Giovedì 14 Marzo, con le professoresse Annalisa Ledda e Vincenzina Palamara siamo andati a Pettinengo a visitare il “Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli”. Davanti all’antico oratorio di canton Gurgo, ci aspettava Battista Saiu, insegnante, antropologo e presidente dell’Associazione “Su Nuraghe” di Biella. Entrati in chiesa ci siamo seduti su sedie di legno messe a cerchio. Battista ha parlato dei migranti, spiegandoci che anche noi lo potremmo essere perché i nostri genitori o i nostri nonni vengono da varie parti d’Italia e quindi ci ha invitato a costruire i nostri alberi genealogici. Ci ha anche detto che non solo le persone ma anche uccelli, pietre e piante migrano.
Le persone che migrano molto spesso sono discriminate. Un esempio sono gli zingari, un popolo perseguitato anche per le sue diverse usanze, alcune delle quali illustrate in grandi fotografie appese alle pareti della chiesa in cui siamo stati accolti. Discriminati e cacciati dal territorio in cui fanno sosta nel loro continuo viaggiare gli zingari sono chiamati “apolidi” (dal greco a=senza, polis=città), senza città fissa in cui risiedere.
Dopodiché ci siamo spostati nel museo vero e proprio (che si trova a pochi passi): nella prima sala il soggetto erano le “mondine”, ragazze che andavano in cerca di lavoro da sole perché volevano avere una vita migliore e sostenere la famiglia, portando a casa la paga di una stagione di monda: 50 kg di riso. Per contenere questa ricompensa si portavano dietro una cassa di adeguata capienza e, su di essa, i cuscini dove poggiare il capo, perché, spesso, erano costrette a dormire per terra senza neanche un appoggio per la testa. Le mondine erano costrette a stare ore con i piedi a bagno. Immerse fino alle ginocchia, venivano morsicate delle sanguisughe (alcune donne, per combatterle, indossavano delle lunghe calze scure). Abbiamo anche imparato che il nome “mondina” deriva da “monda” (estirpazione di erbe infestanti) tempo di circa 40 giorni di lavoro di queste ragazze.
Successivamente ci siamo spostati in un’altra stanza con al centro una statua “La Madre dell’ucciso” del Nuorese Francesco Ciusa (unica in marmo delle tante copie in gesso e in bronzo), che rappresenta un’anziana donna sarda che piange per la morte del figlio ammazzato. La nostra guida ci ha fatto notare e toccare numerosi dettagli di vene su mani e piedi, rughe sul viso e drappeggio del vestito della donna scolpiti con estrema precisione. La presenza di quest’opera d’arte che migra (custodita a Villa La Malpenga di Vigliano Biellese dal 1942 ed ora esposta al pubblico nel museo delle Migrazioni di Pettinengo), sarebbe già motivo sufficiente per fare un viaggio nel nostro Biellese, fino a Pettinengo.
Passati nella terza e penultima stanza del museo abbiamo visto sei specie diverse di uccelli impagliati, con i grafici delle loro rotte migratorie tra Europa ed Africa, con indicate soste in Sardegna e nell’arco alpino, compreso il Biellese.
Entrati nell’ultima stanza, Battista ci ha spiegato che pure le pietre possono migrare da una parte all’altra del mondo per mano dell’uomo che le usa per la costruzione di strade, case e palazzi. Sempre nella stessa stanza il signor Saiu ci ha fatto notare un calice con patena, rivestiti d’oro proveniente dalla miniera di Furtei (Cagliari), lavorato in filigrana d’argento. È il prototipo, lo sbozzo, il modello impiegato per la realizzazione del prezioso “Calice della Sardegna”, custodito nel Museo dell’arcidiocesi di Cagliari, usato nell’Isola per le più importanti cerimonie religiose.
Nell’ultima stanza abbiamo visto alcuni tipi di minerali come: ossidiana, oro di Furtei, oro nativo sardo di Monte “Ollasteddu” e quarzo aurifero del Monte Rosa, ecc. In una parte della stessa stanza, sono esposti altri oggetti, tra cui una bambola in abiti tradizionali sardi che veniva esposta su comignoli e balconi delle case le sere di fine anno, in Sardegna come in Piemonte e in molte parti del continente europeo, ad annunciare il nuovo che prende il posto del vecchio, in sostituzione dei ben più noti: befana e Babbo Natale. Infine, un video sulla produzione dell’oro nella miniera di Pestarena (Verbano Cusio Ossola). Tra gli oggetti in mostra, una macina per “pestare la rena”, usata in Valle Ossola per frantumare le pietre aurifere, con accanto un’altra macina del tutto simile a quelle usate dai faraoni, risalenti a tremila anni fa, impiegata nei “territori limitrofi dell’Arabia” (come scrive Diodoro Siculo (90 a.C. circa – 27 a.C. circa), esempio materiale di migrazione di tecnologie.
Questa gita al Museo delle Migrazioni di Pettinengo è stata molto costruttiva perché ora conosciamo un po’ più la storia delle mondine ed il lavoro che svolgevano; abbiamo scoperto specie di uccelli che fanno migliaia di chilometri per spostarsi da una parte all’altra del mondo e alcune usanze degli Zingari; quindi se volete sapere anche voi queste cose venite a Pettinengo a visitare il Museo delle Migrazioni.
I ragazzi della IIIA,
Scuola Secondaria di Primo Grado “G. Boggiani”, Mongrando
Nell’immagine: ragazzi della Scuola di Mongrado in visita al Museo di Pettinengo