Prossimo appuntamento al Museo delle migrazioni di Pettinengo: domenica 8 agosto, alle ore 16:00 per la presentazione di “Fratelli tutti”, progetto della Caritas diocesana di sostegno nella crisi: aziende, singoli e comunità possono contribuire a un fondo che sarà destinato a singoli, famiglie, piccole imprese e attività.
Domenica primo Agosto, al Museo delle Migrazioni di Pettinengo, curato dal Circolo culturale sardo “Su Nuraghe” aderente alla FASI (Federazione Associazioni Sarde in Italia), Riccardo Pozzo ha presentato il libro “Ero di nessuno”, memoria autobiografica del suo avo Giuseppe Anice.
L’iniziativa si inserisce nell’ambito degli eventi di “Estate a Pettinengo”, che fanno da cornice alla mostra fotografica “Biellesi con la valigia”, costituita da 44 fotografie a tema migratorio provenienti dagli archivi di famiglia degli abitanti del paese, ed esposte in formato gigante sui muri demaniali lungo il tragitto che collega le altre due cellule ecomuseali aderenti alla Rete Museale Biellese con il Museo delle Migrazioni.
L’occasione, nonostante il tempo incerto, ha richiamato un pubblico interessato. La conferenza si è conclusa con il tipico rinfresco sardo “su cumbidu”.
La presentazione del libro è stata molto partecipata. Numerosi gli interventi da parte del pubblico, composto da grandi e piccini, dalla piccola Sofia di 8 anni, all’anziana Renata di 88 anni, emigrata veneta che vive a Canton Gurgo, che hanno punteggiato l’esposizione del relatore con domande e richieste di approfondimenti, evidentemente colpiti dalle tribolate vicende e dalla storia commovente del trovatello biellese, un ragazzo di cento anni fa.
Di seguito pubblichiamo il commento dell’amico Cesare Cantoni, che ha voluto farci pervenire il suo apprezzamento per l’iniziativa, insieme a immagini che accompagnano l’articolo.
“Quando muore un anziano, brucia una biblioteca”, così recita un proverbio africano.
Nel caso di Giuseppe Anice, però, qualcosa si è salvato: le memorie che ha deciso scrivere negli ultimi anni della sua esistenza, dove racconta soprattutto la sua durissima vita di trovatello.
Leggendo “Ero di nessuno” o anche solo ascoltando l’accorata esposizione del pronipote, si viene immediatamente proiettati in un mondo lontanissimo. O, almeno, così ci sembra.
Infatti le vicende si svolgono appena un secolo addietro, ma si fa fatica a credere che siano così temporalmente vicine.
La fame, il freddo, le botte, i soprusi… sembra incredibile che un bambino abbia dovuto passare tutto questo per la sola colpa di essere un trovatello.
Si esiterebbe a dirlo fortunato, eppure già il solo fatto di essere abbandonati d’estate e non d’inverno era già il discrimine tra vivere e morire.
Tra i tanti fatti raccontati, ce n’è uno su tutti che suscita angoscia e, di nuovo, incredulità: il mercato dei “vaccaretti” a Santhià. O più semplicemente il mercato degli schiavi (!) bambini(!) a Santhià (!).
Eppure il sentimento prevalente che percorre tutto il diario non è l’odio o la rabbia, ma piuttosto l’amore.
L’amore innanzitutto per la sua mamma, amore che Giuseppe sentiva fortissimo pur senza averla mai conosciuta e verso la quale non provò mai sentimenti negativi per averlo abbandonato.
L’amore poi per la sua Mariulìn, con la quale trascorse quasi tutta la vita e da cui ebbe cinque figli.
E infine, in senso più generale, l’amore per la vita.
Per quanto una società ostile facesse di tutto per farlo sentire diverso, difettato, Giuseppe ha lottato per tutta la vita contro questi pregiudizi, per il suo diritto alla ricerca della felicità, come recita, un po’ ambiziosamente, la Costituzione americana. Una storia minore? Non dal mio punto di vista.
A dispetto dei libri, tutti facciamo parte della storia, non solo quei pochi nomi che finiscono nei manuali.
Come diceva Brecht «Filippo di Spagna pianse, quando la sua flotta fu affondata. Nessun altro pianse?»
Michele Careddu
Nelle immagini: Pettinengo, Museo delle Migrazioni, due momenti della conferenza di Riccardo Pozzo