Partecipata serata lo scorso sabato 12 dicembre 2009 presso i locali del Circolo “Su Nuraghe” di Biella: attraverso l’occasione della pizza, preparata nel forno a legna costruito da zio Agostino Angotzi vent’anni or sono, uno dei quaranta esemplari di forno a cupola presenti nella nostra provincia, è stato organizzato un convivio rallegrato dalla semplicità dell’incontro, dalle chiacchierate e dalle risate con amici vecchi e nuovi, tutti elementi capaci di offrire per alcuni momenti la serenità o, almeno, la distrazione dalle preoccupazioni della quotidianità.
L’evento è solo un esempio delle diverse manifestazioni e dei numerosi appuntamenti che caratterizzano nel corso dell’anno le attività della comunità dei Sardi di Biella, capaci di coinvolgere e fraternizzare, di volta in volta, persone di ogni ceto ed età. Scorrendo le pagine del sito del circolo, infatti, è possibile evidenziate attività come: corsi di filet, tornei di carte o di calcio balilla, tombole e lotterie, corsi linguistici, corsi di ballo, assegnazione di borse di studio, gli appuntamenti di “Sapori di Sardegna”, serate di presentazione di libri e cinematografiche o semplici serate conviviali (pizza, cene, etc.), gli incontri della tifoseria del Cagliari, conferenze ed ospiti con serate a tema, incontri istituzionali ed iniziative varie e, last but not least, ovvero su fine ma no sa fine, occasioni di preghiera comunitaria.
Lanciare “ponti” tra mondi generazionali
oltre un’apparente quotidianità
nelle parole di Gianni Cilloco
Le nuove generazioni sono oggi al centro di un vasto ed articolato dibattito presso i vari studiosi delle scienze umane, tra i quali si annoverano, con diverse finalità, sociologi, educatori, psicologi ed esponenti dei mass-media. A tale proposito i festeggiamenti che hanno riguardato il Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” di Alessandria lo scorso mese di Settembre sono stati l’occasione per affrontare un tema particolare con riferimento a fanciulli e giovani, ossia il problema della continuità culturale nel mondo dei Sardi del Continente. Nel corso della giornata di Domenica 27 settembre l’Associazione dei Sardi di Biella, nella persona del suo presidente, prof. Battista Saiu, ha fornito un personale contributo alla relativa discussione, attraverso il racconto di quanto accade presso la comunità sardo-biellese, posta storicamente, come quella alessandrina, sotto la protezione del patrono del Piemonte, Sant’Eusebio da Cagliari, vescovo di Vercelli del IV Secolo, introduttore dei culti mariani ad Oropa (BI) ed a Serravalle di Crea (AL).
Preliminare è stata una riflessione che ha avuto ad oggetto le diversità tra i Sardi delle vecchie generazioni e coloro che ne sono oggi i figli ed i nipoti. Tale distanza non si riflette solo nell’età dei soggetti posti a confronto, ma si evidenzia nei contesti storico-ambientali del vissuto individuale e nelle esperienze affrontate. Tutto ciò risalta già solo nei ricordi dell’emigrazione dei Sardi in Continente nel corso degli anni ’50 – ’70 ed, in particolare, con riferimento al cd. “marchio identitario“: gli emigranti dall’Isola, infatti, hanno al tempo dovuto affrontare l’allora dogana di Genova, ove le valigie venivano segnate dalle autorità portuali col gesso all’ingresso in terra ferma al fine di indicare la regolarità contro il contrabbando del sale.
Ma a questo si aggiunge il divario esistente tra il passato e l’oggi nel mondo del lavoro: gli emigranti del tempo, in cerca di sicurezza e di fortuna durante il grande boom economico italiano del secolo scorso, erano gente motivata abituata e pronta alla fatica, e le donne, specie coloro senza famiglia, erano umili protagoniste di lavori domestici, o si presentavano come infermiere od operaie in botteghe e fabbriche, specie nel Nord-Ovest del Paese. La distanza generazionale è poi riscontrabile relativamente al mondo delle relazioni sociali: in passato i circoli, luoghi partecipati, sorta di salotti di casa allargati e di succursali continentali delle piazze dei paesi natii, erano la sede della promozione e per la condivisione ristretta dei prodotti tipici e delle attività culturali specifiche sarde, quale sorta di legame e, al contempo, di palliativo alle sofferenze per il distacco dalla propria terra e, spesso, dalla propria famiglia.
