Novembre, una parola sarda al mese: S come SARDIGNA

Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico di storia e di cultura sarda a Biella

incipit S, in Giampaolo Mele, Die ac Nocte

SARDIGNA. Siamo cortesemente invitati a deporre i dubbi sul vero nome dell’antichissima Sardegna. L’isola si chiamava SARDIGNA, esattamente come oggi. Se gli Italiani mutano la fonetica in Sardegna, sarebbe da rispondergli: “affare vostro!”. Purtroppo sappiamo che la toponomastica e la coronomastica attuali non si possono cambiare a piacere in quanto sancite in legge. Tant’è vero che nell’isola tutti i municipi hanno deciso di usare anche il nome sardo del proprio villaggio (le nuove leggi lo consentono), salvo però l’affiancamento del granitico nome italiano: quindi Puttu MajorePozzomaggiore. Fastidioso, vero?
Gli Italiani però non avevano deciso a capriccio il nome dell’Isola, avendolo scimmiottato dagli Spagnoli, che nei secoli passati ebbero mire, pretese e forze imperiali, ed infatti possedevano mezza Italia. A questi la nostra isola suonava come Cerdeña (bontà loro…) e lo Stato italiano fu sin troppo magnanimo a restituirci la –a– di Sardigna. Però ci manca ancora quella –i– intermedia, ed è insostituibile in quanto base portante di una legge fonetica mediterranea che ora spiegherò.

Meno male che nessun glottologo italiano ha voluto infierire sull’incompreso –gna, che a tutti resta insignificante (bontà loro!). In più, alla negligenza dei cattedratici italiani supplisce la …”solerzia ascara” di quelli sardi. I quali, convinti prussianamente che in Sardegna tutto ciò che tocchiamo o evochiamo sia eredità spagnola, hanno sancito da 160 anni che l’intero coronimo, compreso –gna, dev’essere iberico (bontà loro).

A questo punto i miei lettori avranno capito che la SARDIGNA si trova impantanata in un guazzabuglio linguistico. Tranquilli!: non c’entra la storia, a noi manca soltanto un po’ di disciplina. Se fosse stato abituale lo studio e la riflessione, tutto sarebbe risolto, e nessuno più scenderebbe in campo a difendere le pronunce cantonali dell’isola (tipo il romaneggiante Sardìnia o l’italianeggiante Sardìnnia). Le quali sono distinzioni fascinose, ma sono soltanto elementi di disturbo, e non hanno il diritto di rubare la vera essenza del primitivo nome dell’Isola.

Storicizzando, notiamo che il nome dell’isola venne scritto primamente dai Sardi circa il 950 a.C., ai tempi di Salomone. I Sardi (dagli Egizi chiamati Shardana) stavano cominciando la navigazione di riflusso dai Paesi conquistati durante l’epopea dei Popoli del Mare. Essi tornavano per commercio in Sardigna, nella madre-patria, erano i nipoti dei conquistatori andati in Oriente, e si portavano appresso l’alfabeto da loro stessi inventato in terra di Giahy (da Omero chiamata Fenicia ma da loro chiamata propriamente Giahy, talché i residenti sardi, riconoscendo i Fenici come nonni, li identificarono propriamente come i figli dei nonni-marines, e da allora li chiamarono giajus ‘nonni’). Fenici o Giàjus, sarebbe lo stesso, a ben vedere, ma lo zampino messoci da Omero pesò, eccome!, e sinora le accademie stentano a riconoscere che sarebbe meglio tornare a chiamare Giahy il lembo di terra libanese, così come fu chiamato dagli Egizi per tanti secoli.

Is Giajus, i nonni, erano tornati da Giahy, e col nuovo alfabeto avevano scritto, in sardo, la Stele di Nora. Quella Stele è il primo documento in lingua sarda, al contempo è il primo documento nella storia d’Occidente. In esso ecco apparire il nome SARDIGNA.

Nella Stele norense c’è scritto che a Nora, chiamata Nùgura, si recò Saba (un bel nome che in ebraico significa ugualmente “nonno”, ed oggi lo conserviamo come il primo cognome della Sardegna). Saba fondò Nora-Nùgura e se ne ascrisse il merito. Egli scompartì in due la Stele: nella prima parte c’è la dedica («Prosperità all’insediamento principale, quello di Nùgura in Sardigna»); nella seconda c’è l’autopresentazione («Chi augura prosperità è Saba figlio di Melk-Aten, che ha costruito Nùgura di propria iniziativa»). In totale 20 parole antico-sarde.

