In questi giorni, coriandoli e neve si mescolano ai bordi delle strade cittadine, indice del passaggio di cortei mascherati, effimero segno che modifica e veste a festa il paesaggio urbano. Piccoli pezzi colorati di carta ripropongono ed esorcizzano il fenomeno meteorologico delle fioccate. Il passaggio rituale di stagione porta con sé consuetudini con origini molto lontane. Tra queste il cibo, grasso e abbondante, pubblicamente cucinato e offerto a questuanti muniti di contenitori atti ad accogliere le prelibate attese razioni.
Fave e fagioli sono i gran signori, i principali ingredienti immersi in capienti pentoloni allineati e accuditi da cuochi, custodi di antiche ricette: ognuno ha la sua, esclusiva e segreta. Ogni paiolata: gusto unico e speciale; oggetto di discussioni per gli affezionati postulanti ordinatamente in fila, pronti a ricevere l’attesa porzione.
Da alcuni decenni, il panorama alpino del gusto si è arricchito di sapori ancora più antichi, precedenti la scoperta del fagiolo americano colonizzatore – con le sue diverse varietà più redditizie e di più facile coltivazione – di mense domestiche e rituali.
Custode di antiche ricette, la Comunità sarda di Biella ripropone ogni anno varianti sempre diverse della “Gran favata” in cui il legume – originariamente impiegato dai comuni avi, sardi e continentali – continua ad essere il principe degli ingredienti.
Simaco Cabiddu
Nell’immagine: Biella, cucinieri di Su Nuraghe con pane fatto in casa e dolci di Carnevale per la Gran favata 2015.