LABORARE sd. centr., laorare, laurare log. ‘mettere a coltura la terra, arandola, seminandola e predisponendola al raccolto’. Questo significato è identico pure negli Stat. Sass. I, 42; nelle CV XVIII 2, nel CSP 186, nel CSMB 165, 176. Quindi è fuor di luogo l’interpretazione del Wagner, che traduce ‘lavorare la terra, arare’, derivandola poi dal lat. laborāre ‘affaticarsi; essere ammalato’, ed ovviamente non tenendo conto che quel verbo latino ha base nell’akk. la’ābu ‘to harass, afflict, tormentare, affliggere’ (OCE II 444).
Per interpretare bene queste voci ci attestiamo sul prototipo laòre, (da cui hanno origine gli aggettivali laórgiu, laorzu) ‘tutte le attività per la messa a coltura e per il raccolto di cereali, viti, ortaggi’.
Nel Sud Sardegna si dice laurèra (aggettivo denominale): Sa laurèra è su turmentu de su massaiu, tottu su ki si deppid iscìri e ki si deppi fai po arregolli su fruttu de sa terra ‘La laurèra è la fatica del contadino, tutto ciò che si deve sapere e che si deve fare, per raccogliere i frutti della terra’ (Giulio Angioni: Sa Laurera). È lo stesso Angioni, imitando Wagner, a pensare alla derivazione del vocabolo dal cat. llaurar ‘arare’. Certamente anche il termine catalano partecipa dello stesso campo semantico sardo, ma non è la fonte del termine sardo, che invece ha base sumerica, da la ‘to be in order, essere in ordine’ + uru ‘to sow, cultivate; seminare, coltivare’. Quindi laòre (col seriore aggettivale laurèra ed il verbo laborare) significò fin dalle origini ‘fare ordinatamente i lavori della semina o coltivazione’.
Salvatore Dedola, glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit, “L”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009