Unità di sapori, sapori dell’Unità

Sabato 17 e domenica 18 aprile si terrà a Pray Biellese l’Ottava edizione di “Sapori di Primavera” – gemellaggio del gusto tra Piemonte e Sardegna – degustazione di prodotti tipici – mostra di curiosi attrezzi per la cucina: “Le forme del rame” – presentazione del libro: “In cucina con la birra Menabrea”

produzione artigianale di mestoli biellesi
Produzione artigianale di mestoli biellesi

Gli ingredienti della memoria. In più circostanze è stato ricordato come il comportamento alimentare, più di ogni altro aspetto culturale, sia un rivelatore d’identità umane e di civiltà1. L’uomo, infatti, modificando e lavorando il cibo prima di consumarlo, si distingue da ogni altro essere vivente assumendo il ruolo di “inventore”, come nel caso indicativo del pane, ove il grano è convertito in alimento attraverso un processo di trasformazione per mezzo del fuoco e, quindi, della cottura, sorta di alchimia nella quale quanto è crudo e distinto si evolve in una pietanza composita ma unitaria2. Nelle attività gastronomiche ruolo fondamentale è ricoperto dalla persona del cuoco, soggetto nel quale si presentano decisivi per l’esito dei risultati le origini, il bagaglio culturale di conoscenze tecniche, oltre che le doti personali, tutti elementi utili a rendere unici ed irripetibili i “piatti”. Tutto ciò evidenzia come il “mangiare” abbia a che fare con la memoria, ossia con un mondo di esperienze umane che è ancora presente, grazie anche alla trasmissione orale, ove cibo e pietanze, nonché le sfere sensoriali del gusto e dei profumi, sono la risultante di processi storici, anche lunghi nel tempo, ed essi stessi fattore di conservazione culturale3. A tale riguardo rivelatrice di aspetti non del tutto scontati si mostra essere una breve analisi filologica ed etimologica circa le parole italiane “sapore” e “sapienza“, entrambe di origine latina e con una comune radice nel verbo săpĭo-is, săpĭi, săpĕre, il cui significato può consistere, alternativamente, nell’aver sapore o nel sapere-conoscere, a sibillina conferma della celeberrima massima del filosofo Ludwig Feuerbach, il quale affermava che «siamo quello che mangiamo»4.

La cucina è sin dalle più antiche civiltà5 il luogo dell’incontro e dei sentimenti, dell’amicizia e dell’eros, della confidenza e dell’intimità come dei rancori e degli odi, in grado di eliminare le barriere e le separazioni sociali e di genere6. L’arte gastronomica italiana, anche per la sua struttura di origine prevalentemente contadina, presenta la costante della condivisione nella relazione7, specie se connessa alla produzione di determinati piatti in occasione di particolari e specifiche feste ed eventi sociali ed esistenziali nei quali sussistono circostanze di aggregazione, di convivialità e, più specificamente, di ospitalità8. Lo studio dell’antropologia, d’altronde, ricorda come la stessa commensalità, sia essa stessa un rito di raggruppamento e di unione materiale9. La festa, nella quale gli alimenti si delineano essere elemento strutturale, inoltre, è una ritualità effimera, non destinata a durare nel tempo ma ad essere il culmine di determinati processi o periodi dell’attività produttiva e, non a caso, nella maggior parte dei casi i relativi svolgimenti si focalizzano in corrispondenza del termine delle operazioni dell’annata agricola, quali l’aratura e la semina nell’inverno, la transumanza a maggio, il raccolto e la vendemmia tra l’estate e l’autunno, tutte eccezionalità ove il cibo deve essere sia abbondante, sia particolare, motivo per il quale compaiono pietanze come i dolci, solitamente assenti nel pasto quotidiano10.

Per tali motivi si può concordemente affermare che il «mangiare è vivere11» e che nella stessa vita al più sono le ricette ed i loro fautori che tendono ad evolversi e modificarsi nel tempo, mentre ad estinguersi sono, invece, certi prodotti della natura12. Tutti i descritti fenomeni socio-culturali, inoltre, garantiscono una possibilità ulteriore di integrazione virtuosa e di arricchimento reciproco proprio attraverso lo scambio di conoscenze culinarie da altri territori e tra popolazioni terze tra di loro13. Tali considerazioni trovano conferma nell’affermazione di quegli studiosi delle realtà enogastronomiche che rammentano come «la nostalgia del cibo è nostalgia di casa14», ossia un ulteriore “paesaggio dell’anima15” nel quale è possibile passare dall’attività agro-pastorale, ormai lontana dalla maggior parte degli individui della vita contemporanea, ad un’attività culturale e di conservazione delle radici personali16. Fatto che, in fin dei conti ed a ben vedere, si rivela essere una costante nella stessa storia dell’alimentazione umana, come anche verificabile, naturalmente, con riferimento al Piemonte nel quale oggi viviamo, ove sono rintracciabili svariate esperienze a riguardo17. D’altronde «offrire cibo buono è uno dei modi migliori per dimostrare amore verso il prossimo18», vivendo bene e mangiando sano19.

