Presentazione libro al Museo di Pettinengo: “Quello stentato pane”, una storia biellese di migrazione e di riscatto sociale

Le memorie di Giuseppe Anice

Domenica 1° agosto alle 16,30, in frazione Gurgo di Pettinengo, di fronte al Museo delle Migrazioni – Cammini e storie di popoli, di via Fiume 12, Riccardo Pozzo racconterà il libro di Giuseppe Anice “Ero di Nessuno”, una storia biellese tra Otto e Novecento.

«Ero contento quando al mattino partivo con le vacche per il pascolo e la padrona, non avendo sottomano qualcosa da darmi come companatico, mi dava il solito pezzo di pane nero e un soldo (cinque centesimi) perché mi comprassi quel che volevo. Se ne trovavo, compravo i sunsin (residuo di grasso di maiale fuso) e mi regalavo una colazione da principe. Altrimenti mi aggiustavo con delle more o altri frutti selvatici che mangiavo col pane nero e, col soldo che risparmiavo, potevo comprarmi una pagnotta e mezza di pane bianco che per me, in quei tempi, era come mangiare una torta. Quando c’erano le prugne mature nell’orto, la padrona me ne dava sei o sette. Oppure delle pere, o un pomodoro, o due o tre cipolline col sale, pietanza questa di cui non ero per niente contento. Ma se per disgrazia facevo qualche smorfia, mi privava anche di quello, solo il pezzo di pane e via al pascolo, a piedi scalzi. Se pioveva mi mettevo un sacco sulle spalle e tutto andava bene lo stesso. Non ricordo di essere stato ammalato, ero sempre allegro e cantavo continuamente».

Proprio il pane, alimento carico di significati simbolici, oggetto di desiderio e garanzia materiale di una vita migliore, trasformerà il destino di Giuseppe Anice, imprimendogli una sorta di traiettoria epica. Scrive Antonino Cusumano in un recente saggio: «Per il pane e nel pane – lavorato nelle sue diverse forme e con le tecniche via via sempre più raffinate – Giuseppe consuma la sua inquieta testimonianza umana, la sua difficile salvazione economica, il suo definitivo modo di stare al mondo».

La memoria del pane, nota Davide Porporato, condiziona Giuseppe per tutta la vita, ricordandogli sempre i momenti della massima precarietà.

Significativa a questo proposito è la proposta che, in un crocevia fondamentale nella storia del nostro eroe, gli farà il suo sensale Fantini, mediatore dei panettieri: «Gli chiesi se aveva un posto da offrirmi come apprendista panettiere, lui mi chiese le generalità e cosa sapevo fare, poi mi disse che aveva due posti da propormi: uno a Varallo da apprendista panettiere e uno a Milano come aiutante cuciniere. Trassi un sospiro di sollievo. Dopo un bel momento di riflessione mi decisi per il panettiere a Varallo. Ho pensato che ero più sicuro, perché così il pane non mi sarebbe mai mancato».

La storia del trovatello Giuseppe Anice, il Pépé, per amici e parenti, nato a Biella il 2 giugno del 1894 «da una donna nubile che non desidera essere nominata» e abbandonato all’Ospizio degli esposti due giorni dopo, sarà raccontata del pronipote Riccardo Pozzo, domenica primo agosto 2021, davanti al Museo delle Migrazioni di Pettinengo, nell’ambito della manifestazione Estate a Pettinengo.

«Avevo vergogna, mi pensavo colpevole, perché forse non ero bravo, eppure sapevo già che quello stentato pane che mi davano me lo facevano ben guadagnare». Accorrete numerosi.

Michele Careddu

Nell’immagine, Le memorie di Giuseppe Anice, “una genealogia fondata sulla scrittura” (P. Clemente)

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.