Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico di storia e di cultura sarda a Biella
VERNÀCCIA è il nome di un vino ambrato, fortemente alcolico, asciutto, dal tipico aroma, prodotto in Sardegna con uva del vitigno omonimo. Per quanto il tipo prodotto in Sardegna abbia una caratteristica unica al mondo, è il suo nome a non essere tipicamente sardo ma essenzialmente mediterraneo. Esso compare per la prima volta negli Ordinamenti della gabella di San Gimignano, poi in Cecco Angiolieri, poi in Dante che lo eterna nella Divina Commedia (Purg., 24, 24). In Toponomastica Sarda avevo affermato che «il nome, indubbiamente introdotto dai monaci camaldolesi a Bonárcado ed in tutti i Campidani arborensi, è originario da Vernaccia, antico nome di Vernazza, villaggio delle Cinque Terre. Il nome deriva dal latino vernācŭla ‘paesano, domestico, del paese’. Ma originariamente l’aggettivale era tipico degli schiavi nati in casa, detti vĕrna. Evidentemente questo vino è così chiamato per la sua rusticità, per il fatto che viene fatto invecchiare in un modo inusitato e sconcertante, respinto da tutti i manuali di enologia».
Dopo nuova analisi, alla luce del vocabolari semitici, le precedenti considerazioni pèrdono efficacia, poiché Vernaccia ha base etimologica nell’accadico bēru(m) ‘selected’ + naqû ‘versare (vino in libagione, durante un sacrificio)’. Il nome significa quindi ‘(vino di classe) scelto per le libazioni’. Scopriamo così che questo vino prodigioso nell’alta antichità era usato, al pari del Nasco nel sud-Sardegna, addirittura per i riti divini: era insomma un classico “vino da messa”.
Salvatore Dedola,
glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit “V”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009