Sabato 20 giugno, ore 21:00, Chiostro San Sebastiano – Festa sarda a Biella con “Istentales in concerto” – Domenica 21 giugno, ore 10:30, Basilica San Sebastiano, Missa Majore cantata in sardo – ore 12:00, cerimonia a Nuraghe Chervu – ingresso libero – pandemia permettendo.
La giornata di martedì (28 Aprile 2020), con le sue incertezze climatiche a rendere meno pesante la forzata clausura, è stata per i Sardi di Biella occasione di rinsaldare i legami con la terra di origine.
L’esposizione della bandiera dei Quattro Mori è il segno visivo di partecipazione alla festa nazionale del Popolo sardo “Sa Die de sa Sardigna”. Sui gruppi di chat attivati da Su Nuraghe, compaiono fotografie per cercare di superare questo difficile periodo, mantenendo e sollecitando legami di solidarietà, di appartenenza e di vicinanza.
Significativa partecipazione e creatività si sono intrecciate, ad esempio, nel caso di un sardo di seconda generazione, che, sprovvisto di bandiera sarda, ha autoprodotto l’importante insegna con la stampante del suo PC, facendosi poi ritrarre sul balcone di casa con “sa berritta” in testa e in mano la sua bella bandiera, affiancata al Tricolore italiano.
Nei luoghi di emigrazione, per i “Sardi dell’Altrove” il Tricolore, divenuto italiano, e i Quattro Mori di Sardegna sono una costante che rimanda al lontano 1848. All’epoca, tra alterne vicende, la tripartizione cromatica italica, quale simbolo della nazione, risorse dalla clandestinità durante la concitazione degli eventi che condussero alle gloriose, seppur sfortunate, circostanze del biennio 1848-1849.
In tali frangenti, il Re di Sardegna, Carlo Alberto, a seguito del suo proclama di guerra del 23 Marzo 1848, facendo proprio l’emblema adottato dai patrioti dei moti antiaustriaci delle Cinque Giornate di Milano, decretò l’adozione del Tricolore dapprima sui vessilli e sugli stendardi dell’Esercito Sardo, che stava penetrando in Lombardia, con la sovrapposizione dello scudo sabaudo, «per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dell’unione italiana»; e, a seguire, quale “bandiera” e nelle coccarde di Stato.
Una scelta politica cui fece seguito, con diverse varianti nei fregi e nelle insegne, il diffuso utilizzo del Tricolore nazionale negli altri Stati della Penisola da parte dei “rivoluzionari” del periodo risorgimentale, fino all’Unità territoriale del 1861.
L’antico Regno di Sardegna, dopo la II Guerra d’Indipendenza e il compimento dell’epopea garibaldina nel Sud della Penisola, il 17 Marzo 1861, si mutò nel nuovo Stato unificato, che acquisì la denominazione di “Regno d’Italia”, in cui “Sardegna” è sostituito da “Italia”.
Le «bandiere» altro non sono che la rappresentazione delle intere vicende dei popoli, perché frutto della storia del linguaggio di colori delle identità, forma dei sentimenti e misura delle emozioni condivise. La stessa lezione – bandiera – rivela ciò nel suo etimo, poiché il termine – concernente “drappi di tessuto” – risulta derivare dalla radice indoeuropea «bhā», «apparire, mostrare, divulgare».
Proprio in quanto tali, gli stendardi, i vessilli e le insegne, anche in versione riprodotta e ridotta nelle dimensioni e nelle forme – foulard, fazzoletti, coccarde e distintivi vari – da sempre contrassegnano ed identificano gruppi. Ciò vale, per lo più, sotto un’ottica funzionale più propriamente strategica, nel contesto della politica; oppure, in ambito religioso, dove sono simbolo di protezione, concessa o richiesta, o di invocazione di un intervento divino; aspetti tuttora recepiti negli odierni cerimoniali locali dell’area cristiana, all’interno dei quali si è sedimentato l’uso di segni, sia nell’ambito di pellegrinaggi sia nel corso di solenni rituali processionali e paraliturgici.
Da tali costanti non si esime il simbolo del Tricolore italiano, emblema di un’identità nazionale «fatta di una molteplicità di culture, di ideali e di differenze». (G. Delrio)
La bandiera nazionale vide la sua nascita e l’evolversi della sua storia proprio nell’ambito di situazioni popolari, per lo più cittadine, eventi ed episodi, cui fecero seguito, successivamente, sostanziali avalli dell’Autorità Pubblica del tempo.
Nel 1794, a Bologna, l’impiego dei tre colori appare nel corso di un tentativo di cospirazione, durante il quale due giovani, Luigi Zamboni e Giovanni Battista de Rolandis, fecero distribuzione di coccarde tricolori, ispirandosi alla tripartizione cromatica della contemporanea Francia rivoluzionaria.
