Pregadorias in Limba, forti come radici, caduche come foglie di stagione – Il ricordo è l’arcaico – La memoria opera nel procedere del tempo – La preghiera in sardo è parola del tempo e nel tempo.
Sabato 2 ottobre 2010, alle ore 21, in occasione della Festa della Madonna del Rosario, le Voci di Su Nuraghe si uniranno a quelle della Confraternita della Santissima Trinità e di Santa Croce di Graglia (XIV secolo), per intonare Canti mariani in “Limba”. L’appuntamento è a Graglia nella Chiesa al centro del paese, sede dell’antica Confraternita
Al repertorio della Cantoria di Graglia – Ave Maria (Anonimo), Vergine Madre (Cantico di San Bernardo dalla Divina Commedia), Madonna della Sera (Testo Oldoni, Armoniz. Pavignano), Madonna Dolce Ave (Can. Nelson Sella), faranno seguito alcune poste di “Su Rosariu cantadu”, Deus ti salvet Reina, Deus ti Salvet Maria e i Gosos de Nostra Segnora de Oropa.
Sulle orme di Sant’Eusebio da Cagliari, continua il percorso di fede e cultura dei Sardi del presente, proposto dal Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe di Biella con diversi appuntamenti in “Limba”, recitati e intonati coralmente al santuario di Oropa, nella basilica di San Sebastiano di Biella e in altri luoghi sacri – assieme a tanti Biellesi e Continentali – con i conterranei di su disterru delle Diocesi di Vercelli e di Ivrea che fan capo all’Associazione Su Cuncordu di Gattinara e al Circolo Culturale Sardo Sa Rundine di Bollengo.
La storia umana e religiosa dei sardi, attraverso i secoli, – ci ricorda Bachisio Bandinu in “Identità linguistica e preghiera”1, – è stata parlata anche in lingua sarda, per la gran parte della popolazione solo in sardo, nella segretezza della parola e nella socialità del discorso. Lingua della solitudine della preghiera e della coralità pubblica, della sofferenza e della speranza. Parole di superficie e di profondità: forti come radici e caduche come foglie di stagione. Capaci di penitenza, di promessa e di ringraziamento. Capaci di verità. Parole contratte e ingorgate da lacrime e parole di alleluia e di ringraziamento.
S’Ave Maria e su Babbu nostru non indicano un ritorno a un prima: è preghiera in atto. È annunciazione sempre nuova. Non è un torrare a su connotu, a un conosciuto delle madri, come recupero suggestivo e struggente, è apertura dell’attualità, del farsi del tempo. È preghiera che inventa la storia di una comunicazione inedita. È tempo di Dio nell’atto di parola.
Non è un ricordo, è opera sempre attuale della memoria. Il ricordo è l’arcaico, tutto ciò che come fantasma si cristallizza in un periodo trascorso quasi fosse rimasto intatto: fissazione, illusione, falsificazione.
La memoria opera nel procedere del tempo. “Fate questo in memoria di me” non significa ricordare un evento inesorabilmente trascorso, indica invece l’esperienza del presente: sacrificio, ciascuna volta nuovo, originale.
La preghiera in sardo è parola del tempo e nel tempo, appartiene all’immaginario religioso delle genti sarde, continuamente rivissuto e investito nella pratica di fede del proprio tempo. Grazie al rito la comunità
si ritrova come popolo credente e sfugge al rischio di diventare “pubblico” o peggio di essere “massa”. Il rosario in lingua sarda non è una recita arcaica, datata, perché il tempo dell’atto di fede non è cronologico, ciascuna volta trova il suo rinnovamento.
La preghiera in sardo è parola del tempo e nel tempo sulle modalità di proseguire il cammino di fede, nel segno della speranza con investimento spirituale della parola e del rito. La tradizione come narrazione al presente prospetta un tempo a venire.
Battista Saiu
Chi vuole unire la sua voce alle “Voci di Su Nuraghe”, può partecipare alle prove di canto i giovedì sera alle ore 21 in via Galileo Galilei, 11, a Biella (info Biagio: 3934941503).
- Bachisio Bandinu, Don Antonio Pinna, Padre Raimondo Turtas, Limba e precatorias, in Lingua Sarda e Liturgia, Monastir (CA) 2008, pp.11,12. [↩]