Gianni Cilloco

Nell’immagine: produzione artigianale di mestoli biellesi.

  1. Cfr., A.R.Zara, L’Odissea in cucina, Il leone verde, Torino, 2006, p. 9. Nonché in F.Soletti – a cura di, Il grande mosaico della cucina italiana, Touring Club Italia, Assago, 2009: I.Diamanti, L’uomo che mangia, p. 29; P.Teverini, Interpretare la tradizione, pp. 58-71. []
  2. Cfr., R.A.Alves, La cucina come parabola, Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano, 1996, pp. 8-10; C.Augias, Dal pane alle polpette, così l’uomo inventò i cibi, in Il Venerdì di Repubblica, n. 1147, 12 marzo 2010, p. 129; B.Saiu, Non di solo pane, in Aa.Vv., Parla come mangi. Il cibo dell’altro, Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti, Biella, 2006, pp. 8-10. []
  3. Cfr., C.Berardo, Alla tavola di Giovanni Arpino, Il leone verde, Torino, 2007, p. 8; M.Montanari, Italia, un mosaico di culture e cucine, in F.Soletti, op.cit., pp. 10-23; P.Teverini, op.cit., pp. 58-59. []
  4. Cfr., R.A.Alves, cit., pp. 4-15; B.Saiu, cit., pp. 8-10. []
  5. Cfr., M.Juaneda Magdalena, La cucina ellenica: pochi eccessi e molto gusto, in Storica National Geographic, n. 11, 2010, pp. 100-103. []
  6. Cfr., C.Augias, cit., p. 129; N.De Giovanni, A tavola con Grazia. Cibo e cucina nell’opera di Grazia Deledda, Il leone verde, Torino, 2008,, p. 14 e p. 23; I.Diamanti, op.cit., pp. 27-29. []
  7. Cfr., C.Augias, cit., p. 129; C.Berardo, op.cit., p. 10 e pp. 75-82; I.Diamanti, op.cit., pp. 27-28. []
  8. Cfr., per la Sardegna M.L.Wagner, La vita rustica della Sardegna riflessa nella lingua, Ilisso, Nuoro, 1996; per il Piemonte: C.Berardo, op.cit., p. 14. Ed ancora: N.De Giovanni, op.cit., pp. 35-36 e pp. 61-63; I.Diamanti, op.cit., pp. 27-28. []
  9. Cfr., A.Van Gennep, I riti di passaggio, Bollati Boringhieri, Torino, 2009, p. 25. Nonché: R.A.Alves, cit., p. 10; C.Berardo, op.cit., pp. 11-12; C.Gallini, Il consumo del sacro. Feste lunghe di Sardegna, Ilisso, Nuoro, 2003, p. 75 e p. 268-269; P.Piquereddu, La candelaria di Orgosolo, in Aa.Vv., Pani. Tradizione e prospettive della panificazione in Sardegna, Ilisso, Nuoro, 2005, pp. 253-258; R.Randacciu, Il pane raccontato, in Aa.Vv., Pani, cit., pp. 315-317; B.Saiu, Non di solo pane, cit., pp. 8-10. []
  10. Cfr. per la Sardegna C.Gallini, cit., p. 140 e pp. 281-282. []
  11. Cfr., R.A.Alves, cit., p. 5; I.Diamanti, op.cit., p. 27. []
  12. Cfr., C.Petrini, Gente di Piemonte, L’Espresso, Roma, 2010, p. 26. []
  13. Cfr., M.Aime, Eccessi di culture, Einaudi, Torino, 2004, pp. 135-136; C.Petrini, op.cit., p. 210. []
  14. Cfr., C.Petrini, op.cit., p. 56. []
  15. Cfr., C.Berardo, op.cit., p. 10. []
  16. Cfr., C.Petrini, op.cit., pp. 111-112. []
  17. Cfr. esemplificativamente per l’immigrazione sarda: G.Barosio, Gino Simbula, la Sardegna nel cuore, in Torino Magazine, Anno 22, n. 92, Primavera 2010, p. 226; nonché, per il Circolo “Su Nuraghe” di Biella, dall’anno 2009, vari articoli a tema nel sito dell’Associazione www.sunuraghe.it. []
  18. Cfr., C.Petrini, op.cit., p. 32. []
  19. Cfr., C.Berardo, op.cit., p. 10. []

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