Significato di parole sarde secondo antichi dizionari – laboratorio linguistico, storia e cultura sarda a Biella
FARAḌḌA sassarese ‘discesa’; fara ‘scendere’, logud. falare ‘idem’. Nelle parti più lontane dal Sassarese la ‘discesa’ è meglio detta faladòrza; in campidanese kalái ‘scendere’ è l’unica forma. Tali termini sono frequenti anche nei condaghes, come dire che queste voci passano attraverso il Medioevo provenendo dalla più remota antichità.
La Faraḍḍa per antonomàsia, ossia La Discesa, è la Festa dei Candelieri di Sàssari, la più antica della Sardegna, una delle più antiche del Mediterraneo, tra le più belle del mondo. La chiamano pure La Fełta Manna ‘la Festa Grande’, perché è la più importante di Sassari. I Candelieri attraversano tutta la città vecchia, che è in discesa, l’attraversano da mura a mura (oggi quasi sparite), da piazza Castello a Porta sant’Antonio. Ed è una ‘Discesa’ mitica: un immane tripudio di folla, almeno duecentomila persone, tutta Sassari e l’intero hinterland si riversa per le strade partecipando attivamente al passaggio dei 9 colossi (da quattro anni portati a 10 per placare beghe d’elettorato). L’incontenibile fiumana, come i polmoni d’un titanico drago, si stringe e s’allarga, avvolge e sommerge i pesantissimi Candelieri per poi lasciarli correre liberamente nelle antiche vie, portati da cori festanti e variopinti e seguiti dai gremi, antichissime corporazioni rigorosamente imbustate negli splendidi costumi dell’ultimo dominatore, quello catalano.
Il popolo fa l’amore con i suoi Candelieri. Nell’antichità questo far l’amore doveva essere d’una mimica sconvolgente. I Candelieri rappresentano l’antico phallos già portato in processione nella Grecia omerica durante i Misteri agrari (Falloforíe), a Roma in onore del dio agrario Consus, e ripetono simili riti misterici dell’antico Egitto. Lo storico greco Kallixeinos di Cipro racconta d’aver visto nel 275 avanti l’Era volgare una festa dionisiaca ad Alessandria, durante la quale un phallos aureo lungo 60 m fu portato in processione davanti a mezzo milione di persone che intonavano inni in suo onore.
I Candelieri sassaresi sono di legno, all’origine erano di fico; forma e addobbo attuali suggeriscono che la parte alta doveva essere a forma di glande, svettante tra pennacchi, rami fioriti, spighe di grano. Il coro dei portatori d’ogni candeliere, preceduto e governato da un corifeo-danzatore, riceve anima, forza e ritmo da un pifferaio e da un tamburino che sono la spina dorsale della struttura coreica. Il ritmo del tamburo conserva – da molte migliaia d’anni – la metrica greca del coriambo, dell’anapesto, del giambo, dell’anacreontico.
Wagner ammattì davanti al verbo falare, e ne basò l’etimologia su un greco-latino chalare, considerando f- corruzione da ch-. Ma la ricostruzione è inaccettabile. Il falare dell’Alto Logudoro lo aveva fatto ammattire, ed egli s’arrampicò sugli specchi, tentando una assurda parentela con kalabingiada ‘caprifoglio’, iskulabadeḍḍa ‘sfondapignatte’ nome di varie piante; infine lo abbinò con sa ga’abingiada (Sarrabus) ‘manico della pentola’. Si vede che il povero Wagner aveva perso la “tramontana”. Il Dizionario Etimologico della Lingua Italiana ragiona a sua volta in modo diverso poiché, trascurando il concetto dello “scendere”, affianca il tardo-lat. calare ‘sospendere’ al gr. χαλᾶν ‘allentare’, it. calare (ed il tutto resta, però, di etimologia sconosciuta). A Wagner non bastò il pasticcio già compiuto, e propose per il nostro falare anche l’apparentamento con sd. colare, colái ‘passare, attraversare’ da un lat. colum (=colon) ‘intestino’, onde avremmo sardo e it. colare ‘filtrare al colino’. Ma, vi chiederete, che ci azzecca il colon col colino? Me lo chiedo anch’io. Il lettore perdonerà questa noiosissima registrazione, che mira a far percepire come persino gli illustri linguisti perdano la ragione.
Il guazzabuglio del Wagner salta agli occhi di chiunque, ed occorre far piazza pulita di un tale modo di procedere, cominciando a distinguere e ricordando intanto che la base etimologica di faraḍḍa in quanto ‘discesa’ sta nell’accadico (w)arādu(m) ‘andare in basso, scendere’. Così è pure per falare, faladorza.
Quanto a colare ‘passare, attraversare, oltrepassare, superare’, la base etimologica sta nell’accadico ḫūlu ‘way, road’, ‘corso, viaggio’.
Quanto invece al calare proposto dal Wagner come forma originaria sarda di falare da una supposta base greco-latina, la semantica greca ‘allentare’ non è affatto sconosciuta come pretende il DELI ma deriva dall’akk. qalālu ‘divenir leggero, scarso’.
Salvatore Dedola
Nell’immagine: l’incipit “F”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009