Na paròla piemontèisa al mèis, marzo / mars, “L” come “Lësca”

Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”

incipit L in Missale Magnum Festivum Domini Georgii ChallandiSi sente spesso dire che le lingue regionali hanno poche parole e che quelle poche si riferiscono a cose, paesaggi, animali e piante locali: il Piemonte, che storicamente non aveva sbocchi al mare, ma era terra di colline, di pianure e di montagne, non dovrebbe avere nella propria parlata ancestrale parole che si riferiscono al paesaggio marino. Nulla di più errato, per ragioni troppo complesse per essere chiarite in quest’ambito. Riportiamo solamente qui dei versi di Tavo Burat, studioso e storico di questa lingua e del suo lessico dal Medioevo ai giorni nostri, in cui il lessico che non dovrebbe esserci ricorre invece in tutta la sua dovizia: “doa j’onde as pasìo mi i l’hai rëscontrate trames le fior, aj sitronere aranda lësca molzin-a che ’l mar a smon viva [Tavo] = dove le onde si chetano ti ho incontrata tra i fiori, accanto agli aranceti, alga tenerella che il mare offre viva”.
Segnaliamo in particolare le “sitronere”, i frutteti in cui crescono gli agrumi, la “lësca”, l’alga, e soprattutto la parola magica, il “mare”, parola quest’ultima che in antico piemontese, come in francese, era di genere femminile, diventata poi di genere maschile per influsso della lingua nazionale.

Sergi Girardin (Sergio Maria Gilardino)

Nell’immagine: l’incipit “L”, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii Challandi (sec. XV), Priuli e Verlucca 1993, copia facsimile posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda

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