Il Sud Tirolo, come ai tempi del folle Tolomei, denuncia: l’Austria ci difenda dal neonazionalismo italiano.
Per chi volesse capire che cos’è veramente l’Italia, è utile, ancora oggi, conoscere il suo comportamento storico con la minoranza di lingua tedesca della provincia di Bolzano.
Dopo un’inquietante intervista del Capo del Governo Monti, il presidente della provincia autonoma del Sud Tirolo-Alto Adige Luis Durnwalder (spalleggiato dal segretario della Südtiroler Volkspartei Richard Theiner) ha scritto, nei giorni scorsi, al governo di Vienna per chiedere chiarimenti e tutela contro l’Esecutivo italiano.
In un colloquio riportato da un giornale austriaco, infatti, il nuovo “salvatore della patria italiana”, l’uomo della Provvidenza bancaria Mario Monti ha detto che l’autonomia dell’Alto Adige <non è più necessaria>. Durnwalder e Theiner, preoccupati per una dichiarazione sprezzante di tutti gli accordi internazionali sulla scottante materia, si rivolgono al cancelliere e al presidente austriaci per lanciare una sorta di allarme alla comunità internazionale ed europea. Per i tirolesi della provincia di Bolzano, infatti, tale dichiarazione equivale a un disconoscimento dell’autonomia e della specialità conquistata nel dopoguerra dopo decenni di battaglie e resistenze al fascismo e al nazionalismo italiano. Un’autonomia ottenuta grazie anche all’intervento dell’Onu a tutela diretta dei diritti umani dei sudtirolesi.
“A Monti – ha dichiarato Durnwalder al Tiroler Tageszeitung – non importa nulla dell’autonomia altoatesina, me l’ha detto chiaramente, e questa posizione favorisce le opposizioni sudtirolesi più radicali. E’ necessario che l’Austria intervenga perché temiamo che vengano violati i trattati internazionali che tutelano la nostra popolazione“.
La pericolosità del riemergente neonazionalismo italiano, con la scusa della crisi economica e della necessità dei tagli, non è più solo teorica. I media italiani fanno propaganda spicciola e volgare tutti i giorni contro le nazionalità alloglotte e interne dello stato. Autonomie, minoranze linguistiche, quote di altri popoli o popoli senza stato presenti nel territorio della Repubblica Italiana devono ricominciare seriamente a temere il revanchismo impersonato e reso più efficace dal governo dei tecnici. Proprio come ai tempi del fascismo.
Tv e giornali mainstream italiani si sono ben guardati dall’enfatizzare una notizia così grave che avrà certamente risvolti diplomatici contro l‘Italia. Il Corriere della Sera, ad esempio, sabato 3 novembre 2012, si è limitato a un piccolo box di una trentina di righe a pagina 11. Anzi, anche le ultime vicende dei tagli al bilancio, del mancato finanziamento alla sede Rai di Bolzano e quella grottesca dell’italianizzazione forzata della toponomastica di montagna sono state quasi del tutto oscurate. L’idea che si cerca di far passare è invece quella dell’ennesima provincia turris eburnea (con poteri di regione) privilegiata, ricca, dedita agli sprechi e agli scandali come altre. Un ente che deve assolutamente essere ridimensionato e normalizzato a partire dai tagli al sistema scolastico trilingue (uno con i migliori risultati di apprendimento in Italia) e all’emissione di trasmissioni della tv pubblica in tedesco e ladino.
Agli italiani “offesi” da tanti sprechi e privilegi, dicono i bollettini di regime, si cerca di far credere che questi “strani” valligiani approfittino del fatto di parlare dialetti germanici per ottenere più soldi degli altri. <Ma non siamo tutti uguali?>, si chiede il cittadino italiano medio e altamente disinformato su questi temi. Ma non siamo tutti italiani figli della grande patria voluta da Garibaldi e Vittorio Emanuele? Perché i residenti della provincia di Bolzano, oltre all’aria buona, devono godere di uno Statuto Speciale e di tanti soldi? Perché vogliono parlare il tedesco? E giù articoli di Stella, Rizzo, Report ed epigoni per “sputtanare” spese e rendiconti (?!).
Ovviamente tutti si guardano bene dal raccontare agli ignari cittadini la vera storia di sopraffazione e di tentato annichilimento del Sud Tirolo e che i sudtirolesi semplicemente non sono italiani e si trovano in Italia dal 1919 per caso (e per violazione di ogni principio di autodecisione nazionale).
