Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli di Pettinengo – via Fiume, 12 – aderente alla Rete Museale Biellese – visitabile tutte le domeniche dalle ore 14:30 alle ore 18:30 – Info e prenotazione: Idillio, 3343452685 – Ingresso libero.
Esistono luoghi geografici. Sussistono spazi dell’arte e della cultura. Si svelano, cercando con passione e volontà, luoghi dello spirito, oltre le consistenze fisiche e le collocazioni territoriali. In questo particolare anno 2020 quelle appena scritte non risultano essere mere parole ma dati tangibili e verificabili.
La Sardegna, consueta meta di turismo di massa nei mesi estivi, in queste settimane è all’attenzione delle cronache per le problematiche dovute al Covid-19. In queste circostanze, turisti ed emigrati – specie se avanti negli anni – hanno scelto di non salpare dal Continente verso l’Isola amata in parte per motivi dovuti alla crisi economica, in parte per sicurezza, se non (ahi-noi, sic!), per prudenza dovuta a timori personali e collettivi. Dolore e danno sono stati, e risultano, conseguenti per chi considera questa Terra al centro del Mar Tirreno la propria patria, se non l’eletto luogo del cuore.
Contemporaneamente, proprio in Sardegna, dall’altra parte del mare, sussistono “chiusure” che colpiscono proprio chi vi abita, al di là della contingente situazione sanitaria, chiusure dovute a problematiche organizzative, strutturali e finanziarie ormai ricorrenti.
Emblematico il caso del “Museo Ciusa”, a Nuoro (NU), risultante inaccessibile al pubblico da qualche anno. Ivi erano esposte le opere di Francesco Ciusa (1883-1949), l’artista isolano che, all’inizio del XX Secolo, ha segnato l’ingresso della Sardegna nella scultura moderna non solo italiana, ma mondiale.
Tra tutte, la sua opera più nota – e di valore identitario, soprattutto per i Sardi di ogni dove – la Madre dell’ucciso. La statua, presentata, in gesso, alla Biennale di Venezia del 1907, raccolse al tempo un inaspettato consenso da parte della critica, tale da competere con le sculture di un artista di valore mondiale quale Rodin. Inserita perfettamente nello spirito artistico dei suoi tempi e frutto di una faticosa gestazione a Nuoro – la cosiddetta Atene di Sardegna -, pur rappresentando un momento di vita sarda di inizio ‘900 (un’anziana nuorese nell’atto di compiere sa ria, la veglia funebre per il figlio ucciso in una faida), la statua si incardina lungo i filoni realista e verista, presentando, contestualmente, uno stile “classico” e secessionista.
L’artista, facendo tesoro dei modelli e degli insegnamenti appresi negli anni trascorsi all’Accademia di Belle Arti di Firenze, distaccandosi dalla preferenza per il nudo che imperava ad inizio ‘900 nella scultura italiana, riuscì a conciliare solidità dei volumi ed ritmo di linee creati dalle pieghe del vestito, con magnifica precisione anatomica e l’inserimento dell’ombra sul volto attraverso il copricapo, prendendo ispirazione da opere di epoca rinascimentale, in particolare da quelle di Donatello, stando ad alcuni critici dell’arte, quali Giuliana Altea.
In tal modo, attraverso il linguaggio universale dell’arte, Francesco Ciusa riuscì a dare un messaggio forte e simbolico, portando la “Sardegna” al di fuori dell’Isola.
Oggi, come accennato, sebbene diverse magnifiche opere d’arte di Francesco Ciusa non siano direttamente accessibili al pubblico nel museo a lui dedicato nel capoluogo barbaricino – con ingiusto grave danno non solo per i turisti, ma per la stessa popolazione locale e di quanti amano la Sardegna e la visitano come “pellegrini” innamorati della sua gente, della sua storia e della sua natura -, alcune sono ammirabili altrove, sia sull’Isola, sia oltre mare.
Tra i siti fuori Isola, il Museo delle Migrazioni, Cammini e storie di Popoli, a Gurgo di Pettinengo (BI). Una sede espositiva particolare, donata da emigrati piemontesi in Francia e ceduta alla Regione Autonoma Sardegna, bene regionale sardo “extraterritoriale”. Ivi è custodita la copia in marmo della Madre dell’ucciso di Francesco Ciusa, commissionata, in prossimità della citata Biennale del 1907, per Paolo Triscornia, allora industriale del marmo e collezionista di Carrara. Espostala nel 1934 nel proprio stand in occasione della I Mostra Celebrativa del Marmo di Carrara, egli la cedette, unitamente ad altre opere, il 2 Aprile 1942 (per Lire 68.000) al conte Vittorio Buratti, forse con la mediazione del pittore sassarese Giuseppe Biasi. Il nobile industriale biellese la pose nel adornò giardino della Villa Malpenga, nel territorio di Vigliano Biellese (BI), ove la stessa opera è rimasta custodita fino alla sua riscoperta, avvenuta pochi anni or sono, ed ora meritoriamente concessa all’esposizione pubblica dagli eredi dello stesso conte.
Ecco, dunque, come, nell’ecomuseo subalpino è sorto un luogo di incontro, confronto, memoria ed arte mediante il contributo dei locali Sardi dell’Altrove.
Il tutto in una «Sardegna al di qua del mare», che evidenzia come l’«identità» sia «sempre e solo frutto di una scelta» (cfr. C. Accardo – N. Gabriele, Scegliere la patria, 2011).
Gianni Cilloco
Nell’immagine (pre emergenza covid19): Docenti e studenti americani della University of Southern Mississipi, di Hattiesburg in visita al Museo delle Migrazioni di Pettinengo ritratti accanto a “La Madre dell’ucciso”, statua in marmo di Francesco Ciusa (archivio anno 2019)