Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”
Tra i termini poetici più frequenti nelle liriche de la bela scòla dij Brandé (1927) troviamo la parola “obada”. Il verso è tratto da una poesia di Tavo Burat, biellese, indubbiamente il più grande cultore del lessico ancestrale, studioso di testi piemontesi antichi e strenuo difensore del piemontese come lingua di poesia e di vita.
Ecco il verso: … (i) savoma bin lòn ch’as peul fé (an) largand al vent le nòste obade … [Tavo] = … sappiamo bene cosa si può ottenere liberando al vento le nostre ballate svegliarine …
La parola è « obada », alla lettera « alba », ma qui « canzone » o « serenata » che si cantava sotto la finestra della bella allo spuntar del sole, quando la stella di Lucifero svaniva. Tra le “obade” si annoverano le più belle liriche della poesia occitana e della poesia piemontese.
Il poeta traduce qui “obada” con “ballata svegliarin-a”, cioè ballata che dava la “sveglia”.
Come genere ricorda molto da vicino “Mattinata fiorentina” di Alberto Rabagliati e la famosissima “Mattinata” di Ruggero Leoncavallo.
Sergio Maria Gilardino
Nell’immagine: l’incipit “O”, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii Challandi (sec. XV), Priuli e Verlucca 1993, copia facsimile posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda.