Nel calendario rituale contadino, gli animali del letargo presidiano i giorni della rinascita della nuova stagione e indicano all’uomo della tradizione il tempo in cui intraprendere le attività della nuova annata agraria scandita dalle diverse fasi siderali.
Ad una luna precoce (coincidente con il 2 febbraio) quindi una Pasqua alta che cade il 22 di marzo, corrisponde l’inizio dell’annata agraria anticipata: i lavori dei campi cominciano per tempo promettendo un raccolto abbondante, poiché i prodotti della terra hanno modo di giungere a completa maturazione.
Quando la luna di febbraio si compie tardivamente, il plenilunio pasquale coincide con il 25 aprile (Pasqua bassa) e i lavori dei campi iniziano in ritardo e possono compromettere il raccolto e la stessa sopravvivenza dell’uomo.
L’orso mitico, posto a presidio del 2 febbraio, è ampiamente attestato nell’Europa della tradizione. Meno analizzata è la figura della salamandra che sembra essere posta a guardia della Pasqua bassa, quella che ricorre il 25 aprile. Oggi è difficile ritrovare ancora attiva o nella memoria la presenza di questi due animali che vigilano le due date estreme del tempo della rinascita. Eccezionalmente appaiono nella sacra rappresentazione della Passione di Nostro Signore Gesù Cristo a Sordevolo, presenti ancora nelle edizioni del 1924 e del 19341, testimoni del perdurare di cultualità depotenziate ma ancora molto forti tra le genti delle Alpi biellesi. Scopo di questo lavoro è di analizzare questi due animali presenti nella memoria rituale di Sordevolo anche alla luce dell’area storico-geografica che comprende.
L’orso
Il 24 aprile 1313, Uberto, vescovo di Vercelli, nell’investitura data ai signori Bruco di Sordevolo, contemplava “i diritti del vescovo sulla pesca e la caccia della selvaggina nobile, ivi compreso l’orso, nei territori di Graglia e Muzzano”2. In quegli stessi anni, il diritto consuetudinario che obbligava a consegnare parte dell’orso cacciato ai signori del luogo, ci informa dell’importanza simbolica dell’orso3. In tutto il territorio biellese sono rimaste tracce della presenza del plantigrado nei nomi di certe piante4 e si riscontra anche in alcuni toponimi della Valle di Oropa5.
In Valle d’Aosta6, ad Antagnod, frazione del Comune di Ayas, un villaggio alle pendici del Monte Rosa, nella valle del torrente Evançon, a oltre 1700 metri di quota, si conserva ancora una zampa d’orso, inchiodata su un modiglione di una casa, a ricordo dell’uccisione di un orso, avvenuta nel 1782 per mano di un certo Brunod, chiamato “lo rèy”, nativo di Antagnod. La lotta è raffigurata anche in una pittura murale nella cappella della frazione Pollen7.
Il collegamento del Biellese con la Valle d’Aosta doveva essere intenso, facilitato già nel Tredicesimo secolo dal vescovo Ajmone di Challant8 costruttore della cosiddetta “Via Challant”, strada che passa per Sordevolo e Muzzano, in frazione Bagneri. Il paese di Sordevolo era conosciuto in Valle d’Aosta certamente per gli scambi dovuti ai pastori transumanti, tanto da essere citato in proverbi valligiani9.
In epoca recente, la memoria dell’orso è ancora presente in quest’area. Lo testimoniano, per esempio, le incisioni rupestri al Lago della Vecchia, in Valle Cervo – conosciute anche come “La Vecchia dell’Orso” che portano la data “1876” – o le coeve sculture di orse realizzate in occasione dell’erezione del monumento a Garibaldi nella città di Biella10. Anche la nuova Provincia di Biella innalza nelle sue insegne un orso11.
Nell’araldica civica12, utilizzato come simbolo “parlante”, l’orso indica da sempre la Città di Biella e ricorre anche negli stemmi dei Comuni di Andorno, Callabiana, Campiglia Cervo, Piedicavallo, Quittengo, Rosazza, Sagliano Micca, San Giuseppe di Casto, San Paolo Cervo, Selve Marcone e Tavigliano, mentre nelle armi nobiliari biellesi lo si riscontra solamente sul cimiero dei Dal Pozzo13.
Salamandra, sauri e angui
Nella passione di Sordevolo, alla figura dell’orso si affianca, nel filmato del 1924, un altro personaggio dai forti tratti folclorici: la salamandra. Veste un costume a strisce orizzontali che, in base ai toni di grigio delle immagini dell’epoca ed alle testimonianze raccolte, è bicolore: probabilmente giallo e nero. Dai fianchi scendono dei triangoli di stoffa, come fiamme con le “lingue” rivolte verso il basso, particolare che avvicinerebbe la salamandra di Sordevolo all’animale fantastico conosciuto come drago.
Nel mondo cristiano, la salamandra “rappresenta la fede e l’uomo giusto che non può essere distrutto dal fuoco della tentazione”14. Al pari dell’orso, la salamandra è un animale del letargo e, come il plantigrado potrebbe fornire indicazioni predittive della nuova annata agraria all’uomo. Rappresenta la ciclicità del tempo, poiché in inverno scompare alla vista dell’uomo, ripresentandosi puntualmente con l’arrivo della nuova stagione.
I sauri nel Biellese
Nelle schede Graglia 209 e 210 del DAPB15 di Alfonso Sella è riprodotta, in una fotografia, una campana per le mucche in cui, su un lato, si vede la riproduzione in bronzo della Madonna di Loreto venerata nell’omonimo santuario alpino biellese e, sull’altro, un orso proteso verso una salamandra.
Ad Occhieppo Superiore, nel cortile della ex Casa Bullio, proprietà della mensa vescovile, è conservata una vasca in pietra sorretta da due salamandre16. Inoltre, in ambiente sacro biellese, troviamo salamandre (a volte indistintamente rappresentate come semplici lucertole), nel mobile da sagrestia della chiesa parrocchiale di santa Maria Assunta di Bioglio17 o negli splendidi medaglioni in rame dorato e smaltato posti sugli stalli del coro di san Sebastiano di Biella.
Si tratta di diciotto medaglioni in rame sbalzato, opera di orafi di Limoges, forse provenienti da uno dei tre scrinei e dei due cophini citati nel testamento del 1227 dal Cardinale Guala Bicchieri, originariamente custoditi nella basilica di Sant’Andrea di Vercelli e donati a Biella nei primi anni del Cinquecento per decorare il coro ligneo della basilica si san Sebastiano, voluta e costruita da Sebastiano Ferrero18.
I sauri sono presenti in diciassette dei diciotto medaglioni: in due di essi due salamandre si mordono reciprocamente il corpo e la coda; in altri due un sauro lotta contro un centauro. In due appare una coppia di salamandre che si addentano rispettivamente sul collo. Due salamandre, disposte perpendicolarmente tra loro, affondano le proprie fauci sui rispettivi corpi. In uno sono presenti un ibrido sauro bipede alato sovrastato da un leone. Due medaglioni presentano un grande sauro alato bipede. In altri due, ancora due sauri affrontati e con i corpi elegantemente incrociati. In altri due medaglioni sono presenti figure dal corpo di uccello, testa umana con elmo e coda di sauro. Nei rimanenti medaglioni si riscontrano figure ibride, sauro-umane, maschili e femminili, a volte alate, armate di spada e di scudo. L’unico medaglione senza sauri, raffigura un uomo in groppa ad un leone a cui apre con forza le fauci19.
Ancora nella simbologia alchemica del XVI secolo è l’orso a simboleggiare la terra e il drago l’acqua. Le illustrazioni della terra-orso e dell’acqua-drago permangono, in ambienti diversi, fino alla scoperta dell’ossigeno e alla conseguente nascita della chimica moderna, poiché “ha avuto dignità scientifica fino all’inizio del secolo scorso “l’idea che la natura in tutte le sue manifestazioni sia spiegabile attraverso una particolare mescolanza dei quattro irriducibili elementi di base”20: aria, fuoco, terra ed acqua. Ancora nel Cinquecento si riteneva che “Dio crea il mondo attraverso la combinazione dei quattro elementi”21.
Pertanto, nel teatro popolare di Sordevolo, la presenza di questi due animali mitici, tramanda tratti identitari originali conservati dalla cultura alpina. “Il sistema mitico-rituale dell’orso, in epoche precristiane era come una vera e propria religione. La Chiesa, nel suo vasto processo di esclusione, recupero, sincretizzazione e risemantizzazione dei segni folclorici ha intrapreso un lungo e profondo confronto anche con la figura dell’orso”22.
Ora, orsi e sauri affiancati, nelle pratiche del teatro popolare di Sordevolo, indicano i giorni di marca importanti del calendario rituale contadino: il 2 Febbraio e il 25 aprile: positivo il primo, poiché indice di una Pasqua alta (22 marzo) e negativo il secondo. Entrambi gli animali presidiano le soglie estreme del tempo della rinascita, sincreticamente inseriti nei riti della resurrezione cristiana.
Per cercare di spiegare la rinascita e il risorgere, per conciliare il sapere tragico della morte e del tempo finito, il mondo contadino attingeva all’esperienza della natura a lui più prossima.
Nella sacra rappresentazione, la redenzione di Cristo, la sua vittoria sulla morte del peccato e la sua resurrezione dal mondo dei morti veniva, pertanto, spiegata con la presenza delle figure mitiche degli animali dell’eterno ritorno.
Battista Saiu
I paragrafi sono tratti dal saggio Animali mitici del letargo nella Sacra Rappresentazione di Sordevolo, lavoro commissionato dall’Associazione Teatro Popolare di Sordevolo all’antropologo Battista Saiu in occasione dell’edizione 2005 della “Passione”. Aa.Vv., Dall’Oratorio del Gonfalone all’anfiteatro della “Passione” di Sordevolo, Musumeci S.p.A, Quart (Valle d’Aosta) 2005, pp. 41-65.
Volume disponibile presso l’Associazione Teatro Popolare di Sordevolo.
- Filmato del 1924, conservato nell’archivio parrocchiale di Sordevolo da padre Luciano Acquadro e il filmato ripreso dal comm. Alcide Bona, custodito da Federico Bona di Ivrea. [↩]
- Calleri, Giacomo, Alpeggi Biellesi, Torino 1966, p. 101, nota 30: “…et quod de ursis qui caperentur in aliquo loco de predictis territoriis debent habere costatum dextrum”. [↩]
- Pivano, Silvio, Antichi usi e consuetudini del Cuneese, dell’Albese e del Monregalese, Torino 1929, pp. 22, 26-29. Gli uomini di Mondovì dovevano consegnare al vescovo di Asti “un quarto dell’orso cacciato e la sua pelle“; mentre gli uomini della Valle Stura dovevano al marchese di Saluzzo “una terza parte di ogni orso ucciso“, analogamente i cacciatori della Valle Maira portavano al marchese di Saluzzo un “tractus” di ogni orso ucciso. [↩]
