Domenica 27 gennaio 2013 – replica, oggi pomeriggio, ore 17.30, a Sordevolo della partecipatissima rappresentazione tenuta ieri, sabato 26 gennaio, a Su Nuraghe di La zona grigia di Francesco Logoteta con Marco Gallo e Fabio Lamanna – Serra dei Leoni a villa Cernigliaro – ricordo di Vittorio Tredici, un Sardo “Giusto fra le nazioni” –
Il 16 ottobre 1943, iniziò la testimonianza di un sardo che rischiò tutto, compresa la vita sua e quella dei suoi cari, per salvare a Roma degli Ebrei che rischiavano di essere fatti prigionieri dai nazifascisti e avviati nei carri-bestiame come fu per tantissimi loro correligionari nei campi di sterminio.
Non fu il solo fra i numerosi Sardi che si comportarono nella stessa maniera diventando Giusti fra le Nazioni.
Lo divennero assieme a tanti altri di diversissime nazionalità e nei più disparati luoghi a dimostrazione che l’umanità e il buon cuore, lo spirito di sacrificio per le cause giuste e i grandi valori morali sono sempre ampiamente diffusi.
Vogliamo, dobbiamo ricordare Vittorio Tredici, per ricordare tutti gli altri come lui e per non dimenticare.
Ma non dimenticare davvero ciò che sembrerebbe impossibile anche solo concepire ma che invece fu cruda realtà cancellando con brutalità ed efferatezza inarrivabili la vita di milioni di Ebrei nella Shoà.
In Israele nel Giardino dei Giusti tra le Nazioni, a Yad Vashem, dal 1997 c’è un albero dedicato a Vittorio Tredici (Iglesias 1892 – Roma 1967).
Ufficiale combattente e decorato al valor militare nella Grande Guerra fu uno dei più importanti fondatori del PsdAz-Partidu Sardu d’Atzione e animatore del sardismo cagliaritano nel primo dopoguerra.
Dopo aver combattuto lo squadrismo con le camicie grigie sardiste al fianco di Emilio Lussu, in seguito aderì al particolare fenomeno politico noto come il “sardo-fascismo” con Egidio Pilia, Giovanni Cao, Enrico Hendric, Paolo Pili che si ripromettevano di influenzare in senso autonomista e sardista il fascismo isolano.
Fu prima commissario prefettizio (1924-1926 ) e quindi Podestà (1927-1920 ) di Cagliari, dove operò con onestà ed efficienza.
Esperto di questioni industriali e minerarie fu imprenditore, dirigente sindacale, di Società, Enti del settore, Deputato nel Parlamento del Regno.
Trasferitosi a Roma operò sino a cadere in disgrazia presso il fascismo per la sua opposizione all’entrata in guerra e alle politiche razziste e anti giudaiche del regime.
Deluso, meno oberato da impegni politici e di lavoro, prese parte più attivamente alla vita della sua parrocchia, la Chiesa di Santa Lucia nela circonvallazione Clodia.
Il parroco Ettore Cunial, suo intimo amico, raccontava che Vittorio Tredici era il “factotum dell’Azione Cattolica e delle opere di carità della Parrocchia”.
Il parroco Ettore Cunial aveva dato vita in quegli anni terribili per venire incontro ai più poveri, alle “Comunità di palazzo” che divennero durante l’occupazione tedesca la base della rete di soccorso e resistenza nella quale Vittorio Tredici ebbe un ruolo di rilievo.
Dal 16 ottobre 1943, giorno d’inizio della razzia nazista nel Ghetto romano, Vittorio Tredici e la sua famiglia ospitarono e salvarono famiglie di Ebrei che evitarono così di essere uccisi nei lager di sterminio nazisti, aiutandole anche oltre la Liberazione di Roma.
Quella mattina, una giornata grigia e e fredda bagnata da pioggia insistente, un camion di militari tedeschi si fermò in via Sabotino 2a, di fronte all’abitazione di Tredici.
Era coperto da un telone scuro.
Alcuni curiosi si erano fermati ad osservare la scena.
Non si trattava di un normale trasporto di truppe.
Il camion era pieno di civili, uomini, donne, vecchi e bambini, ammassati insieme a valigie e pacchi.
Era iniziata la grande razzia degli Ebrei romani nella Roma occupata dai nazisti.
Prima dell’alba i tedeschi avevano bloccato le vie d’accesso alla zona del vecchio ghetto e cominciato a portare via le famiglie, casa per casa.
Nell’azione erano impegnate oltre ad un commando inviato appositamente da Adolf Eichman e guidato dal suo collaboratore fidato Denneker, alcune compagnie messe a disposizione dal comandante la piazza di Roma Stahel: in tutto 365 uomini.
Gli italiani, i fascisti, erano stati impegnati nell’organizzazione logistica dell’operazione.
La città era stata divisa in ventisei settori.
In ognuno di questi era operativa una squadra con uno o più camion che si muoveva in base ad un elenco nominativo su cui era indicato l’indirizzo di ogni famiglia ebrea.
I militari tedeschi cercavano in via Sabotino la famiglia Funaro: l’unica famiglia di ebrei che abitavano il palazzo.
Il portiere del palazzo, si accorse del pericolo e avvisò immediatamente i Funaro che si precipitarono fuori dell’appartamento che si trovava al quinto piano.
