Agosto 2024, una parola sarda al mese: “P” come “PASCA”

descrizioneRadici e semantica delle parole sarde rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella

PASCA cognome sardo riferito alla festa più grande dell’anno; è anche nome personale muliebre, oltre a essere il nome della festa più grande. La ‘Pasqua’ sarda riceve il nome non dal bizantino Πάσχα, come si suppone, e neppure dall’ebr. Pesaḥ, ma dall’aram. pasḫa’. Ma si sa che l’ebraico e l’aramaico sono fortemente imparentati. Peraltro va sottolineato che lo stesso termine bizantino è accattato da uno dei due termini citati o dalla loro mescolanza.

Di seguito è uopo rimarcare un fatto importante della cultura sarda, connesso proprio al termine sd. Pascha: esso un tempo (in moltissimi villaggi ancora oggi) venne utilizzato per nominare pressoché tutte le feste liturgiche della Sardegna. La Pasqua vera e propria viene chiamata Pascha Manna (ossia ‘Pasqua maggiore’), mentre le altre ricorrenze sono dette Pascha de Nadále o Paschixedda = Natale; Pascha de sos Tres Res = Epifania; Pascha Rosada o Frorìa o de Fiores, o P. de Rosas, o P. de is Perdonus, o P. de su Perdonu e Maju o P. de s’Ispiridu Santu o P. Intecosta = Pentecoste.

Tutto ciò sembrerebbe assurdo, poiché la Chiesa da molti secoli ha specificato il nome delle proprie feste liturgiche, e ci aspetteremmo che il popolo si fosse adeguato pedissequamente. Il fatto che tutte le feste liturgiche vengano chiamate ancora oggi Pascha ‘Pasqua’, può avere un solo significato: ci fu – ed è ancora in corso – una resistenza all’innovazione cristiana. Ma tale resistenza non dev’essere intesa come residuo pagano. La resistenza è di matrice ebraica. Spiego meglio quanto da me abbondantemente chiarito in varie occasioni circa la fortissima influenza che l’elemento ebraico ha operato dal 1000 a.e.v. sino a tutto il VI secolo della nuova era. Sembra evidente che i Sardi fino al Medioevo interpretarono Pascha lato sensu, ossia come ‘festa’ tout court, mentre per gli Ebrei, compresi quelli numerosi abitanti in Sardegna, l’unica festa vera e propria fu soltanto la Pesaḥ.

A questo punto non resta che trovare l’etimologia del termine sacro ebraico. E ci accorgiamo che ha la stessa arcaica radice del log. e camp. féria ‘ferie, vacanza’ (con /p/ che tramuta in /f/ e con una –r– che spiegheremo alla fine). Cfr. it. ant. feriare o sp. feriar‘suspender el trabajo por uno o varios días haciéndolo como feriado o de fiesta’; feriadu ‘giorno festivo’ (CdL 122) = it. ant. feriato. Cfr. lat. fēriae, feriārum ‘giorni festivi’, anticamente fesiae, la cui radice (secondo Semerano OCE II 401) ha base etimologica nell’akk. pašḫu ‘resting, restful; riposo, riposato’ < pašāḫu ‘to cool down, rest; calmarsi, riposarsi’.

Ma a più attenta analisi ci accorgiamo che l’ebr. Pesaḥ ‘Pasqua’ è da confrontarsi con l’akk. pasāḫu ‘to drive away, march on; cacciar via, marciare in avanti’ (che è diverso da pašāḫu ‘riposare’). Quindi Pesaḥ non corrisponde al Riposo ma significa ‘to drive away, partire forzatamente, andar via’, in ricordo dell’Esodo dall’Egitto.

Ciò detto, resta tuttavia l’obbligo di capire meglio da dove derivi questo verbo accadico relativo alla “fuga”. Non possiamo far ciò senza rimettere sotto analisi la voce Pesaḥ, la quale cela in sé altre preziose informazioni sulle età arcaiche che furono la culla della formazione di tale parola.

A questo punto l’analisi dell’ebr. Pesaḥ va fatta basandola direttamente sull’eg. ber ‘exit, gateway; uscita, porta d’uscita’, per ‘to go out, depart, live one’s country’ + s-ākh ‘to rise up, lift up on high; alzarsi, sollevarsi’. Quindi Pesaḥ significò in origine ‘insurrezione-e-fuga’, o ‘fuga degli insorti’.

Ma la voce Pesaḥ è un autentico forziere di umori gemellati, poiché ha le stesse basi etimologiche di un fenomeno identico al celebre Esodo. Mi riferisco al vēr sācrum, che per gli antichi Italici indicava l’operazione di distacco di un gruppo di giovani dalla propria tribù o dal proprio popolo, per motivi di carestia, di fuga da guerre o di altro. Il lat. vēr sācrum viene interpretato fanciullescamente come “Primavera sacra” da una massa di analisti cui difetta la disciplina, l’erudizione, l’onore. Invece esso ha base nell’eg. ber ‘exit, gateway; uscita, porta d’uscita’ + saker ‘to journey, sail’. Esso fu esattamente il ‘viaggio di partenza, di distacco’, nient’altro.

A questo punto rammento che gli Ebrei (ch’erano originari di Sumer ma convissero per oltre un millennio col popolo egizio) avevano un linguaggio condiviso, per quanto la loro peculiarità si sia mostrata sufficiente una volta che il “Libro” fu messo per iscritto al ritorno da Babilonia, allorché però Pesaḥ aveva già perso la /r/, la quale invece persiste ancora nel sd. fér-ia, lat. fēr-iae, nell’eg. ber, per. Insomma, da ber-saker gli Ebrei erano pervenuti a connotare la propria Pasqua come Pe(r)-sak(er).

Salvatore Dedola, glottologo-semitista

Nell’immagine: l’incipit, “P”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009

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