Lingua madre sulle tracce delle parole dallo Spagnolo al Sardo

Donne del grano a Nuraghe Chervu

Martedì 26 maggio, ore 21:00, appuntamento con il Laboratorio linguistico di Su Nuraghe. Collegamento transoceanico con il Circolo sardo “Antonio Segni” di la Plata (Argentina) – Tra i testi, la poesia “Trattiènde peràulas” composta da Roberto Canu di Ozieri per Su Nuraghe di Biella in cui vengono presentati prestiti e trasferimenti linguistici dallo spagnolo al sardo

Trattiènde peràulas” (proprio così, con la “e”, perché, in ozierese, è molto più usato il termine “pèraulas”, anche se la versione “paràulas”, con la “a”, non è del tutto inutilizzata) non ha alcuna velleità linguistica, ma vuole essere solo un piccolo compendio, in versi, dei lasciti e/o, se vogliamo, di alcuni parallelismi riscontrabili tra la Lingua sarda e la Lingua spagnola.
Tutto ciò considerando solo l’aspetto della similitudine fonetica, quindi “sonora”, e del significato di alcune parole, ma senza entrare nell’ambito etimologico – territorio dei linguisti e delle loro interessanti teorie – su quale termine sia nato prima.
Dare una risposta alla domanda su chi, per primo, abbia influenzato l’altro, se il dominatore o il dominato, spetta ai linguisti e agli etimologi, che hanno gli strumenti e la preparazione per formulare e/o confutare teorie ed ipotesi.
Attualmente, le teorie dei linguisti sono varie e interessanti, talvolta contrapposte, ma il compito di sciogliere i dubbi spetta a loro e non a noi, che siamo solo dei comuni fruitori delle loro ipotesi e dei loro studi.
Tornando, invece, a “Trattiènde peràulas”, come già detto, non si tratta d’altro che di una piccola raccolta in versi – composta da otto quartine più una cosiddetta “Ottava serrada”, in finale – perché le similitudini tra parole sarde e talune dell’idioma iberico, sono sicuramente molte di più.
Saludos a tottu sos sotzios de su “Circolo – Su Nuraghe” de Biella e a nos bider sanos”.

Roberto Canu


Trattiènde peràulas

Ispagnola est sa peràula rodìglia,
comente in su sardu nd’amus maicantas.
Comente si t’assùstas o t’ispàntas
o coment’est, ettottu, barandìglia.

Gai puru su balcone, chi est ventàna,
e luègo chi “sùbitu” li namus.
B’est suttèa e b’est puru cembràna
e tzillèri, ch’est su logu ue buffamus.

Sa mesa est sa banca apparitzada,
nende zostre faeddamus catalanu
e si bi la sighimus, manu-manu,
b’at logos ue a “dogni”, narant: cada.

Atterùe una faccia est una cara
e a sas cortes lis narant sos corràles.
Ses diciòsu si sorte no est avara
e duas cosas pretzisas sunt cabàles.

S’amistàde, in sa vida, est un’aggiùdu
e si cantant gosos a su divinu.
Impittamus sa cuba pro su ‘inu
e namus: “càgliadi!”, pro narrer: “mudu!”

Sa manta est in su lettu pro su frittu,
su pingèllu colorat sa bellesa,
sa matta podet esser de malesa
e sa gana o est boza o appetitu.

Medìre cheret narrer mesurare
e sas prendas sunt de plata e de oro,
s’amargùra ti càrigat su coro
e su chi faltat si podet buscàre.

In-d-una pelèa cheret chi lottes
e pro ischire una cosa la pregùntas.
Si ses tostu che burrìccu, t’impuntas,
e in sos pes pones iscarpas o bottes.

Ma no est solu s’ibèricu faeddu
ch’in su sardu at lassadu inferchiduras
de verbos e peràulas, a fiotteddu.
Sas limbas non sunt mai restadas puras,
nemmancu sas ferrinzas e pius duras
e sos linguistas girant su cherveddu.
Ma custa est una mìnima regolta,
pro s’olvidàdu… a un’àttera ‘olta!