Nel tempo il mondo è cambiato e ciò si è naturalmente riflesso anche presso le comunità di emigrati, ove progressivamente sono venute a crearsi nuove esigenze, prima fra tutte quella della integrazione attraverso la conoscenza, il confronto ed il rapporto diretto con la terra ospitante di immigrazione. Tuttavia sono anche venuti a “sfilacciarsi” quelli che erano dei veri e propri “cordoni ombelicali” con la terra origine per ciò che riguarda le persone, la mentalità, le usanze e le dinamiche relazionali: le distanze, quindi, tra i sardi immigrati in terra ferma e quelli rimasti sull’Isola sono progressivamente cresciute. Si è giunti così all’attuale problema di come garantire la sopravvivenza di quelli che possono definirsi dei veri e propri “noccioli duri” nell’identità, ossia la continuità culturale sarda presso le nuove generazioni. Una questione problematica di non certa facile soluzione, considerato anche il fatto che lo stesso concetto di identità ha caratteristiche dinamiche ed evolventi, che evidenzia come la relativa ricerca non possa essere affrontata con atteggiamenti superficiali. Oggi, come ha evidenziato più volte nei suoi saggi il filosofo Bauman, nelle nostre società si propone qualsiasi cosa solo al fine di consumare, ottenendo il risultato per il quale, parafrasando l’adagio cartesiano, “si è quel che si consuma“. In questo quadro d’insieme si evidenziano quelle che vengono denominate le cd. comunità guardaroba, ossia quegli assembramenti umani che nascono per assistere ad una partita, per partecipare a meeting, a cerimonie o manifestazioni di varia natura, costituite giusto per la durata dello spettacolo e dell’evento e sciolte al termine di esso (a riguardo si veda l’opera di Z.Bauman, a cura di Benedetto Vecchi, Intervista sull’identità, V Ed. Saggi Tascabili Laterza, Roma – Bari, 2006, pag. 33 e ss.): di questa specie si palesano anche quei gruppi nei quali la Memoria dei costumi, della tradizione e della cultura di origine viene ad essere proposta come se fosse posta all’interno di un espositore di museo, nel quale il soggetto usufruisce e partecipa dell’evento quale semplice spettatore distaccato entro un tempo limitato. Sebbene in queste dinamiche sussistano indubbi vantaggi, quali proprio la brevità temporale ed il minimo impegno nel personale coinvolgimento, utili ad incrementare la partecipazione numerica, tuttavia gli stessi citati elementi strutturali determinano un distacco dalle tradizioni mostrate, poste in visione ma lasciate solo alla percezione superficiale di chi le osserva manifestarsi. Già solo il fatto di porre un fatto od un oggetto in una dimensione da museo significa ritenere detti oggetti non viventi, non propri del presente ma del passato, da custodire in quanto prossimi alla scomparsa (a riguardo si consulti M.Aime, Eccessi di culture, Ed. G.Einaudi, Torino, 2004, pag. 32 e ss.): in sostanza in tale situazione la Tradizione non viene trasmessa ma al più riesumata, oppure posta in teca, in quanto già morta.
Il Circolo “Su Nuraghe” di Biella, cosciente di tali eventualità, ha adottato nuovi approcci ed una ricerca per tentativi per ovviare alla questione della continuità culturale presso le nuove generazioni. Ma il problema si complica ulteriormente in quanto concerne il come coinvolgere le nuove generazioni, specie in riferimento a coloro che sono nati fuori isola. Problema cui la stessa Chiesa Cattolica, con riferimento specifico all’educazione alla fede ed ai valori cristiani, propone diversi spunti e riflessioni utili anche al tema del dibattito in oggetto. Recentemente è stato segnalato come i giovani oggi vivano, oltre ad un’apparente quotidianità propria dell’età personale, anche una contestuale vita parallela a quella degli adulti, all’interno della quale il singolo si rifugia in una sorta di falsa autonomia. Alla luce di ciò si evidenzia la necessità di lanciare “ponti” tra questi due mondi generazionali, da individuarsi nei luoghi della relazione e nei momenti della vita quotidiana, accettando la sfida di far diventare queste occasioni centri di educazione, attraverso l’incontro, la relazione concreta e personale, diretta e a quattro occhi (a riguardo si veda l’intervento di D. Segalini, Per educare i giovani occorre costruire ponti, consultabile in Formazione&Lavoro, n. 3, Anno 2007, pag. 59 e ss.). Anche papa Benedetto XVI ha segnalato come la “frattura fra le generazioni” sia l’effetto, piuttosto che la causa, della mancata trasmissione di certezze e di valori del passato, i quali non possono semplicemente essere ereditati, ma fatti propri e rinnovati attraverso una spesso sofferta e non sempre facile scelta di coinvolgimento personale, cui si innesta un grande desiderio di sapere e di capire, che si manifesta in continue domande e richieste di spiegazioni, senza limitarsi al mero passaggio di nozioni ed informazioni (a riguardo si rimanda a Benedetto XVI, Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla Diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione – 21 gennaio 2008, Ed. Libreria Vaticana, Città del Vaticano, 2008).
A Biella, pertanto, si agisce in “Su Nuraghe” per coinvolgere nella comunità le nuove generazioni, attraverso una serie di iniziative cui partecipare personalmente contribuendo in prima persona, attraverso eventi conviviali, aggregativi, o più strettamente culturali. Lunga sarebbe l’elencazione delle iniziative, ma per citarne alcune si rammenta il caso del cumbidu di presentazione dei neonati e l’annessa “festa degli alberi” in applicazione della Legge 29 gennaio 1992, n. 113, l’indizione di borse studio, l’organizzazione di tornei e gruppi sportivi con la previsione di sezioni per genere o età, l’allestimento di feste per il carnevale dei bimbi ove i giovani rivestono piccoli ruoli di responsabilità e visibilità, analogamente a quanto avviene nelle occasioni nelle quali occorre un servizio ai tavoli per i banchetti sociali o per la presentazione di libri o film a tema, o la possibilità, specie per le donne, di proporre e mettere alla prova le proprie capacità culinarie partecipando alle serate di “Sapori di Sardegna“, o arricchire il proprio bagaglio culturale attraverso la partecipazione a corsi ad hoc di intreccio, di ricamo, di ballo, di lingua, di panificazione, ecc., o attraverso le manifestazioni collegate all’area monumentale di Nuraghe Chervu, dedicata ai Caduti della Grande Guerra biellesi e sardi, nonché alla Brigata Sassari. Sintetizzando, quindi, si assiste presso l’Associazione dei Sardi di Biella al coinvolgimento delle nuove generazioni attraverso tre principali canali che possono integrarsi e coesistere tra di loro, in contemporaneità, ossia una dimensione di protagonismo, una forma di ritualità e una sorta di ambito vestimentario. In particolare, presso il Circolo Su Nuraghe di Biella il coinvolgimento delle nuove generazioni ha, quindi, un carattere specifico consistente in una partecipazione attiva multiforme in quanto indirizzata con la quale si ha il transito da un “prima” ad un “dopo“: si compie, in sostanza, l’ingresso del “neofita” nella comunità attraverso un’attività, in una sorta di un vero e proprio rito di passaggio, testimoniato anche dalle circostanze nelle quali sono i genitori ad accompagnare nell’ingresso i propri figli, quali, ad esempio, spettatori alla presentazione di libri o filmati a tema. Sussiste poi uno scambio ed un’alternatività tra i protagonisti: spesso i giovani, nelle serate di proiezione di film a tema, sono spettatori gli uni degli altri, dando luogo ad un coinvolgimento tra persone di stessa o diversa età in un contesto di inconsapevole successione di consegne, quale sostanziale forma di un altro ulteriore vero e proprio rito di passaggio, così come avviene nella stretta di mano nel caso di saluto, ove sussiste un passato ed un seguito.
In tale quadro d’insieme, quindi, tanto più esistente nelle occasioni dell’uso di tradizioni obliate dal tempo, si tenta di innestare nei presenti uno stimolo per riconoscere come proprie, in quanto parte del personale background culturale, aspetti propri della comunità, quali, tra tutti, usanze o connotati di esse, sebbene in un ambito di consapevole evoluzione. Per tali motivi gli aspetti della Tradizione, possono essere vissuti con l’entusiasmo per la “novità” dell’evento nella riscoperta di una parte di sé, con il risultato di aver suscitato, altresì, un ulteriore potenziale stato di attesa personale nella consapevolezza dell’eventualità di una ripetizione di tutto ciò nella vita quotidiana di ogni giorno.
Nelle immagini: alcune fasi di preparazione della pizza; il cappellano di “Su Nuraghe” don Ferdinando Gallu saluta i cuochi.