». Non solo, ma il corso biellese interamente al femminile, così osservato, risulta essere in grado di ampliare gli orizzonti per un’analisi che va oltre il contingente. Sfiora, infatti, altri aspetti che – sempre secondo il pensiero di Cirese – collocano la donna in una posizione centrale, quale figura non eliminabile e «configurata nella condizione di avere doppio “lavoro”». Nella specie il gentil-sesso “procrea lavoro” e svolge un doppio investimento di energia, in quanto «la donna è la raccoglitrice in una società di caccia e raccolta, è la raccoglitrice mentre il maschio fa il cacciatore, ma oltre ad essere la raccoglitrice è anche la produttrice e la allevatrice della prole». Pertanto, in tale ottica, secondo il pensiero dello studioso, ci troviamo di fronte ad una sorta di “procreazione“, «una operazione interamente autonoma – momento né fabrile, né segnico – che non si collocherebbe sul terreno del comunicare, né sul terreno del lavorare, nel senso con cui il falegname lavora il suo legno o il fabbro lavora il suo ferro». Ossia quello che si sostanzia essere un vero e proprio atto generativo.
Emblematica, anche a questo proposito, è proprio la storia di zia Antonietta. Con il certificato di buona condotta morale rilasciato dal parroco di Bosa nel 1947, l’allora giovane Sotgiu partì dalla Sardegna per giungere all’ombra del Monte di Oropa, seguita negli anni immediatamente successivi, quasi a modello, da altre ragazze sole, per frequentare la locale Scuola Professionale per Infermiere gestita dalle Suore del Cottolengo. A Biella la giovane zia Antonietta raggiunse Suor Maria Battistina – al secolo Caterina Sotgiu -, una zia che dal 1939 era “Pietatina” di clausura a Biella. Ricamatrice raffinata, Suor Maria Battistina confezionò in vita molti arredi e paramenti sacri ancora custoditi nelle chiese biellesi; e, nel 1978, alla sua morte, le suore del Cottolengo consegnarono a zia Antonietta il telaio con il quale la religiosa era solita riprodurre i filet bosani. Antesignana dell’uguaglianza di genere, quindi, zia Antonietta, sempre molto attiva, ancora oggi – superato il novantesimo compleanno – continua a tramandare cultura e sapere e, soprattutto, la sua costante opera generatrice di riscatto femminile attraverso il Corso di filet. Erede di una cultura materiale che affonda le sue radici nel solco del tempo, ella tramanda, così, attraverso la pratica del ricamo a meandro, la fabrilità appresa, fin da bambina, sulla soglia di casa, all’ombra dei vicoli assolati di Bosa. Il tutto per mezzo di lezioni pratiche, per trasmettere, nel misto di oralità e di manualità, i saperi tradizionali della grande Isola che sta al centro del Mediterraneo.
Insegnamenti che, al contempo, risultano essere un nuovo concreto contributo che arricchisce il territorio in cui gli emigrati sardi hanno scelto di abitare, in un ulteriore apporto di saperi, prima ancora che di oggetti, che “trapiantano tradizioni” in un terreno estremamente fertile, ben disposto ad accogliere, ad imparare ed a far tesoro. Non è un caso, infatti, che alcune telerie biellesi – già note fornitrici di resistenti stoffe di canapa per i velieri, ai tempi del Regno di Sardegna – abbiano inserito nelle loro produzioni elementi decorativi tratti da disegni tipici dei filet di zia Antonietta. Gli stessi grandi telai che, ieri, battevano tele realizzate senza cuciture per contrastare ed utilizzare appieno l’energia del vento e che, attualmente, vengono riconvertiti in produzione di nicchia all’insegna della tradizione alimentata da antichi saperi della grande Isola. Nuove pregevoli suppellettili, così, custodite o destinate oltre l’ambiente sacro, incrementano e arricchiscono il Biellese, luogo ove, curiosamente, molte sono le testimonianze materiali che rimandano alla Sardegna: numerosi sono i pizzi ed i ricami, nei motivi a filet, nella biancheria dotale e nei corredi di molte chiese sarde e biellesi, giunti a noi dal passato. Spesso con disegni molto vari, oggi riproposti e realizzati, con grande abilità, proprio grazie all’attuale corso di filet di Su Nuraghe.
Battista Saiu