- Sella, Alfonso, Flora popolare biellese. Nomi dialettali, tradizioni e usi locali, Edizioni dell’Orso, Torino 1992, p. 104: “Lycopodium clavatum L., Licopodio, Erba strega“, conosciuto con il nome vernacolare biellese come “braje dl òrs” (brache dell’orso); “bralle dl urs” (cernecchi dell’orso); “chjampe d’ òrs” (zampe d’orso); “erba dal còl” (erba del colatoio del latte)”. [↩]
- Ferraris, G. – Arnoldi, D. – Torrione, P., ARMO, Acta Reginae Montis Oropae, vol. 2, 1945-1948, pp. 256-258, nei documenti relativi all’anno 1583, troviamo: “tana dell’orso“, “piano dell’orso“, “fontana dell’orso“. [↩]
- Cfr., Borettaz, Omar, Il vescovo e gli orsi. Testimonianze sulla signoria di Issogne in un documento del 1297, in Treinadan, Aosta 2000, “Archivio storico regionale di Aosta, fondo Challant, documenti Lange (343/I/1), pergamena di mm 470×600, con 68 righe di testo, nella tipica scrittura minuscola corsiva del tempo”. [↩]
- Thoux, Giovanni, Leggende valdostane scavate nel legno, Ivrea 1998, pp. 48-50: “Molto nota è la prodezza di Brunod, chiamato «lo rèy», nativo di Antagnod, che nel 1782 (ma la data è discussa e probabilmente il fatto accadde molto tempo prima), strangolò con la sola forza delle proprie mani quello che, probabilmente, era l’ultimo orso di Ayas e, forse, della Valle intera”. [↩]
- Trompetto, Mario, Il Santuario di Oropa, Biella 1963, pp. 3-4 e 9: “Sul finire del sec. XIII il vescovo di Vercelli Ajmone di Challant consacrava al culto una più grande chiesa”, donando, nel 1294, il simulacro della Madonna attualmente venerato nel santuario alpino di Oropa. Si tratta di una statua lignea che “rappresenta la Madonna nel mistero della Presentazione del Bimbo al Tempio e della sua Purificazione“, la cui festa liturgica è ancora oggi celebrata il giorno 2 febbraio. Cfr., Capellino, Mario, Maria SS. Nella tradizione teologica «Eusebiana», in Saiu Pinna, Battista (a cura di), Eusebio da Cagliari alle sorgenti di Oropa, Biella, 1999, pp. 115-121; cfr., Lebole, Delmo, Storia della Chiesa Biellese, voll. 17, Gaglianico 1971-2000. [↩]
- Cassano, Joseph, La vie rustique et la philosophie dans les proverbes et dictions valdôtains, Aosta, 1964, p. 276, Un detto in patois afferma: “L’at euna grandze a Chordeivo (il possède une grange à Sordevolo”), che letteralmente significa: “possiede una stalla a Sordevolo”. Il proverbio è impiegato a significare: “Il est sourd“. Ossia: “È sordo“, come nell’italiano “Non c’è più sordo di chi non vuol sentire” o “Fare orecchie da mercante”. [↩]
- Valz Blin, Gianni, Giuseppe Maffei, 1821-1901. La vita e le opere nel centenario della morte, Quart 2001, pp. 29 e 32: “Biella 1886. Inaugurazione del monumento a Giuseppe Garibaldi. (Fotografia di Vittorio Besso)”; p. 30: “Si dovette far scendere da Rosazza un altro blocco di pietra e quella prima orsa […] sarà poi collocata a Graglia, nel 1899, su di una fontana di fronte alla sede della Società operaia“. A p. 73 è riprodotto un acquerello con lo stemma del Comune di Graglia in cui campeggia un orso. [↩]
- Decreto del Presidente della Repubblica del 20 dicembre 1996: “D’azzurro, all’orso camminante, con le quattro zampe posate, al naturale, sormontato dalla fascia diminuita, di argento, questa sormontata dalla stella di cinque raggi, d’oro; il tutto incappato dal fasciato di quattordici pezzi, a destra d’azzurro e d’oro, a sinistra d’oro e d’azzurro; la fascia diminuita d’argento posta in corrispondenza dell’ottavo pezzo del fascio. Ornamenti esteriori da provincia”. [↩]
