Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche).
Laboratorio linguistico di storia e di cultura sarda a Biella
NÁRRE, nárrere log. ‘dire, raccontare, parlare, narrare’. Ha la stessa radice dell’it. narràre < lat. narrāre; quest’ultimo però è un verbo regolare; mentre narre appalesa un uso contorto e variato, tipico di un verbo le cui radici sono mal percepite. Si coniuga come i verbi in –áre ma presenta varie forme differenti: anzitutto l’infinito narre, da cui si estrae la radice na– che esprime all’ind. pres. nas (naras), nages, nana, nanta. Abbiamo poi le forme nanca, naki (composte da na-ki, congiunzione narrativa); l’ind. imperfetto fa navo; piuccheperfetto nesi, (naresi), (narzesi), (nelzei); imperativo na!, naḍi, (naraḍi), nemus, nage, nagemi!; congiuntivo nia, niemus; part. p. (narau), nadu, nau; gerundio nanno, (narenne), nenḍe, (nerzenḍe), nanḍe.
Wagner nel tentativo di dare un’etimologia al verbo irregolare nárre entra in grosse difficoltà, e nel tentativo di trovare una logica suppone una base *nárere, contratta poi in nárre, alla quale poi si è aggiunta la desinenza dell’infinito (nárrere), come accaduto anche per párre–párrere, mòrre-mòrrere. E tuttavia il verbo, che ha la semantica equivalente al lat. narrare, lo sorprende perché in tal caso soltanto l’infinito si sarebbe formato secondo la III coniugazione italiana, mentre tutte le forme – salvo l’infinito – hanno –r– e non –rr-. Egli osserva ancora che le altre forme di questo verbo sardo seguono lo schema della I coniugazione: naro, naras; imperfetto naravat (CSNT 184), naráit (CSP 179), naraìat attualmente. Il problema si complica peraltro perché la forma infinitiva camp. è nái, part. pass. náu. In log. abbiamo, con la forma participiale, nádu ‘detto, racconto, proverbio’; log. nada ‘voce, diceria, fama, rumore’.
Non si esce dal mistero di questo verbo complicato se non si ammette che la sua formazione – oggi indubbiamente riplasmata in parte sulle forme latina e italiana – ha basi etimologiche diverse da quelle latine. I suoi confronti stanno anzitutto nell’antico assiro narū(m) ‘stele’; ‘iscrizioni decretive, decreti’; ‘pietra di confine’ (che spesso conteneva per iscritto le indicazioni o descrizioni esatte del territorio); ha prodotto nadû ‘gettare le fondamenta (di costruzioni importanti)’; ‘prendere nota di’ (nello scrivere). Tali forme derivano a loro volta dal sumerico narua ‘stele’ < nadua: ‘pietra’ + du ‘erigere, ficcare per terra’: na-du-a ‘pietra infissa, stele’.
Va notato che in sumerico c’è alternanza tra il suono /d/ e il suono /r/, come ad esempio ru2 ‘costruire, erigere’ (letto anche du3), com’è proprio il caso dell’imprestito assiro-accadico na-ru2-a, narû ‘stele’. Ha la stessa radice il vocabolo sum. nār ‘cantante, musicista’. Ed è proprio da qui che prende avvio la sequela di radici assire, latine, italiche, sarde relative al “narrare” e relative pure ai ‘menhir iscritti’, recanti leggi, comandi, racconti. Infatti il sum. nār ‘colui che narra’, ‘colui che racconta cantando’, è proprio l’aedo, colui che tramanda le res gestae o altri episodi importanti della comunità.
Salvatore Dedola,
glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit “N”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009