Con l’ascensore scesero al primo piano mentre i tedeschi salivano le scale.
Il portiere, con prontezza di spirito, li nascose prima nel vano dell’ascensore e poi avvertì Vittorio Tredici che li fece entrare nel suo appartamento, dove viveva con la moglie e i suoi nove figli.
I tedeschi nell’appartamento dei Funaro trovarono solo Rodolfo, il padre di Vittorio Funaro che era malato e immobilizzato a letto.
Il portiere disse loro che aveva una gravissima malattia infettiva e i tedeschi pur contrariati lasciarono lo stabile di via Sabotino a mani vuote.
Il camion, dopo essersi fermato agli altri indirizzi della zona, si diresse verso Sud per il lungotevere e a mezzogiorno raggiunse il punto di raccolta nel Collegio militare a Via della Lungara.
Qui 1265 persone, chi ancora in camicia da notte, chi vestito alla meglio sotto la minaccia delle armi e delle percosse, donne, bambini, uomini e anziani, vagavano per gli stanzoni cercando di riunire famiglie, darsi conforto, disperandosi.
Dopo due giorni di rastrellati vennero deportati su carri bestiame piombati ad Auschwitz.
Soltanto 15 fecero ritorno.
I Funaro nell’abitazione di Tredici ripresero fiato.
Rodolfo Funaro salì nel suo appartamento a prendere il padre malato e con l’aiuto di Tredici, trovò una sistemazione per la moglie Virginia e il figlioletto Massimo in un istituto di Suore a Monteverde.
Rodolfo, il padre Vittorio e la madre Ester Gay, trovarono rifugio altrove.
Successivamente Vittorio Tredici collaborò col Parroco Clunal per nascondere ebrei e ricercati e partigiani nei locali della Chiesa.
Vittorio Tredici era un cattolico praticante e frequentava la Parrocchia sopratutto dopo che il fascismo lo aveva deluso e respinto per la sua opposizione alla guerra e alle leggi razziste, per questo poté partecipare ad una delle reti di aiuto agli Ebrei in fuga che vide laici e religiosi operare a Roma assieme e che salvarono così tanti Ebrei dai nazifascisti.
L’attività di Tredici e del suo parroco non era un’eccezione nella Roma occupata dai nazifascisti che vide moltissimi Romani trovare in quei mesi un coraggio ed una determinazione che forse neppure i tedeschi sospettavano, e che dimostrarono come le leggi razziali fossero respinte dalla coscienza della maggioranza della popolazione.
E’ stato stimato che oltre 4000 ebrei furono salvati dalle reti della chiesa cattolica e dai cittadini sino a quando gli Angloamericani entrarono nella Città eterna il 4 giugno del 1944 e la liberarono.
L’attività di Vittorio Tredici si estese al sostegno della Resistenza in Roma a rischio della vita e di quelle della sua famiglia.
Nel dopoguerra una sentenza di proscioglimento riconobbe che tutte le attività svolte da Vittorio Tredici durante il regime fascista erano state di natura tecnica e fu quindi assolto da ogni responsabilità nei crimini del fascismo.
Conseguentemente un provvedimento della Sezione speciale per le epurazioni del Consiglio di Stato lo reintegrò nel suo ruolo lavorativo che aveva ricoperto precedentemente.
Per le sue attività umanitarie, per aver rischiato la vita nel salvare da morte sicura famiglie di Ebrei a rischio della propria vita, Vittorio Tredici ottenne postumo il riconoscimento di Giusto fra le Nazioni che gli fu conferito il 16 giugno 1997.
L’ambasciatore israeliano in Italia consegnò ai familiari una medaglia e un attestato il 20 novembre del 1997 e il suo nome fu iscritto sul “Muro d’onore” o “Muro dei giusti” nel Giardino dei Giusti del museo Yad Vashem a Gerusalemme.
La memoria di questi Giusti, perché anche altri Sardi lo furono, non deve andare perduta e sarebbe cosa buona e utile se oltre a ricordarli, a loro venisse dedicato un Giardino/bosco dei Giusti da affidare all’Associazione Chenàbura-Sardos pro Israele che fa parte della Federazione Associazioni Italia-Israele e venissero intitolate strade, piazze e scuole delle nostre città e paesi, e per questo l’Associazione Chenàbura si è attivata per sollecitare a farlo gli amministratori pubblici.
Mario Carboni,
Presidente dell’Associazione Chenàbura, Sardos pro Israele
LUNGO I BINARI
Sui binari di una vecchia ferrovia,
Dove era spoglio e pieno di orrore
Or sono nascosti nell’erba alta ed
Un anziano passeggia avanti e indietro.
Assente e con i pensieri ancora cupi
Incontra i ricordi in cuor presenti
Dove il treno pieno d’innocenti
Spariva di volta in volta assai lontano
Lasciando dietro a sé tristi lamenti.
Sui binari arrugginiti, pieni di lacrime,
Ritorna tutti i giorni quel signore
Dove s’odono ancor grida strazianti
Cerca di soffocare il suo dolore.
Spera di riveder tornare ancora
Amici e parenti più cari di allora.
Quando fino a sera si fa buio
Neanche l’illusione di un miraggio:
Ritorna al casolare triste e stanco,
Negli occhi l’ultimo treno che è andato.
DRUENTO 12/04/05
EFISIO CARTA