Non esistono né emigrati, né immigrati, esistono gli uomini, che sono, per loro natura, migranti. “Oggi come Ieri”, è lavoro che coinvolge alcuni attori e il coro del Circolo Su Nuraghe di Biella
Un uomo e una donna gravida scappano dalla loro terra infuocata dalla rivolta popolare. Fame, miseria e la drammatica sensazione che un futuro degno d’essere vissuto non potrà mai arrivare, spingono questa famiglia ad una scelta dolorosa, al viaggio della speranza. Questa è la trama, molto semplice e facile da riassumere. Diverso e più ampio è cercare di collocare e comprendere il tema di quest’episodio nella sua essenza all’interno di uno spazio geografico e/o temporale delineati. Qui abbiamo marito, moglie e figlio che sta per nascere che lasciano la terra di origine e vagano in cerca di accoglienza. Il tema è quello della natività: nel Vangelo, Giuseppe e Maria migrano alla ricerca di una casa, un posto degno dove procreare il piccolo Gesù. Il tema è storico: negli anni ’60 Giovanni e Angela migrano (dal Sud) alla ricerca di una casa, un posto degno dove procreare la piccola Francesca. Il tema è contemporaneo: negli anni ’90 Abdel Fattah e Aidha migrano (dall’Africa) alla ricerca di una casa, un posto degno dove procreare la piccola Asiya*.
Se ne deduce che non c’è un tempo e non c’è uno spazio al fenomeno della migrazione, ma esso accompagna l’uomo fin dall’inizio ed egli, per sopravvivere, per migliorare, per mantenere le sue condizioni di vita è costretto a spostarsi. E se non c’è tempo e spazio che possono delimitare il concetto di migrazione come trasferimento della propria persona per vivere, allora il tema è personale e, permettetemi, è per tutti. Migriamo per recarci al lavoro, fare la spesa, istruirci, pregare, gestire i “nostri” risparmi, una semplice passeggiata, un momento conviviale tra amici o parenti comporta il bisogno di uscire, andare via, migrare per poche ore, per pochi metri e non c’è, non ci può essere, limite di tempo e spazio in questo.
Comprendere e accettare questo è tremendamente difficile e pone grandi questioni umane, prima fra tutte il rapporto che abbiamo con il concetto di possesso materiale rispetto a quello che abbiamo con il prossimo. Questa è l’essenza di quest’atto unico e, nel rappresentarlo in chiesa, si vuole ricordare un aspetto importante e non certo casuale del Vangelo: sono tutte, quella di Gesù e della sua famiglia per prima, storie di migranti.
Mirko Cherchi
*Molti nomi arabi hanno doppio significato: Abdel Fattah = servo di colui che apre;
Aidha = colei che parte, ma ritorna; Asiya = colei che tende verso i deboli e li solleva.
Fonte: www.arabcomint.com