Giovedì Primo Maggio, al Ponte della Maddalena di Biella è stato issato l’Albero della Libertà, il “Maj”, con in cima il Tricolore giacobino piemontese decorato da corona di fiori con cascata di nastri nei colori rosso, azzurro e della melarancia. Nel decimo anno dalla morte, il ricordo di Tavo Burat, Gustavo Buratti Zanchi, è stato affidato a Giuseppe Paschetto, unico italiano tra i 50 migliori insegnanti del mondo, scelto tra oltre diecimila candidati per il Global Teacher Prize 2019. In ricordo di tante battaglie condotte assieme, la figura dell’intellettuale biellese è stata ricordata con la lettura dell’introduzione ad una pubblicazione con la centro la figura mitica dell’Uomo selvaggio che qui riproduciamo.
A Tavo Burat, il Museo delle Migrazione, Cammini e Storie di Popoli di Pettinengo ha voluto rendere omaggio con una mostra sulla comunità Rom del campo ora smantellato di Lungo Stura Lazio, in Torino, con fotografie di Andrea Ciprelli. Allestita all’interno della chiesa dei Santi Grato ed Eusebio di canton Gurgo, la rassegna è liberamente visitabile (info e prenotazioni: Idillio 3343452685). Agli insegnamenti di Buratti fanno riferimento anche i nuovi allestimenti museali inaugurati domenica 28 aprile, a Pettinengo, relativi all’esposizione di marche da burro biellesi della collezione di Pietro Foddanu e alla figura mitica dell’“Om salvej”, l’Uomo selvatico, abitatore delle montagne biellesi.
“Ritengo che la vicenda dell’Uomo selvatico – scriveva Tavo Burat – presenti anche oggi elementi d’attualità: il montanaro non è quel contadino rozzo che pensano i cittadini; ma è un uomo che ancora sente scorrere nelle proprie vene la linfa di un’antica magica civiltà; qualcuno che ancora può insegnare al “civile”, al cittadino, i segreti per salvare, in un mondo ridotto ad immondezzaio, i tesori dell’aria pura, dell’acqua limpida, dei boschi e della fauna selvatica, e dei valori diversi dal denaro e dal consumismo. Il bene della libertà, di chi non è servo né padrone e lavora, vive fuori da quattro mura, ed è ancora capace, alzando il capo, di vedere – come scrive il poeta Nino Costa – “Le nuvole che vanno al cielo”, i colori dell’aurora e quelli del sole che bacia, nella parte solatìa della valle, la baita della piccola borgata più alta, prima del coricarsi dietro il profilo della montagna in un gloria di festoni rossi ed arancioni. Essere ancora “selvaggio” oggi, forse, significa essere vivo, essere “uomo”.
Ma ciò è una lezione pure per i maestri, per i professori delle nostre scuole, poiché – invita a riflettere l’intellettuale biellese – debbono rendersi conto che gli scolari, tutti, sono portatori di una loro cultura originale, preziosa, che la scuola deve rispettare e non calpestare. Gli scolari, in effetti, sono pure loro, piccoli “uomini selvatici”, con le loro differenze e sensibilità; e persino hanno qualcosa da insegnare ai docenti! La scuola deve essere un piccolo “mercato”, nel senso buono del termine, dove ciascuno porti qualcosa in cambio, cosicché le differenze non siano ostacoli, ma tesori e, dunque, occasioni di ricchezza per tutti, scolari e insegnanti.
Queste antiche leggende sono anche gonfie di speranza. L’uomo selvaggio Walser ci dice di aver visto molte volte i prati diventare foresta e poi ritornare ad essere cascina e campi arati. Dunque, oggi che la montagna sembra ormai giunta al momento in cui scendono le ombre della sera che incutono timore, alle ultime ore del giorno; che le baite diroccano nelle ortiche, ed i pascoli di velluto sono infestati dalle felci, possiamo apprendere dalla leggenda che nulla è perduto e che, dopo la notte tornerà il mattino. La luce rosata sulle cime – conclude Tavo – può anche essere la prima di una nuova giornata, splendente di sole ridente di vita”.
Simmaco cabiddu
Nell’immagine: Albero della Libertà al ponte della Maddalena di Biella