Diverse Associazioni ed Enti che operano nel Territorio biellese hanno programmato dal 25 aprile al 5 maggio una serie di manifestazioni per ricordare la figura di Gustavo Buratti Zanchi/Tavo Burat
La vita, si dice, è un percorso di conoscenza, un cammino che noi compiamo per imparare qualche cosa che non sappiamo, per muoverci in avanti nella storia personale, in quella piccola che è la nostra e in quella grande, che è quella che si muove intorno e oltre noi.
In questo cammino noi siamo accompagnati dalle voci che ci parlano, dai ricordi che accumuliamo, dagli insegnamenti che qualcuno, più o meno benevolmente, ci ha dato, dalle radici che la nostra anima tiene saldamente con sé, dalle nostre voci di dentro della nostra coscienza. Le radici e la coscienza sono fra le cose più importanti, per noi e per l’uomo in generale.
Le radici sono fatte del cammino dei nostri avi, dei luoghi dove abbiamo vissuto, delle esperienze affrontate, della nostra identità.
La coscienza viene dopo tutto questo e si materializza nelle nostre scelte di vita e nella adesione ad un ideale, a volte anche in una scelta politica.
Leggere gli articoli di Tavo Burat ha voluto dire ritrovare le mie radici lontane perché anche io, pur venendo da un paese solare, vengo dalla sua parte “montagnina”, fatta di castagni ed erbe alte, di terre aspre e avare come pure sono certe montagne del Sud. Conosco, per averla vissuta da bambina, la fatica e la povertà di chi, poi, ha dovuto emigrare per vivere e continuare a vivere; conosco l’intolleranza e la diffidenza per averla vista dipinta sui volti di chi, in paese, nel paese dove sono cresciuta, la nutriva per esempio per gli zingari.
Nel tempo, crescendo, ho anche imparato a capire meglio il potere del Potere, a riconoscerne le forme coatte e via via a chiarire, dentro di me, gli aspetti di un sistema sociale che lascia poco spazio alla fantasia, alla creatività, alla Vita. Anzi ci vuole omologati e, se possibile, privi di radici affinché meglio gli riesca il progetto di dividerci e isolarci, qualora ci mostrassimo diversi.
È proprio invece la diversità che ci fa ricchi e ci fa crescere nell’anima e nella mente, spingendoci al confronto, insegnandoci a ragionare.
Le nostre radici rappresentano la nostra diversità e sono nutrite dei nostri ricordi e dei nostri saperi arcaici, lontani, profondi.
La lingua è una delle nostre radici più grandi, quella che ci avvicina di più e ci unisce ai nostri avi, quella che ci definisce come appartenenti ad un popolo, una etnia, una tradizione, una cultura, una storia.
Non saperla, non parlarla, ci allontana da noi stessi e ci rende soli e migranti, soli e sradicati, soli e isolati. Averla vuol dire sentirsi parte di un mondo anche lontano; parlarla vuol dire non sentirsi soli ma uniti idealmente a tutta la nostra gente, anche quella sconosciuta che, precedendoci, ci ha lasciato un bagaglio di suoni, accenti, intercalari, proverbi, frasi, modi di dire, dai quali possiamo trarre esperienza.
Conservare la propria lingua vuole dunque dire conservare il passato: non per ricordarlo con malinconia, ma per farlo rivivere tramandandolo a chi non lo conosce, stabilendo un legame, una continuazione, in un percorso senza fine ma con futuro.
Alla faccia di chi vorrebbe che nulla più esistesse a dividerci, forse per poi comandarci meglio e non avere opposizione.
A contestare, chiarire, spiegare, si leva la voce di Tavo Burat, limpida e chiara, spesso dolorosa e dolorante, propria di chi vede intorno a sé il disastro che avanza ma non può farci nulla, perché troppo dura e difficile è la lotta, se si è soli a capire e a combattere. Ma, nonostante il dolore e la consapevolezza delle difficoltà, Tavo Burat continua la sua battaglia con una tenacia che è anche la sua forza.
E questo è il bello, questo è ciò che lo rende unico, il continuare la sua battaglia nonostante la solitudine, nonostante la consapevolezza di essere una voce …, come forse direbbe lui, “una voce nella tempesta”.
Anna Maria Sarno
(tratto da: Tavo Burat, Lassomse nen tajé la lenga/non lasciamoci tagliare la lingua, 2005)