Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella
DILLU, dílluru, dìllaru ‘un genere di ballo sardo con accompagnamento di musica e canto’. Secondo i villaggi, può essere un ballo organizzato su 3 tempi forti (in genere suddivisi ulteriormente in 6 pulsazioni); in altri villaggi è una danza a tipologia binaria, poiché il ballo è organizzato su 2 tempi (4 pulsazioni), molto simile per l’andamento cinetico al modello ternario. In altri villaggi su dillu è detto bìkkiri (es. a Ollolai). Oggidì si balla normalmente in gruppo (su ballu tundu, e altri stili), ma nell’alta antichità fu probabilmente una danza praticata individualmente. Infatti l’etimologia sembra poggiare sul sum. dil ‘uno, singolo’, che negli usi plurali opera il raddoppiamento didli ‘varietà (di oggetti)’, e lu-didli ‘vari uomini’. A meno che il termine dillu non sia una semplificazione dell’antico didli o addirittura lu-didli, che in Sardegna, notoriamente, ha capovolto la costruzione, diventando *didli-lu, da cui dillu e specialmente dílluru.
In ogni modo, la base etimologica più congrua sembra il sum. dilur ‘palo’, il che lascerebbe supporre che le origini arcaiche del ballo siano state quelle di essere eseguito attorno al sacro Palo (phallos) rappresentante le forze generatrici della Natura. Vedi dìlliri e drìnghidi.
A questo proposito il grande musicologo Andrea Deplano mi scrive: «Caro Tore, le proposte che avanzi sono interessanti ma perché possano produrre un avvicinamento alla “verità” aggiungo alcuni termini. Dìnnaru, dènnaru, dìllaru, dillu. Si tratta di balli, tutti dell’area della Barbagia di Ollolai di cui, ahimé, non si ricorda forma esecutiva per coro a tenore. Vivono solamente nella esecuzione strumentale con organetto diatonico, armonica a bocca… Forse la soluzione dell’arcano è racchiusa in quei termini o, in ogni caso, quelle denominazioni sarebbero da investigare per provare ad aggiungere qualche elemento utile alla ricostruzione del significato originale. Rimane Dillu. Le persone ballano con un linguaggio del corpo e soprattutto una posizione diversa dal ballo e più vicina alla danza. Uomo e donna come coppia di ballerini arrivano a trovarsi uno di fronte all’altra anziché fianco a fianco per tutta la durata del ballo. Nella gran parte dei comuni in cui ancora si esegue, questo ballo era intonato da voce solista. Il coro di Bitti, solo nel 1996 incise su dillu con esecuzione del coro a tenore. Naturalmente, a partire da quella incisione (con Peter Gabriel) i Bittesi vantano “antiche” esecuzioni. Il padre di Bachisio Bandinu era nato nel 1911 e a lui domandai come fosse la forma esecutiva de su dillu da parte del coro del tenore a Bitti. Mi rispose che non esisteva forma di accompagnamento del coro perché intonato da voce solista. Ad Orune ho registrato parecchi pareri contrari alla teoria del dillu accompagnato da coro. A Onanì e nei paesi limitrofi fino al Gocèano, su dillusarebbe stato, anticamente (?), un canto monodico. Ad Orune esiste ancora sa Lizèra che in principio era costruita su versi novenari: a causa della desuetudine a produrre questo strano verso, si perse per lungo tempo l’accompagnamento del tenore che, tuttavia, alcuni cantori ricordavano precisamente. Non è dissimile dalla forma attualmente in uso per su dillu. Altro comune in cui esiste su dillu è Orosei. Questa melodia ci è giunta da parte di tziu Vissente Gallos (per l’anagrafe italiana Gallus), che l’ha insegnata a coloro che oggi cantano imitando quella versione. Potrebbe trattarsi, anche questa, di inventio personale sulla scia di quanto successo in altri comuni. Le più belle versioni esistenti di canto del dillu sono tutte intonate da voci monodiche. Il canto monodico esiste in tanti comuni barbaricini ma si hanno testimonianze di solisti che intonano al centro del cerchio dei ballerini nelle pagine dei viaggiatori stranieri dell’ottocento. Nel canto si producono spesso delle ripetizioni di sillabe a distanza ravvicinata e ciò fece propendere Wagner per le onomatopee. Sulla stessa convinzione operarono Leonardo Sole e Pietro Sassu e, non avendo altri elementi, tanti altri studiosi del folklore musicale isolano. Insisterei sulla componente canto monodico, soprattutto come canto dedicato al phallos.
Dìlli di dìlli /
di dilli di danna /
mink’e modditzi /
e calloni’ de canna.
cantavano i giovani di Escalaplano. Osserva la proliferazione del termine, forse ti dà una mano. Considera che l’alternanza di quinario (mink’e modditzi) e settenario (e calloni’ de canna) sta alla base della struttura articolatoria di componimenti popolari come anninnìas e attìtos, tipici canti monodici. Resta solo da vedere quale possa essere il significato di ri (gridare?) o di altri suffissi o aggiunte che si sentono nel canto: dilli ri ana, dilli ri della, dilli ri dai… sono appendici utili solo come deposito di suono per terminazioni rima? Ti abbraccio, Andrea»
Salvatore Dedola, glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit, “D”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009