Si badi che nella Stele il coronimo SARDIGNA è scritto ŠRDN. Le ragioni sono due: la prima ci ricorda che Is Giàjus (gli Ugaritici-Fenici del Ritorno) scrivevano le consonanti senza le vocali. La seconda ragione ci ricorda che Is Giàjus non avevano due caratteri per distinguere –gn– e –n-. Lo stesso accadde ai Romani, che scrivevano soltanto Sardinia, mai Sardigna. Invece i Sumeri avevano due grafie per le due consonanti, e sappiamo che GN presso di loro significava ‘casa, patria, insediamento, luogo in cui si vive’, mentre ane (‘egli’) era all’occorrenza un aggettivo di appartenenza, accodato come suffisso alla voce da connotare, così come facevano gli Egizi, i quali nominavano “quelli di Sardigna” come Šardana, Šardin, registrati come Šarṭana, Šarṭenu, Šarṭina (EHD 727b); quindi i suffissi di origine già alla prima apparizione erano in –ana, –enu, –ina: non possiamo dimenticarlo. Gli Ebrei, che molto presero dalla loro patria intermedia (l’Egitto), seguivano gli Egizi, e l’afformante ebraico –ān indica l’appartenenza esattamente come in Egitto, esattamente come dai Sumeri, esattamente come accade presso noi Sardi.

Sard-ì-gna è quindi il nome più antico dell’isola, col suo legante –i– spia di uno stato costrutto identico per l’intero Mediterraneo. Sardì-gna (in sumerico Šardīĝa) significò in origine ‘Casa dei Sardi’, ‘Dimora dei Sardi’.

L’analisi non è completa se non rammentiamo che in origine la lingua mediterranea (preziosa eredità dell’Homo Neanderthal, poi perfezionata dall’Homo Sapiens) era formulata a monosillabi. Ogni monosillabo un nome, un concetto, un universo. E per formulare i rapporti di dipendenza o genitivali, ecco che un giorno sortì quella magica –i– a legare due parole. Fu così che nacquero le prime catene foniche che divennero voci bi-sillabe, e tale tradizione è riconosciuta come accadica.

Già. Però Sar-di-gna ha tre sillabe. Certo! Se è per questo, oggi le lingue hanno anche dei quadrisillabi. Nessun problema. Tutto si spiega tornando alle origini. Possiamo notare che il tri-sillabo della Stele di Nora (ŠRDN) ebbe un seguito – questione di poche centinaia d’anni – con Erodoto 1, 170, che mostrò la forma-base-mediterranea del coronimo primevo, Σαρδώ: due sillabe che mostrano un’età sicuramente plurimillenaria. L’arcaismo di Σαρδώ è dimostrato tra l’altro dalla facilità di circolazione di quel nome per tutto il Mediterraneo. Ad esempio, apparteneva anche alla moglie di Tirreno, il principe lidio che una tremenda carestia spinse per altre terre.

L’analisi di Σαρ-δώ è facile, riposa sul sumerico sar ‘giardino’ + ‘tutto quanto’, componibile in sar-dū: ‘Tutta un Giardino’. Strabiliante questo nome sumerico dato alla nostra Isola e poi alla moglie di un principe anatolico. Ovviamente si tratta di un epiteto pre-neolitico, quando la Sardegna risplendeva per tante risorse, per i minerali, i coralli, le magnifiche foreste, le pianure ubertose.

Σαρδώ ci attesta che l’isola poteva essere nominata in due modi: o con un arcaico bi-sillabo sumerico, o con un contemporaneo tri-sillabo sumerico, parimenti arcaico, la cui scomposizione mostrava lo stesso impianto originario. Infatti aggiungendo –gna si manifestava la ‘dimora’, il posto di residenza del popolo sardo.

La questione sarebbe ora risolta se non ci scoppiasse una seconda volta tra le mani la “teoria delle colonizzazioni”, dalla quale emergerebbe che la Sardegna sia stata eternamente oggetto d’invasioni e che per se stessa sia stata sempre incapace di formulare una propria personalità tra le civiltà mediterranee. Chi crede a tale teoria è convinto che Sardṓ derivi da Sardi (l’omerica Σάρδεις) città lidia, da cui appunto mosse Tirreno con sua moglie Σαρδώ. Ma Giovanni Semerano (Origini della Civiltà Europea) ci fa notare che ai tempi di Omero quel termine appariva già corrotto: infatti la capitale della Lidia ebbe il nome originario di Sfard, persiano Saparda, ebraico Sephārad. Quindi sembra ovvio che il bisillabo sar-dū, antitetico alle forme appurate come lidie, preesistette quale nome dell’isola mediterranea perché autoctono, distinto dal nome della capitale lidica.

Salvatore Dedola,
glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit “S”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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