Radici e semantica delle parole sarde rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella
FILU E FERRU, o FERRU DI CONTZA. Con questi due nomi è chiamata l’acquavite in Sardegna: il primo nome è proprio del Logudoro, il secondo è proprio dei Sassaresi. Prima di procedere, mi è forza premettere alla presente discussione etimologica il mio pensiero sul modo di approcciare allo scibile della Sardegna.
I lettori più attenti mi conoscono e spesso hanno apprezzato il mio rigore scientifico, e sono avvezzi a giudicarmi quale glottologo che da un quarto di secolo si dedica a ricostruire filologicamente l’intero apparato linguistico dello scibile attinente alla Sardegna. Noi Sardi nominiamo il nostro scibile su connottu.
Per nostra iattura, non c’è Università sarda che non sia sorta con un apparato iniziale di docenti provenienti dal Continente (salvo poi innestarvi pian piano qualche allievo d’origine sarda). Ad esempio ricordo bene dall’alto dei miei anni la Facoltà d’Agraria, creata a Sassari con un apparato esclusivo di docenti continentali; ed ho conosciuto parecchie centinaia di giovani sardi laureati in agraria, tutti usciti dalle università toscane, non da quella sassarese, poiché le loro famiglie non si fidavano della “solidità” dei docenti ch’entravano nell’isola “a farsi le ossa”. Non dobbiamo vergognarci di sapere che le Università sarde sono state quelle di “prima formazione” per una pletora di docenti continentali.
Lo stesso fenomeno constatiamo per la costituzione della Facoltà di Lettere, istituita a Cagliari. Quando vi entrai, i professori sardi erano rarissimi, ed in ogni caso non conobbi alcun professore di glottologia che non provenisse dal Continente. Ribadisco, proprio nessuno.
I miei lettori sanno bene, per aver meditato le mie numerose opere, quanto arcaica sia la lingua sarda e – per ciò stesso – quanto arcaico sia lo scibile connesso a ciascuna voce del nostro Dizionario. Il nostro è uno scibile formatosi quando l’Homo era privo persino della coscienza che potesse inventare un sistema simbolico capace di esprimere e trasmettere il linguaggio. Erano tempi arcaici, nei quali l’utilità d’inventare un corpus di grafemi sembrava peregrina e balzana.
Va da sé che oggi una persona giovane, inesperta, specialmente una persona che non sia vissuta entro il più profondo sentire dei nostri villaggi, delle nostre campagne, delle nostre montagne, non sarà mai in grado di capire su connottu, e in ogni modo, non sarà mai in grado di tramare un canovaccio entro cui organizzare la Metodologia adeguata a “bucare” ogni parola dello scibile sardo, al fine di scoprirne le origini e il significato più profondo. I professori continentali, proprio per essere totalmente “sradicati” dall’anima arcaica della Sardegna, proprio per il fatto che entrano in un’isola che non ha memoria scritta (essa è priva, insomma, del filo costante di una letteratura di cui si fregiò invece l’Impero romano ed in seguito la Chiesa nonché l’intera civiltà italiana), non sono mai stati in grado di capire alcunché, e non hanno trovato altra àncora, altro “cordone ombelicale”, che attingere costantemente alla grande civiltà italiana, senza mai capire che la loro metodologia di ricerca necessitava di un “cambio di passo”, di un impegno del tutto nuovo ed affatto originale per riuscire ad “agganciare” la sfuggente e diversissima realtà di quest’isola arcaica.
Ad esempio, non c’è mai stato un glottologo che, nel cercare d’identificare il significato primario di una parola sarda, non l’abbia confrontata esclusivamente col latino. Di più, tutti loro han preteso arrogantemente di affermare – chissà su quali presupposti – che la lingua sarda avrebbe esclusiva origine nella lingua latina, o comunque che la lingua latina cancellò la lingua pregressa riproducendola per palingenesi. Ovviamente queste sono petizioni di principio, prive di una qualsiasi dimostrazione scientifica. Dimostrano con certezza soltanto una cosa: quanto distante sia lo scibile italiano dallo scibile sardo.
Ovviamente, quella condotta scandalosa, incapace di rinnovarsi su basi veramente scientifiche, è parimenti incapace di capire che prima di Roma il Mare Mediterraneo era un immenso lago dov’era parlata una lingua unica (certamente parcellizzata e “dialettizzata” da secoli), le cui basi si rintracciano con estrema sicurezza nei Dizionari più antichi, quelli della Sponda Sud, a cominciare dal dizionario egizio per passare a quello sumerico, a quello accadico, ebraico, eccetera.
A parte quella insopportabile albagia radicata esclusivamente sulle ideologie ma priva di metodo razionalista, sulla pelle dei tanti volenterosi che ambiscono a capire la realtà più profonda dell’Isola si sono create un sacco di sciocchezze, tanto per “riempire il sacco”, tanto per poter affermare che sulla Sardegna, vivaddio, qualche chiarimento è stato fatto. E da quel “sacco” zeppo di menzogne vien scaricata davanti alle nostre facce sbigottite la favoletta che i Sardi in epoca feudale evadevano le imposte e le tasse nei modi più ingegnosi. Ad esempio, evadevano la tassa sull’acquavite sotterrando le bottiglie di distillato, facendo apparire in superficie un insignificante e invisibile “filo di ferro”, da cui avrebbe preso nome proprio l’acquavite, su filu e ferru.
In realtà questa fola “accademica”, oltre ad essere vergognosa perché attesta l’infimo livello degli “studi sardi”, è del tutto falsa; fu inventata dal solito “pensatore” che tentava d’arrampicarsi sugli specchi pur di dare un significato plausibile a tale epiteto. Ma quei “pensatori”, poi, sono talmente sprovveduti da non riuscire a dire alcunché sull’origine del sassarese ferru di contza ‘acquavite’, che non s’attaglia a nessun “fil di ferro” e – guarda caso – non ha alcun addentellato né col ferro (ferru) né con la concia delle pelli (contza).
Invero, la base etimologica di ferru di contza è l’accadico bēru ‘selected’ + ḫumṭum ‘heat, fever; calore, febbre’. Quindi ferru di contza andò a indicare in origine il ‘distillato che dà calore’. A sua volta il logudorese filu e ferru ha base nel sumerico bil ‘to burn, bruciare’ + accadico bēru ‘selected’. Il composto in origine indicò il ‘distillato che brucia’.
Salvatore Dedola, glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit, “F”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009
Ammiro profondamente gli studi sulla lingua sarda la quale rivela tutta la storia ed il fascino di una terra mai abbastanza studiata.
Complimenti vivissimi
Cristina Vernizzi