Essere custodi della memoria ed elementi attivi del “passaggio di testimone culturale” a cui siamo chiamati come figli di sardi di seconda e di terza generazione
Sabato 4 dicembre si è tenuta la proiezione del documentario «Sa Gent’Arrubia» del regista Davide Mocci. Il tema del documentario riguardante la nidificazione del 1993 dei fenicotteri rosa (sa gent’arrubia, “il popolo rosso” nella parlata campidanese), presso lo Stagno di Molentargius a Cagliari, è stata l’occasione, antropizzando questi animali, per creare un simbolico parallelo tra la nascita e la crescita dei pulli e la mia personale esperienza di crescita e formazione a Pozzomaggiore (Sassari), luogo di origine della mia famiglia.
Ciò è stato possibile attraverso una serie di ricordi personali che ho condiviso, volentieri, con il pubblico alla presenza della mia famiglia.
È stata una grande emozione poiché la mia famiglia ha una natura molto riservata e vederli tra il pubblico è stato un evento eccezionale.
Trovo che questa presenza sia stata ancora più importante, non solo a livello personale ma per la comunità dei sardi, perché è la testimonianza di persone emigrate che, nel corso del dibattito seguito alla proiezione, non hanno esitato ad affermare che l’emigrazione porta ad uno smarrimento di identità per la quale è difficile trovare soluzione.
Difficile ma non impossibile e credo che le proposte culturali del Circolo Su Nuraghe vadano proprio nella direzione dell’integrazione della popolazione emigrata affinché si possa sentire di nuovo “a casa” scoprendo, come ha detto il Presidente Saiu, nel corso della serata, la dualità che vive in ciascuno di noi come sardi ma anche come biellesi, inseriti nel tessuto socio-economico della Città di Biella.
Il dialogo che ha seguito la proiezione ha aperto un confronto non solo sul concetto di identità ma anche sull’elemento linguistico, sull’utilizzo della lingua sarda nella sua pluralità di varianti linguistiche, di cui tra il pubblico c’erano alcuni esponenti.
È stata questa l’occasione per far emergere un altro progetto del Circolo che mira ad integrare, non solo gli emigrati ma anche i numerosi soci di provenienza di diverse regioni, attraverso una serata di incontro al mese nella quale si tenta di conversare nelle rispettive parlate e, come testimoniato dal Presidente, spesso riuscendoci.
Quando c’è la volontà di comunicare ci si riesce e ritengo sia una grande sfida in un epoca nella quale risulta, a volte, difficile comunicare con il vicino” di banco” o “di casa”. È sufficiente un’apertura mentale e una libertà di intenti e di cuore.
A tal proposito ho trovato curiosa la presenza di numerosi soci di provenienza di diverse Regioni italiane. Ritengo che anche questo rappresenti, non a caso, il filo conduttore di un progetto che cura l’apertura verso l’esterno, verso un concetto di cultura nel senso più ampio, pur rimanendo ancorati alla propria identità di sardi, ricca di storia e tradizioni.
Mi auguro, infine, che la mia partecipazione a questa serata possa essere stata un ulteriore tassello inserito nel mosaico della memoria delle radici e funga da stimolo, personale e non, per essere nel futuro non solo custodi della memoria ma anche elementi attivi del “passaggio di testimone culturale” a cui siamo chiamati come figli di sardi di seconda e terza generazione.
Elisa Cuccuru