(Roberto Canu – Ozieri – 18.05.2020)

Sulle tracce delle parole (Traduzione libera)

Rodìglia indica la rotella tagliapasta ed è un termine spagnolo,
come tanti altri ne conta il sardo,
come se ti assùstas, ti spaventi o ti ispàntas, ti meravigli,
o com’è pure barandìglia, la ringhiera.

Altrettanto per finestra, che chiamiamo anche ventàna
e per l’avverbio subito per cui talvolta usiamo luègo.
C’è suttèa che è l’altana e pure cembràna, il telaio della porta
e così tzillèri, che indica un locale di mescita.

Chiamiamo mesa il tavolo su cui si mangia,
se usiamo la parola zostre stiamo dicendo soffitta in catalano
e così, continuando con gli esempi,
ci sono varianti del sardo dove per dire ogni, si usa cada.

Altrove, per dire viso si dice cara
e i cortili vengono chiamati corràles.
È diciòsu, fortunato, chi non ha la sorte avversa
e due cose uguali tra loro, vengono dette cabàles.

L’amistàde è l’amicizia, che nella vita è di grande aiuto,
e per la divinità si cantano le laudi, i gosos.
La cuba è la botte per il vino
e diciamo: càgliadi! per dire: taci!

Sul letto, per il freddo, usiamo la manta, la coperta,
l’arte del pingèllu, del pennello, colorisce la bellezza,
la parola matta indica un macchione, della malesa, del sottobosco intricato
e gana può essere un desiderio o un appetito.

Medìre significa misurare
e la plata è l’argento che, con l’oro, impreziosisce i gioielli,
la amargùra è la tristezza che fa avvizzire il cuore
e ciò che faltat, manca, si può buscàre, cercare.

Una pelèa è una lotta
e per sapere qualcosa la pregùntas, la chiedi.
Se sei testardo, ti ostini come un somaro, un burrìccu
e ai piedi indossi scarpe o bottes, gli scarponi.

Ma non è solo l’idioma iberico
ad aver lasciato, innestati nel sardo,
verbi ed altre parole in abbondanza.
Le lingue non sono mai rimaste pure,

nemmeno le più ferrigne e resistenti
e i linguisti vi smaniano appresso.
Ma questo è solo un piccolo compendio,
per ciò che ho olvidàdu, dimenticato… alla prossima volta!

Glossario e Note
Rodìglia: dallo spagnolo “rodilla” (pronuncia: rodìya) che indica il ginocchio, dove c’è la rotula che è di forma discoidale come una rotella. La nostrana rodiglia è appunto quella rotella, dotata di manico, che serve per intagliare la pasta fresca e resa sottile da una spianatura, ed il cui bordo, seghettato o “zigzagante”, crea un taglio merlettato ed artistico.

Assùstas: dallo spagnolo “asustar”, che significa: spaventare, impaurire.

Ispàntas: dallo spagnolo “espantar”, che significa (come “asustar”): spaventare, impaurire.
Nota: Il verbo ispantàre, in sardo, ha assunto anche il significato di: meravigliare, stupire.

Barandìglia: dallo spagnolo “barandilla” (pronuncia: barandìya), che significa: ringhiera, balaustrata.

Ventàna: dall’identico termine spagnolo, che significa: finestra.

Luègo: dall’identico termine spagnolo, che significa: subito, immediatamente.
Nota: in sardo ha anche l’accezione di: poi, in seguito, più tardi.

Suttèa: dallo spagnolo “azotea” (pronuncia: “assotèa”), che significa: terrazzo.
Nota: In alcuni centri della Sardegna, e in special modo ad Ozieri, l’architettura urbana è impreziosita da molte suttèas. Queste sono delle altane, cioè dei terrazzi, all’ultimo piano delle case, coperti e delimitati da un colonnato lungo tutto il perimetro o parte di esso. Il termine sardo viene talvolta riportato graficamente con una sola “t”.

Cembràna: dallo spagnolo “chambrana” (pronuncia: “ciambràna”), che significa: intelaiatura e/o ornamento di pietra o legno, che aggira porte e finestre. [Ndr. È termine tecnico anche in italiano]
Nota: Nel gergo ozierese, il termine cembràna ha assunto anche la connotazione di: sbornia, ubriacatura.