- Caratti di Valfrei, Lorenzo, Dizionario di araldica, Rocca San Casciano 1997, pp.140-141: L’orso, in araldica, “simboleggia l’uomo coraggioso, pronto a seguire i moti dell’ira“. [↩]
- Cfr. Spreti, Vittorio, Enciclopedia storico nobiliare italiana, Milano 1928-1936, vol. II; Crollalanza, Giovanni Battista, Dizionario storico blasonico delle famiglie nobili e notabili italiane estinte e fiorenti, 3 voll., Pisa 1886; Carcamo Mattioli, Fiorella – Coda, Mario, Stemmario Civico biellese, cusiano, ossolano, valsesiano, verbano, vercellese, 2 voll., Novara 1991-1993. L’arma gentilizia dei Dal Pozzo della Cisterna è ancora visibile sulla facciata del loro palazzo a Biella Piazzo. [↩]
- Cooper, J.C., Dizionario dei simboli, Padova 1987, p. 253. [↩]
- D.A.P.B. … cit., busta n. P 17 (16) e P17 (17), scheda Graglia n. 209 e 210, luglio 1964. [↩]
- D.A.P.B. … cit., busta n. P4 (31) e P4 (33), scheda Occhieppo Superiore n. 122 e 123, 2 dicembre 1962. [↩]
- Parmigiani, Mario, La Parrocchiale di Bioglio, Bioglio 2002, p. 23, Credenzone della sagrestia scolpito nel 1744-56 dal mastro biogliese. Sulle antine del mobile in cui vengono riposti calici e arredi sacri, sono intagliate figure fogliate di Uomini selvaggi. Stringono tra i denti noci, ghiande, colombe e salamandre. Anche sui pannelli delle porte laterali, in cui sono riposti i paramenti liturgici, sono scolpite figure fogliate di Uomini selvaggi. Cfr., Harding, M., A little book of the green man, Aurum Press, London 1998. Sovente l’Uomo selvaggio è raffigurato con gli attributi propri della selva: le foglie. Nell’iconografia, perciò, troviamo il cosiddetto Green Man nudo, che esce dalla terra o dal fogliame o con il viso che si trasforma in foglie oppure con rami che partono dalla bocca e con attributi vegetali che escono anche dalle orecchie e dagli occhi. Compare spessissimo anche sulle facciate delle chiese, come nel caso della cattedrale di Casale Monferrato e di Santa Maria Assunta di Aosta. Sui portoni della basilica di Sant’Andrea di Vercelli è raffigurato più volte, anche nella versione femminile: la Donna selvaggia. A Sant’Andrea di Vercelli si ritrova, reiterato più volte, anche sulla vera del pozzo del chiostro. [↩]
- Il coro di San Sebastiano è formato da 23 stalli e conserva ancora diciotto medaglioni. Cinque sono stati asportati in epoche diverse. Mancano anche i sei medaglioni del leggio, certamente presenti in origine. Cfr., Castronovo, Simonetta, Scrinium cardinalis, Savigliano 2004, pp. 11-17; cfr., Castronovo, Simonetta, I medaglioni di San Sebastiano, in Rivista Biellese n. 3, Biella 1999, pp. 46-54. [↩]
- Nel Museo Civico d’Arte Antica di Torino sono conservati due medaglioni in rame dorato e smaltato, lavorato a giorno, forse provenienti dal coro di san Sebastiano di Biella: in uno di essi è rappresentato un leone, racchiuso in una cornice raggiata; nell’altro, un sauro addenta alla schiena un toro. Al Museo del Louvre, a Parigi, sono conservati dodici medaglioni identici a quelli di Biella, in tre di essi sono rappresentati dei draghi: uno con testa umana o forse di scimmia, con coda elegantemente fogliata; nell’altro un uomo, armato di spada e di scudo, in lotta contro un grosso drago e, infine, un drago in lotta con gli artigli conficcati sul corpo di un leone. [↩]
- Cfr., Nicola, Ubaldo, Atlante illustrato di Filosofia, Verona 1999, p. 79. [↩]
- Nicola, Ubaldo, Atlante illustrato … ibidem. [↩]
- Grimaldi, Piercarlo, Orso Pagano … cit., p. XXV. [↩]