Quando raramente si ammette qualche sopruso, si da’ la colpa di tutto ai fascisti e al fascismo. Ma non è cosi. Si tratta dell’Italia nel suo complesso, in tutte le sue mutazioni storico-politiche-istituzionali, che ha cercato, e cerca ancora a quanto pare, di annettersi e assimilare linguisticamente queste popolazioni. Ciò per un’ideologia folle e aprioristica che pretendeva, e pretende, che la Nazione “schiava di Roma” dovesse arrivare per forza al Brennero, per comodità geografica.
Quella regione è invece abitata da popolazioni di lingua tedesca (ovvero parlano dialetti della famiglia teutonica e hanno adottato come lingua tetto il tedesco standard) da almeno un millennio. Fin dai tempi antichi è una marca di confine, ma sempre ancorata al mondo germanico. Nel 1363 la contea del Tirolo, prima indipendente, passa sotto la dinastia degli Asburgo e da allora in poi fece parte dell’Austria. Nel 1806, l’Austria vinta dovette cedere il Tirolo alla Baviera. Dopo la ribellione e la sconfitta dei tirolesi nel 1809 la parte nord fino a Meran e Klausen resta con la Baviera, il resto entra nei possedimenti napoleonici italiani. Alla morte dell’imperatore, tutti i territori tornano all’Austria fino alla fine della Prima Guerra Mondiale.
Nel 1915, il giovane Regno d’Italia, tradisce, come sua inveterata abitudine (e Gheddafi ancora oggi ne ha saputo qualcosa), le alleanze militari e scende in guerra non con i suoi alleati pattizi Austria e Germania, ma a fianco di inglesi e francesi. Uno dei premi, tra le varie promesse non mantenute per l’alleato infido e scostante, è proprio il Sud Tirolo, che viene ribattezzato prontamente Alto-Adige (così come altrove viene inventato il termine Venezia-Giulia). E’ dunque l’Italia liberale, non quella fascista, che s’impadronisce del Sud Tirolo tradendo ogni principio retorico del Risorgimento e inglobando nell’invenzione di un nuovo stato-nazione popolazioni presuntivamente non di lingua o “dialetto” italiano.
Le potenze vincitrici agiscono in aperto contrasto con i <Quattordici Punti> del Presidente USA Wodrom Wilson a tutela dell’autodeterminazione dei popoli. Si tradiscono (ancora una volta) i “sacri” principi savoiardi su cui era basata la propaganda a sostegno delle Guerre d’indipendenza e cioè che i confini statali corrispondessero con quelli “ideali” linguistici: il Regno d’Italia nasce, infatti, contro l’Austria sostenendo che <nessuna stirpe doveva far parte di uno Stato straniero contro la sua volontà>. Verità a senso unico, a quanto pare. Niente da fare per gli oppositori: i vincitori dettano le regole e il Sud Tirolo viene annesso all’Italia centralista, gretta, nazionalista e fondamentalista dei primi decenni del secolo scorso.
L’arrivo del Fascismo, sublimazione perfetta del nazionalismo italico di cui ancora oggi si vedono le tracce nella vita democratica e istituzionale, apre una fase terribile della storia del Sud Tirolo. Sarebbe troppo lungo fare la storia delle violenze, delle angherie, dei soprusi, delle malversazioni, delle imposizioni, delle ruberie, dei tentativi di annullamento che i germanofoni di quella provincia hanno dovuto subire per un ventennio. Al centro di tutto, ovviamente, il tentativo di estirpare la lingua e la cultura germanica per abbracciare “spontaneamente” quella italica. Il protagonista, l’ideologo e leader della guerra violenta contro l’identità sudtirolese fu un certo Ettore Tolomei, conte e senatore, del quale basti ricordare la definizione di Gaetano Salvemini: <un uomo che inventava sempre i metodi più raffinati per martoriare la minoranza sudtirolese>. Questo signore era talmente colto, moderato e saggio che su un periodico che è noto modestamente con il suo stesso nome (“Archivio Tolomei”) sostenne la famosa “teoria dello spartiacque”, secondo la quale <il confine tra l’Italia e l’Austria deve essere spostato al Brennero perché su quel passo c’è lo spartiacque fra il Mediterraneo e il Mar Nero(?)> e sostenendo che <è un confine voluto da Dio (!?) >. Una follia maniacale allo stato puro, mai contrastata da nessun accademico italico né dal Vaticano, ma sulla base della quale oggi il Sud Tirolo è proditoriamente italiano e non austriaco, come sarebbe più logico e in continuità con la sua storia.
