Biella, giovedì 27 gennaio, ore 21, biblioteca Su Nuraghe – “Percorso di testimonianze: da Anna a Hannah” – patrocinio della Comunità Ebraica di Vercelli, Biella, Novara e Verbano Cusio Ossola – ingresso libero – La Legge 20 luglio 2000, n. 211, Istituisce il “Giorno della Memoria”.
«Lei che cosa avrebbe fatto al mio posto?». Con questo quesito si apre il libro intervista sulla vita di Giorgio Perlasca, un italiano che, per la sua opera di aiuto agli Ebrei perseguitati, a rischio della propria vita personale, nel corso dell’ultimo Conflitto Mondiale, è stato riconosciuto negli anni ’90 del XX Secolo “Giusto tra i Giusti“. La domanda esistenziale, tuttavia, si pone a ciascuno di noi e si indirizza diretta e penetrante nel presente del vissuto quotidiano.
Esistono circostanze e fatti verso i quali non è possibile essere indifferenti, ma nei confronti dei quali occorre porsi interrogativi per valutare cause, modalità e conseguenze di accadimento. Specie ove l’oggetto della questione appare essere un avvenimento in “apparenza” ordinario, radicato nella consuetudine delle vite, perché proprio in relazione a tali situazioni si rischia di omettere il personale giudizio, di essere superficiali e di tralasciare il significato del proprio ruolo nel mondo, in relazione al presente e con sguardo al futuro, rispetto a se stessi ed alla collettività. Il problema viene ad essere, quindi, su quale sia e quanto pesi quella funzione soggettiva che viene definita responsabilità individuale e come essa si rifletta sulla coscienza individuale.
Circa 50 anni fa, in occasione del processo di Gerusalemme al criminale nazista Adolf Heichmann, Hannah Arendt, attraverso il suo reportage dalle aule di tribunale, poneva all’evidenza del mondo quanto possa essere “normale“, paradossalmente “comune“, il male. Un quid nel quale l’indifferenza, la superficialità, una sterile a-criticità e inerzia di giudizio, nonché una cattiva ponderazione dei valori e della propria posizione nella società, altro non sono se non il risvolto di una negativa realtà esistenziale che tocca, concretamente e nel profondo, ciascun essere umano.
Al giorno d’oggi serpeggia nella quotidianità una concezione per la quale qualsiasi atteggiamento pare trovare, comunque e sempre, una giustificazione, essere una mera questione privata del tutto distaccata e prescindente dall’ufficio ricoperto di fronte al pubblico o, peggio ancora, essere un qualche cosa “posto al di là” degli interessi collettivi. Si compiono azioni, si pronunciano parole improvvide, pur magari ricoprendo ruoli di peso, ma le responsabilità sono sempre di altri: le colpe ricadono o vengono rovesciate su terzi, si cercano “capri espiatori” e, in casi estremi che tendono a diventare sempre più consuetudinari, si indossa la maschera della vittima perseguitata. L’ascolto, l’attenzione ed il dialogo assumono sempre più una veste di puro formalismo.
Ecco, quindi, che il “Giorno della Memoria” non è solo occasione di sguardo sul passato, di commemorazione, bensì invito all’attenzione sulla costruzione del presente perché si generino domande ed interrogativi intimi, ossia quegli “anticorpi”, quegli “antidoti” individuali e collettivi capaci di prevenire l‘eventualità di un futuro oscuro o il ripetersi similare di quanto è accaduto tempo addietro. In quanto, come ha ricordato di recente Roberto Della Rocca, Direttore del Dipartimento Educazione e Cultura dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, «per assicurare alla memoria un ruolo vitale, anche nella salvaguardia di un modello di vita, è dunque necessario che la memoria storica si innesti nel presente entrando a far parte della coscienza individuale».
Battista Saiu