Questo Tricolore, impiegato quale stendardo militare da parte della Legione Lombarda durante la prima campagna napoleonica in Italia, trovò il suo recepimento pubblico e formale con la votazione dei deputati della Repubblica Cispadana a Reggio Emilia, il 7 Gennaio 1797. A partire da questo momento, dopo l’accoglimento come vessillo di Stato durante la dominazione di Bonaparte della Penisola, l’insegna divenne emblema “fuorilegge” nel corso della Restaurazione.
In Sardegna, nella primavera dello stesso 1794, scoppiarono i moti rivoluzionari contro la tirannia sabauda, che sono all’origine della celebrazione di “Sa Die de sa Sardigna”. I Savoia, disattendendo i trattati internazionali attraverso i quali erano divenuti Re di Sardegna, si rifiutavano anche di convocare il Parlamento sardo, gli Stamenti, il massimo organo isolano di rappresentanza del Regno di Sardegna.
Nonostante la costante fedeltà dimostrata dai Sardi verso la Corona, ben riassunta nel motto “Deus et su Re”, la goccia che fece traboccare il vaso fu l’ingratitudine sabauda a riconoscere l’eroismo dei Sardi davanti ai tentativi di invasione dell’Isola da parte dei Francesi, che mai la conquistarono.
A ciò va aggiunta una palese incapacità di governare, ben evidente nell’atteggiamento dispotico alla base del rifiuto di ricevere la delegazione del Parlamento sardo auto convocato. La delegazione fu tenuta alla porta per interi mesi fuori dalla corte di Torino.
Frustrazione e umiliazione furono tra le cause scatenanti la ribellione. Lo scontento popolare, dovuto anche ai mancati compensi ai volontari, che avevano partecipato alla difesa dell’Isola contro i Francesi, e l’accavallarsi di eventi non più tollerabili, portarono nobiltà e borghesia sarde a preparare una rivolta, che sarebbe dovuta esplodere il 4 maggio, al rientro in città della statua di Sant’Efisio, dopo l’annuale processione da Cagliari a Nora.
Ma la situazione precipitò nel primo pomeriggio del 28 aprile 1794, a seguito del tentativo di arresto di due persone accusate di sedizione contro lo Stato. Al suono delle campane, un gruppo di popolani armati si diresse verso la parte alta della città, sfondò e bruciò le porte di Castello, entrando e disarmando i soldati di guardia.
L’insopportabile corruzione dei funzionari piemontesi, le pratiche clientelari, l’eccessiva tassazione anche sulle esportazioni sarde avevano generato un diffuso malcontento. Pertanto, disarmati facilmente i soldati, compresi quelli di una guarnigione svizzera presente in città, catturarono il Viceré rifugiatosi nella sede arcivescovile e, senza colpo ferire, il 7 maggio lo imbarcarono insieme a tutti i funzionari di corte, rimandandolo in Piemonte.
Da allora, nella memoria dei Sardi, il 28 Aprile 1974 è il giorno dell’orgoglio, divenuto Festa nazionale del Popolo sardo in forza della Legge Regionale N. 44, del 14 settembre 1993, col nome di “Sa Die de sa Sardigna”.
Fin dal 1994, ininterrottamente, la ricorrenza viene celebrata a Biella nel giorno ufficiale del 28 aprile o, per motivi climatici, nella terza settimana di giugno, in coincidenza con le giornate della Battaglia del Solstizio (15-22 giugno 1918), a ricordo dell’eroismo della Brigata “Sassari” che, dopo Caporetto, capovolse le sorti della guerra verso la vittoria.
Con il I Conflitto Mondiale, altrimenti noto come IV Guerra di Indipendenza Italiana, la Sardegna ritrovò simbolo ed espressione d’identità e di unità con la costituzione e con le eroiche imprese della Brigata “Sassari”.
Sulle insegne dei Sassarini e sugli emblemi istituzionali della Regione Autonoma della Sardegna – stemma, gonfalone, sigillo e bandiera – accomunati dallo stesso simbolo, spiccano i Quattro Mori di Sardegna.
L’emblema ha attraversato i secoli e i Sardi di Biella ben lo associano nei giorni delle loro feste più importanti al più recente Tricolore, divenuto italiano al pari dell’Esercito sardo, delle Leggi e Istituzioni sarde e del titolo regio trasferiti nella nuova Italia, oggi repubblicana.
Battista Saiu
Nell’immagine: bandiere esposte alle finestre biellesi il 28 aprile per Sa Die 2020
Buongiorno a tutti, ho letto volentieri quanto ha scritto Battista Saiu, che saluto, a proposito della vostra festa dello del 28 aprile scorso con l’esposizione sui balconi delle bandiere. Leggo del programma del 20 giugno p.v. che vi auguro possiate realizzare, tenendo conto del particolare e difficile momento che stiamo attraversando, con la speranza che finisca presto, ma….sperare non costa nulla, basta non illuderci troppo.
Buona giornata a voi e buona Festa del 1° maggio, a presto.
Grazie. Viva la Repubblica, viva la Sardegna.