Ma non si può liquidare Tolomei raccontando la favola che fosse un fascista, come se il fascismo fosse estraneo al ventre molle del nazionalismo piccolo borghese italiano e non la sua espressione più tipica che oggi non si ha il coraggio di riconoscere. Tolomei aderisce al fascismo nel 1921, ma già nel 1919 è inviato a Saint Germain alle trattative di formazione del trattato di pace come consigliere dal liberale Vittorio Emanuele Orlando. Allora le sue fantasiose teorie erano già note e pubblicate. Mentre per i sudtirolesi è noto come “Totengräber Südtirols” (il boia del Sud Tirolo), re Vittorio Emanuele nel 1937 gli da’ il titolo di conte per i suoi meriti nazionalisti. Viene deportato e rischia di essere giustiziato prima dai nazisti e poi dai russi. Se la cava sempre. Muore, dopo essere riuscito a farsi dimenticare, a Roma, nel suo letto, senza essere chiamato a espiare alcunché dalla Repubblica democratica, nel 1952.
Le armi fasciste di sradicamento dell’identità germanica sono state abbastanza “classiche”, da manuale della colonizzazione. Proibizione del tedesco in ogni spazio pubblico, deportazione “definitiva” di italiani del Sud a Bolzano, le ferocissime “opzioni” di residenza (le famiglie doveva scegliere se restare in Italia e parlare solo italiano o “optare” per la deportazione in paesi di lingua tedesca), abolizione delle scuole tedesche e licenziamento in massa per gli insegnanti, pestaggio, confino o prigione (fino alla morte in qualche caso) a chi si opponeva alle misure di italianizzazione. Chi si oppose coraggiosamente a questa politica feroce fu la Chiesa sudtirolese e, in particolare, uno degli eroi della specialità altoatesina, il canonico Michael Gamper.
Grazie a questa resistenza eroica, organizzata dagli intellettuali cattolici e condivisa largamente dalla popolazione, alla fine del Secondo Conflitto mondiale (dopo anche una fase di ambiguo dominio diretto sulla zona dei nazisti denominata “Alpenvorland“) la popolazione è provata, ma non doma. Lo stesso Gamper, insieme a molti altri, è il fondatore della SVP, il partito di raccolta centrista, moderato e cristiano della minoranza linguistica sudtirolese. I tempi sono maturi per una tutela migliore dei diritti delle popolazioni di Bolzano e dintorni. Il 5 aprile del 1946 si incontrano a Parigi Alcide De Gasperi e il ministro degli esteri austriaco Karl Gruber e siglano un accordo storico che prende il nome dalla capitale francese in cui viene redatto e sottoscritto. L’Italia stavolta è una potenza sconfitta (anche se con l’ennesimo voltafaccia dell’armistizio ha salvato le penne) e deve accettare obtorto collo, facendo buon viso a cattivo gioco, l’imposizione internazionale del rispetto della minoranza linguistica tedesca. E’ fatto obbligo all’Italia di creare una regione a statuto speciale per i sud tirolesi, pena il passaggio della provincia di Bolzano all’Austria.
Col trionfo della democrazia, sembra ormai tutto in discesa, ma i tirolesi dovevano ancora conoscere le arti dilatorie e melliflue del nazionalismo italiano che non era certo finito con il fascismo. Il trentino De Gasperi, nel 1948, fa costituire sì una regione a statuto speciale, ma con un tocco di “magia” machiavellica, ci mette dentro anche il “suo” Trentino. In un colpo solo riesce a garantire le clientele democristiane di Trento e a far diventare, all’improvviso, i sudtirolesi una minoranza anche numerica, nella regione creata grazie alle loro stesse lotte. Dei benefici della autonomia speciale ora usufruiscono i trentini, più numerosi, ma anche più “italiani”. Una beffa, e anche una provocazione, in perfetto stile da sberleffo italico. Un aggiramento artificioso degli impegni internazionali. Un’altra prova che non è stato solo il fascismo a essere responsabile della questione della provincia di Bolzano, ma forse un certo modo italico complessivo di affrontare queste questioni.
