La complessità della XVII edizione di Sa Die de sa Sardigna a Biella ha visto la presenza di importanti figure tra cui il Col. Luciano Sechi, autore di parole e musica di “Dimonios“, l’inno della Brigata “Sassari”, eseguito a Nuraghe Chervu dal Coro Polifonico “Stella Maris” di Magomadas di cui Sechi è Presidente
Mi sento piccolo davanti a questo meraviglioso scenario, con lo sfondo delle Alpi Biellesi e il santuario di Oropa in lontananza. Il mio ricordo corre indietro ad anni ormai abbastanza lontani, quando mi esercitavo nella baraggia… sudore, fatica… e gioventù ! Son qui, e non è facile parlare dopo aver intonato, con il cuore, prima che con la voce, il Miserere per i nostri morti e in quel “nostri” non vi sono solo i figli di Sardegna ma anche i giovani che da queste valli partirono per non far più ritorno.
Eccoci, in questo sacro recinto, immersi nella luce e nella fantasmagoria dei colori a celebrare, ad onorare i nostri morti… a volte eroi.
Ci sentiamo piccoli e inadeguati e, a volte, inutili dinanzi a certe tragedie e ci chiediamo se saremmo capaci di tali eroismi.
Io dico che ogni giorno, in questo tempo che stiamo vivendo si è in qualche modo… eroi. Si è eroi quando, anche controvoglia, ci alziamo per andare al lavoro, o per dare il nostro contributo alla crescita della nostra Patria; si è eroi quando si lotta contro l’indifferenza, contro una malattia, quando si continua ad andare avanti anche se si è in ginocchio, quando si ricacciano indietro le lacrime e si dona un sorriso ad un figlio sfiduciato perché senza lavoro, quando con lo sguardo si accarezza un figlio consumato dall’AIDS attraverso il vetro di una stanza di ospedale, quando vorremmo cedere e invece ascoltiamo la voce del cuore che dice: “alzati !”
Piccoli eroismi quotidiani che magari non chiedono il tributo estremo ma che alla fine della giornata ci fanno sentire più grandi.
Ho visto “i segni” nei gesti appena compiuti. Ho chiuso gli occhi e attorno al nuraghe è sparita la figura quasi mistica di padre Accursio, grande vecchio dalle braccia scarne tese al cielo a benedire persone e cose.
Mi è apparsa, quasi attraverso una leggera nebbia, la figura di uno dei nostri antichi padri, attorniato da donne oranti, quasi prefiche, incedere nei giri rituali, sempre in numero dispari, attorno a millenari betili. Acqua lustrale e grano a fecondare la terra, offerta per i morti e speranza di buon raccolto per i vivi. Il piatto che si rompe al passaggio del Grande Vecchio a simboleggiare il filo spezzato tra la vita e la morte, tra il celibato o il nubilato e l’unione dei corpi e dei cuori. Offerta di grano e lacrime a chi, morto prematuramente, non potrà udire il canto imeneo di giovani spose o di madri benedicenti.
Questo ho visto con gli occhi dell’anima. Il rumore dei cocci rotti è arrivato nel profondo della terra dove, ormai polvere, riposano quei giovani di allora.
Mi piace credere che loro abbiano udito quel rumore, quel tintinnio, e che sia parso loro, spero, un dolce suono di organette (organetto diatonico), di launeddas, di pipiolu o di antica ghironda.
Grazie, dunque, a voi, Donne del grano di Su Nuraghe, grazie per aver benedetto e restituito a quei giovani quel grano che loro, partendo videro verde e che mai avrebbero mietuto… grazie!
Luciano Sechi