Pasqua di resurrezione e riti di rinascita nella tradizione sarda

Pozzomaggiore, Pippia de Mannaghe
Pozzomaggiore, Pippia de Mannaghe.

Pippia de Maju e de Mannaghe, Maimulu e Maimone

La rinascita della nuova stagione, che trova la sua massima espressione nella celebrazione della Pasqua cristiana e nelle cerimonie che la precedono, si innesta su cultualità che hanno attraversato millenni.
Con la nuova Fede, antichi riti di rinascita sono giunti fino a noi; originariamente connessi con la ciclicità del tempo, vengono associati fino ad identificarsi con la resurrezione di Gesù, vittorioso sulla morte, al pari della primavera che, a ogni giro di stagione, rifiorisce, ritornando a nuova vita.
Nella “Sartiglia” di Oristano, su componidori, il capocorsa, riceve da su majorale, il presidente del Gremio, sa pippia de Maju, la bambina di Maggio, scettro vegetale formato da steli di pervinca intrecciati, con alle estremità due mazzi di viole mammole, col quale benedire i partecipanti, all’inizio e alla fine della corsa equestre.
Ad Aidomaggiore (Oristano), corone di pervinca, dette “su Maimoni”, sono confezionate per invocare la pioggia.
A Pozzomaggiore (Sassari), è attestata sa pippia de Mannaghe, la bambina di Mannaghe (divinità della pioggia), realizzata con steli fioriti di Lansana (Lapsana communis), portata in processione da adolescenti per le vie del paese nei periodi di siccità, invocando acqua: “Abba a sa pippia de Mannaghe”.
Ad Austis (Nuoro), sos colonganos e surtzu (dal greco “kòlos”, pecora) e l’orso, sono descritti in documenti antichi con “frunzas de lidone ant pro caratza”, con fronde di corbezzolo sul viso, risalenti, secondo certi studiosi, a riti di fertilità coi quali si voleva propiziare il dio della vegetazione, Dioniso Minoles, invocato in Sardegna, come Maimone.
Su Maimulu è anche “s’urtzu”, l’orso del Carnevale di Ulassai, in Ogliastra. Per altri, pippia de Maju o di Mannaghe, Maimone e Maimulu sarebbero associabili “ai maggi”, agli alberi di maggio o strutture simili, molto diffuse in buona parte dell’Europa folclorica, posti al centro delle feste di inizio anno o del nuovo ciclo stagionale, volti a favorire i nuovi raccolti.
Si tratta di elementi di religiosità popolare entrati a far parte dei rituali cristiani, grazie alla progressiva sussunzione effettuata dalle chiese locali. A seconda delle località, prendono differenti nomi. Di là dalla Serra, la collina morenica che unisce Biella ed Ivrea, ritroviamo le xente a Bollengo e le matarille a Maglione (Torino).

Battista Saiu

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