La lingua dei popoli, il convegno internazionale omaggerà Tavo Burat con una targa ricordo – “Anans ch’a fasa lus / te, lucis ante – A chi cominciò mezzo secolo prima”.
Sabato 24 novembre – Noi oggi ci riuniamo a Biella con Walser, Provenzali, Piemontesi, Sardi e capi amerindiani per dialogare sulle nostre rispettive lingue ancestrali, ma chi organizza questo convegno proprio nella città di Tavo non può certo scordare di aver ricevuto gli insegnamenti dal rivitalizzatore biellese che per primo aveva intuito che con le lingue dei popoli erano in pericolo anche la loro dignità e identità.
Maestro di vita, di fede religiosa, di poesia e di brillanti intuizioni socio-linguistiche, sarà spiritualmente presente a questo convegno di sabato 24 novembre quando la direzione di Su Nuraghe, organizzatrice dell’evento, offrirà alla vedova di Tavo Burat una targa per significarle che l’insegnamento dell’indimenticato precursore è più vivo ed operante che mai.
Dagli anni Novanta in poi è diventato abbastanza comune (all’estero, non di certo in Italia) fare il “rivitalizzatore” linguistico che, in pratica, significa occuparsi di lingue minori e fare tutto il possibile per salvarle (ne muoiono in media 200 all’anno).
Gustavo Buratti Zanchi (ma molto meglio conosciuto con il suo nome di battaglia, Tavo Burat), biellese purosangue, iniziò molto prima, agli albori degli anni Cinquanta, quando non esistevano ancora scritti, libri o teorie sulle lingue dei popoli (sprezzantemente chiamate in Italia “dialetti”, una parola che ha tutt’altro significato in linguistica).
Aveva già capito che per guadagnarsi la fiducia della gente la cui lingua era in pericolo bisognava impararne la parlata. E lui, raffinato francesista, divenne allora esperto cultore non solo di Piemontese classico e relative varianti (lingua nella quale compose poesie superlative), ma anche di Provenzale mistralenco, Bretone, Walsertitzschu, Friulano. Poi, con una Lambretta, e tanto amore, tenacia e pazienza, con la sua fede linguistica miscelata con pochi litri di benzina, si mise a setacciare le valli alpine francesi e italiane, portando la sua parola rivitalizzatrice alle genti le cui lingue, disprezzate ed emarginate, erano in pericolo.
Conservo di lui lettere in Walsertitzschu e in Provenzale, scritte alla gente di Im Land Tzscheschrutol (Alagna Valsesia) e di Sancto Lucìo (frazione di lingua provenzale in Val Grana), tutte località che lui aveva visitato e alle quali tornava ora per via epistolare, per rinfrancarli e convincerli della bellezza e della dignità dei propri linguaggi (il poeta Sergio Arneodo deve a lui l’utilizzo del provenzale alpino in poesia).
Sergio Maria Gilardino