Una rosa bianca a Liliana Segre, anche in ricordo del Porrajmos

Inaugurazione della mostra “RICORDIAMO. Perché non accada mai più” – Sabato 25 gennaio, ore 14:30 – castello Vialardi di Verrone di via Castello 6, interno corte, a Verrone (BI)

Lapide in memoria delle vittime della Shoah 1943-1945, presente nel ghetto ebraico di Biella PiazzoIl 27 Gennaio 1945 le truppe dell’Armata Rossa varcarono i cancelli del campo di sterminio di Auschwitz, in Polonia, liberandone i pochi superstiti ivi abbandonati e rimasti in vita.
A 75 anni di distanza da quell’evento, il 2020 costituisce un’occasione speciale: è il 20° anno dal riconoscimento in Italia della data simbolica del “Giorno della Memoria”, istituito dal Parlamento attraverso la Legge  20 Luglio 2000 n. 211. Un’introduzione normativa che ha anticipato di ben cinque anni l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, la quale, durante la 42° riunione plenaria del 1° Novembre 2005, con la risoluzione n. 60/7, ha fissato la stessa data del 27 Gennaio per commemorare le vittime del cd. Olocausto, la Shoah, che ha visto lo sterminio sistematico di oltre 6 milioni di Ebrei. Tra le vittime anche gli oppositori politici all’ideologia nazifascista, nonché i disabili, le minoranze e le etnie sgradite. Tra queste ultime vittime pure i Rom ed i Sinti, definiti dalla Germania hitleriana “a-sociali”, dediti ad una vita nomade, ritenuti e considerati disonesti, pigri, sporchi, ignoranti, criminali per natura, indegni ed oggetto di espulsione o segregazione: ciò fino alla persecuzione estrema nei lager, insieme agli Ebrei, col tremendo esito definito nella loro stessa lingua Porrajmos.
A distanza di decenni da quei crimini indicibili, sempre più incensante risulta oggi cercare significati fattivi e trovare vie di insegnamento per la società contemporanea. Recenti pagine di cronaca nazionale hanno riportato alla ribalta diffusi ed incresciosi eventi caratterizzati da oblio, ignoranza, indifferenza, conformismo, pregiudizio, intolleranza, odio e rifiuto del diverso. Preoccupanti elementi essenziali del linguaggio del razzismo, rivolti nei confronti di stranieri e di cosiddetti “emarginati” e “diversi”, serpeggiano nella quotidianità delle società al di qua ed al di là delle Alpi.
In un’instancabile attività di memoria rivolta alle giovani generazioni – e non solo – sono ancora impegnati gli ultimi testimoni della Shoah oramai assai avanti negli anni. Tra costoro la senatrice a vita Liliana Segre, la quale ha fatto visita in questi giorni al carcere di San Vittore a Milano, luogo di prigionia con suo padre tra il Dicembre 1943 ed il 30 Gennaio 1944, prima della deportazione in treno ad Auschwitz. Nell’occasione ella ha sottolineano la personale impossibilità a dimenticare quanti, tra gli agenti di polizia penitenziaria e gli altri detenuti, cercarono allora di aiutare in ogni modo lei e gli altri Ebrei ivi imprigionati. Addetti alla custodia si prodigarono nel tentativo di portare ai prigionieri cibo e messaggi dei parenti all’esterno. I detenuti di San Vittore furono «gli unici umani che incontrammo in quei tristi giorni. In 605 venimmo chiamati per salire sui vagoni blindati ed andare ad Auschwitz. I carcerati vedendoci partire e sapendo che eravamo innocenti ci salutarono lanciandoci quel poco che avevano: arance, mele, qualche sciarpa e soprattutto le loro benedizioni che ci furono di grande conforto e che io ancora oggi ricordo con grande affetto (…) Non dimenticherò mai per il resto della mia vita quei detenuti che furono una manna nel deserto dei sentimenti, dell’etica e dell’umanità».
Nelle parole della senatrice/testimone emerge il “fare memoria” guardando al futuro. Un richiamo deciso a quello che diversi commentatori hanno definito “l’unico possibile insegnamento”: rendere consapevoli alla responsabilità individuale in ogni gesto ed in ogni occasione possibile, in quanto «memoria significa azione». Anche tra gli “ultimi”, quali possono essere definiti i detenuti delle carceri italiane, chiamati ad un percorso di sanzione e di rieducazione, come previsto dall’art. 27 della Costituzione. Come quella detenuta che, al termine della cerimonia di San Vittore, si è definita «orgogliosamente zingara», regalando una rosa bianca alla senatrice Segre, anche in ricordo del Porrajmos.

Gianni Cilloco

Nell’immagine: Lapide in memoria delle vittime della Shoah 1943-1945, presente nel ghetto ebraico di Biella Piazzo

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