Questo e altro fa infuriare i sudtirolesi che ricominciano la lunga lotta a muso duro. Un passaggio fondamentale è la grande giornata di denuncia mondiale del caso sudtirolese del 18 novembre 1957, nella quale a Schloss Sigmundskron, vicino a Bolzano, manifestano oltre 35 mila persone. L’Italia è svergognata clamorosamente a livello internazionale e viene consacrato il nuovo capo carismatico della SVP, Silvius Magnago, un ammirevole e onestissimo disabile che è anche un genio politico. Con una risoluzione approvata per acclamazione, si chiede di rispettare il diritto alla giustizia del Sudtirolo e si accusa l’Italia repubblicana di <non aver mai pensato di riparare all’ingiustizia fascista>, anzi di <perseverare nello spirito che ha portato tante sventure al paese>. Ci si appella al governo austriaco e all’Onu, che si occupa della questione nel 1961. I media italiani non rivelano al popolo la figuraccia. Anche il PCI, allineato al nazionalismo, tace.
La riconquista delle protezioni concernenti l’Accordo di Parigi, non è né semplice né breve. Ma alla fine l’Italia è costretta, con grande riluttanza, ad approvare, nei decenni seguenti, un “Pacchetto” di provvedimenti che, tra l’altro, fa nascere la Provincia Autonoma di Bolzano, dotata di poteri speciali e, all’interno della quale, i germanofoni sono finalmente la maggioranza e possono tutelare l’educazione bilingue (trilingue nel caso dei ladini minoranza interna) e l’insieme delle loro tradizioni e del notevole patrimonio ambientale. Ci sono anche tensioni di tipo terroristico e posizioni più radicali, per fortuna poi rientrate. Ritiratosi Magnago, la riconquistata autonomia è stata gestita (bene a sentire gli abitanti della provincia di Bolzano) da una nuova generazione di leaders della SVP, tra cui Durnwalder. E il Sud Tirol – Alto Adige è diventata, secondo indicatori statistici riconosciuti, una delle plaghe meglio gestite d’Italia. La questione, negli Anni Novanta del secolo scorso, sembra chiusa.
Ora, in barba a Onu e a diritti internazionali riconosciuti, arriva la posizione di Mario Monti, il quale dice che questa autonomia così preziosa e così qualificante per l’immagine internazionale dell’Italia <non sia più necessaria>. Monti ha deciso di passare, come Mussolini e De Gasperi, il Rubicone della discriminazione sudtirolese? La sua uscita può essere estemporanea, ma fa pensare a un nuovo “spartiacque” simbolico, ispirato a quello di Tolomei, in nome di quello strisciante nazionalismo italiano che si ammanta di riverberi sempre estranei pur di non rivelarsi al mondo e all’Europa per quello che è. Forse uno spartiacque economico, stavolta, più che fisico o geografico. Adatto ai tempi egemonizzati dall’economicismo di maniera. Giustificare il non rispetto della diversità sudtirolese ancora con un ignaro Dio, non è più di moda. Meglio le motivazioni finanziarie.
Non è però uno spartiacque qualsiasi quello che potrebbe attraversare il governo italiano: è il confine che distingue una democrazia liberale che rispetta le sue minoranze interne, da uno stato autocratico, governato da pulsioni di sopraffazione nazionalistica ammantate di necessità economiche ipocrite, di tipo autoritario. Continuare su questa strada significherebbe ammettere che il fascismo non è stata un’eccezione, ma una rivelazione della vera identità italiana. Questo confine non bisogna oltrepassarlo o sarà troppo tardi. E purtroppo l’Italia, da quando è nata, ha molti precedenti di questo tipo, tanto da far sospettare che questa forma di sopraffazione centralistica sia il suo stesso DNA fondante. E il male dell’Italia non è stato il Fascismo, ma il suo perdurante nazionalismo centralistico che, volta per volta, trova nuove trasformistiche motivazioni adatte ai tempi.
E di sicuro, il devotissimo Mario Monti si sarà assicurato, nei dintorni del Vaticano, che anche questo nuovo “spartiacque”, come quello del folle maniaco Tolomei, sia benedetto dal buon Dio (italiano) della Finanza Internazionale. Cioè quella divinità impolitica che ha provocato la crisi devastante che ci sta logorando. E che è stata chiamata, come una paradossale panacea, al capezzale della sua stessa vittima.
Giuseppe Corongiu