Domenica di “laetare” – 10 marzo ad Oropa, alle ore 16.30, dopo la “Messa del Rettore”, benedizione e distribuzione del grano da far germinare al buio e portare in chiesa il pomeriggio di Giovedì Santo – Sacchetti di grano potranno essere ritirati in via Galiei, 11 e in via Marconi, 15, presso Arte Vita – Arte Sacra.
Nel mondo della tradizione, la domenica di “Laetare” corrispondente alla Quarta di Quaresima, è giorno che sospende il periodo penitenziale. La Chiesa indica con il cromatismo rosaceo dei paramenti del sacerdote durante la celebrazione della Santa Messa, una breve sosta nel cammino della penitenza quaresimale che prepara alla Pasqua.
Il colore rosaceo, attenuazione del viola penitenziale secondo alcuni liturgisti, viene popolarmente letto come indicazione per preparare “sos nenneres“, il grano da far germinare al buio per poi decorare i “sepolcri” del Giovedì Santo, le cappelle in cui custodire e adorare il Santissimo Sacramento.
Il grano germinato, conosciuto fino a un recente passato anche nel Biellese e in altre regioni d’Italia, verrà portato in chiesa il Giovedì Santo, alla fine del periodo quaresimale e inizio del triduo pasquale, quando verranno legate le campane e, nelle campagne, intrecciati i rami di salice.
In alcune località del Biellese risuoneranno i corni a scandire le ore delle campane mute.
Tradizioni radicate, ricche di fascino, ben note anche in Sardegna.
Il Circolo Culturale Sardo Su Nuraghe invita tutte le donne sarde, biellesi, emigrate da diverse regioni d’Italia presenti della nostra Diocesi a preparare “sos nenneres“, il grano germinato da portare nella parrocchia di appartenenza il prossimo Giovedì Santo, mettendo a disposizione presso la sede di Su Nuraghe, in via Galileo Galilei, 11 e presso Arte Vita – Arte Sacra, in via Marconi, 15, sacchetti di grano con allegato un foglietto di istruzioni e preghiere.
Il Sabato Santo, il grano riportato a casa, potrà essere piantato negli orti e nei giardini. Per chi non potesse, viene offerta la possibilità di metterlo a dimora nell’area monumentale di Nuraghe Chervu (info, 01534638).
Eulalia Galanu
Etimologie di «nènneri, erme e gosos», dono di Savatore Dedola
Sempre più ammirato per la vorticosa e benefica attività del vostro Circolo, intendo partecipare a modo mio inviando le etimologie di due termini (+ uno) da voi evocati nel programma di marzo 2013.
Vi abbraccio. Tore Dedola
NÉNNIRI, nènnari, nenneru ‘giardini d’Adone o Adonide’; precisamente si tratta di vasi di piantine esili e bianchicce (normalmente di grano od orzo), cresciute al buio per onorare la giornata cristiana dei Sepolcri. Ad Ozieri e nel Logudoro orientale è detto èrme o èrma (vedi lemma). Si espone nelle chiese il Giovedì Santo nella trepida attesa che il Cristo subisca l’imminente supplizio, prima di risorgere. Esso viene ritirato dopo i riti del Venerdì Santo, ma essendo diventato cosa sacra non viene buttato via nè distrutto ma dato a mangiare agli animali o bruciato. Su nénniri, nénnere è usato in Sardegna anche per il comparatico di S.Giovanni (24 giugno).
Com’è noto, i cosiddetti ‘Giardini d’Adone’ erano in uso anche presso i Fenici per il dio Adone che muore e risorge, ed anche presso gli Egizi per il grande dio Osiride (anch’egli soggetto ogni anno a riti di morte e resurrezione). Franco Diana, nel suo magistrale volume “Il canto del Pane” a pp. 82-83 riporta alcune notizie sul nénniri nell’antichità.
Circa l’etimologia, non dobbiamo immaginare che nénniri sia nome di pianta e neppure nome collegato al processo vegetativo. Su nénniri, oggi inteso tout court, nella sua entità globale, come “vasetto che contiene i germogli del frumento” o, viceversa, come “germogli di frumento (contenuti in un vasetto)”, viene esposto come simbolo ed atto misterico d’un dolore collettivo ma anche come atto di fede nella resurrezione del dio (in questo caso, la fede nella resurrezione di Gesù figlio di Dio). La base etimologica è l’accadico nīru ‘preghiera’ (solo in un secondo tempo può essere stato ricompreso in questo significato anche il laccetto (accadico nīru, nirru ‘stringa, cordicella intrecciata’) che teneva coesi gli “orticelli” divenuti troppo alti e pieghevoli. Né-nniri è quindi un antico raddoppiamento (una forma di plurale o di superlativo), che può indicare sia la pluralità delle piantine contenute nel vasetto sia la pluralità dei vasetti esposti (forse un tempo tutte le famiglie del villaggio portavano in chiesa il proprio vasetto, ed a turno rimanevano a pregare sino al momento della Resurrezione). Le pianticelle verdognole-bianchicce un tempo erano l’emblema del grande potere del Dio della Natura, che prepara la propria Resurrezione nel buio dell’Inferno dove è disceso dopo la morte.
ERME, èrma ad Ozieri e nel Logudoro orientale è il nome che si dà a quei vasi di piantine cresciute al buio per i sepolcri, che si espongono nelle chiese cattoliche il Giovedì Santo e che si chiamano nel Campidano e nel Nuorese nénniri o nènnari, nènneru, nénnere. Il termine ha la base etimologica nel babilonese ermu(m) (un termine indicante la terra coltivata), anche ‘vaso contenente qualcosa di particolare’. Come si può notare, già in accadico per questo termine c’era la tendenza alla metonimia, allo scambio contenitore-contenuto.
GOSOS nel Nord Sardegna sono i canti in onore della Madonna (nel Sud sono chiamati gòccius). «Il contenuto è agiografico o devozionale e la forma è affine a quella della lauda o della ballata» (Pietro Sassu, Canti ed espressioni popolari di Bosa e Planargia, 47). Ecco un esempio di gosu bosano citato dal Sassu:
Già chi ses tantu esaltada
in cussa patria divina
sias pro nois avvocada
de Regno Altos reìna
dae s’altu sòliu istelladu
su Deus onnipotente
abbassesit prontamente
pustis chi Adamu ha peccadu
e in Te s’est incarnadu
cun caridade divina
sias pro nois, etc.
Poiché sei tanto lodata
in quella patria divina
intercedi per noi
di Regnos Altos regina
dall’alto soglio stellato
Iddio onnipotente
precipitò rapidamente
dopo il peccato di Adamo
e in te si è incarnato
con carità divina,
intercedi per noi…
Si fa derivare il termine dallo spagnolo gosos con identico significato, la cui origine sarebbe dal latino gaudeo. È ovvio che il termine sardo si sia appiattito su quello spagnolo, ma il suo etimo non va trovato in gaudeo ‘godo’ sibbene in un amplissimo paniere al cui fondo c’è il semitico. Vedi osseto ijosag ‘buon uditore’, gosum ‘udire’, da accadico aḫāzu ‘udire’ e iḫzu ‘learning, education’.