Tzillèri: dallo spagnolo “cillero” (pronuncia: “ssiyèro”), che significa: cantina, magazzino, dispensa.

Mesa: dall’identico termine spagnolo, che significa: tavolo.

Zostre: dal catalano “sostre” (pronuncia: “ssòstre”), che significa: soffitta.

Cada: dall’identico termine spagnolo, che significa: ogni, qualunque.

Cara: dall’identico termine spagnolo, che significa: faccia, volto.

Corràles: dallo spagnolo “corral”, che significa: cortile o spazio chiuso e recintato (anche) per tenervi il bestiame.

Diciòsu: dallo spagnolo “dichoso” (pronuncia: “diciòsso”), che significa: fortunato, felice.

Cabàles: dallo spagnolo “cabal”, che significa: preciso, esatto, uguale.

Amistàde: dallo spagnolo “amistad”, che significa: amicizia.

Gosos: dallo spagnolo “gozar” (pronuncia: “gossàr”), che significa: gioire, godere. [Cfr. lat. Gaudeo; ndr.]

Cuba: dall’identico termine spagnolo, che significa: botte per il vino.

Càgliadi: dallo spagnolo “callar” (pronuncia “caiàr”), che significa: tacere.

Manta: dall’identico termine spagnolo, che significa: coperta.

Pingèllu: dallo spagnolo “pincel” (pronuncia: “pinssèl”), che significa: pennello.

Matta: dallo spagnolo “mata”, che significa: cespuglio, macchione.
Nota: Nel sardo, il termine è usato anche per: pancia, addome – e viene talvolta riportato graficamente con una sola “t”.

Malesa: dallo spagnolo “maleza” (pronuncia: “malèssa”) che significa: sottobosco.

Gana: dall’identico termine spagnolo, che significa: voglia, appetito, brama, desiderio.
Nota: La rima frittu-appetìtu è una cosiddetta “rima imperfetta”, “quasi-rima” o anche “rima per l’orecchio”, cioè un’assonanza dove si hanno vocali uguali, ma consonanti o numero di consonanti diverse; come fra i termini “seta” e “setta”, ad esempio. Per la tendenza sarda a pronunciare le doppie ovunque, appetìtu, è come se avesse due “t” entrambe le volte.

Medìre: dallo spagnolo “medìr”, che significa: misurare. [Cfr. sanscrito, rad. ma, misurare; greco, italiano e latino: met-ro; ndr.]

Prendas: dallo spagnolo “prenda”, che significa: gioiello, pegno.

Plata: dall’identico termine spagnolo, che significa: argento.

Amargùra: dall’identico termine spagnolo, che significa: amarezza, tristezza.

Faltat: dallo spagnolo “faltar”, che significa: mancare, venir meno.

Buscàre: dallo spagnolo “buscar”, che significa: cercare, ricercare.
Nota: In ozierese, il verbo buscàre viene usato non solo col significato originario di: cercare qualcosa – ma anche col senso di: trovare qualcosa. Ad indicare, quindi, non solo lo sforzo di ottenere, ma anche il buon esito dello sforzo, il successo della ricerca.

Pelèa: dall’identico termine spagnolo, che significa: lotta, litigio, contrasto.

Pregùntas: dallo spagnolo “preguntar”, che significa: domandare, chiedere.

Burrìccu: diminutivo dello spagnolo “burro”, che significa: asino, somaro.

Bottes: dallo spagnolo “bota”, che significa: stivale, scarpone.
Nota: Il termine sardo viene, talvolta, riportato graficamente con una sola “t”.

Olvidàdu: dallo spagnolo “olvidar”, che significa: dimenticare, scordare.


Nell’immagine: Biella, “Donne del grano” a Nuraghe Chervu, in primo piano “sa mantiglia” bianca e celeste in uso nel Sulcis. La mantiglia è lo scialle ricamato che le donne spagnole portano sostenuto da un alto pettine e ricadente a coprire le spalle e il petto.

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