Sabato 16 Aprile ore 21,00 – Teatro e musica al Circolo – inaugurazione “Punto Cagliari”
“Stasera parto via
e sull’uscio di casa mia
facce tristi e rassegnate”
Abdelkader Daghoumi. (Marocco).
Un ragazzo sulla spiaggia che vede per la prima volta una nave all’orizzonte; una scatola di cartone chiusa con uno spago utilizzata come valigia; il turismo odierno fatto di oggetti multifunzione e ipertecnologici come iper sembra dover forzatamente essere ogni aspetto della contemporaneità; una preghiera “Deus ti salvet Maria”. Ecco alcuni degli elementi che compongono la serata preparata in occasione dell’inaugurazione del Punto Cagliari
al Su Nuraghe. È un percorso nel quale si incontrano alcuni oggetti – simbolo del viaggiare. Il viaggiare dell’emigrante, abbagliato dal miraggio di una condizione migliore e ferito dal distacco dalla sua madre-terra, si alterna al viaggiare turistico, moderno, frivolo da “pacchetto vacanza usa e getta” fornito di ogni confort.
Parafrasando un famoso proverbio possiamo dire che è il bagaglio che fa il viaggiatore. Per bagaglio non vogliamo intendere soltanto il tipo di oggetti che vengono trasportati, ma anche le motivazioni (le necessità, le speranze, ecc.) che spingono un individuo a compiere un viaggio.
Non sono emigrante, ma lo sono molti membri della mia famiglia. Nei loro racconti traspare quella nostalgia che inevitabilmente accompagna chi ha lasciato la propria terra d’origine. Una nostalgia evidenziata dallo sguardo sognante di chi ricorda momenti lontani nel tempo, avvolti nella nebbia della memoria e riportati come racconti di fiaba o di sogno.
Storie vissute e narrate con accento dialettale che provoca, in chi lo pronuncia, il piacere di poter mostrare una sorta di sapere antico, genuino perché di “una volta”, perché tutto ciò che appartiene alla propria terra natale è “più buono”. Un piccolo tesoro fatto di inflessioni e sfumature che la lingua “imposta”, cioè l’italiano, sembra non possedere. Quella nostalgia è il prezzo amaro che l’emigrante paga per aver tentato un azzardo di libertà, un riscatto individuale per sé e per i suoi figli.
Al mio fianco il caro Massimo Zaccheddu, sempre disponibile a portare le sue canzoni, un po’ in sardo e un po’ in italiano, a chi le vuole ascoltare. Le sonorità sarde si mescolano ai ritmi della musica leggera e i suoi testi spaziano dall’impegno sociale, a quello religioso, all’amore. Il teatro, se fatto con impegno e con il cuore, è capace di far divertire e pensare, momento di svago e di meditazione … noi speriamo di riuscire in questo intento.
Mirko Cherchi
La nave
Guardala! È enorme!
Non esiste nulla di più grande sul mare!
Migliaia di tonnellate d’acciaio che stanno a galla leggere come sughero e nuotano agilmente come pesci. Dentro ci possono stare tutte le persone del paese e anche di più!
Fantastico. Vederla da lontano sembra finta, specie quando l’orizzonte è velato di foschia nelle mattinate d’inverno. Mattini come questi, in genere cupi. Si avvicina puntando dietro la collina. Forse attraccherà al porto terminando così il suo viaggio o, forse, vi sosterà per poco tempo. Di sicuro il suo bersaglio non può certo essere questa piatta spiaggia adatta solo per guardare l’orizzonte, odorare l’aria salmastra, passarsi fra le mani la sabbia talora bagnata, pesante e grigia, talora fine, calda e dorata, o per raccogliere conchiglie da portare a casa come trofei di una giocosa ricerca. I gabbiani le volano attorno affascinati e impauriti allo stesso tempo. Si avvicinano, si allontanano, la osservano, le urlano dietro, ma mai vi si appoggiano. Qualcuno dice che la seguono solo per procurarsi il cibo, ma io non lo credo. Un colosso come quello, talmente grande da non poter essere coperto con lo sguardo se non da molto lontano, come può mettere appetito?! Fa paura, crea mistero. L’idea che un uomo del peso di qualche chilo e alto meno di due metri e che magari non sa nemmeno nuotare, possa aver immaginato e disegnato una meraviglia come quella… sbigottisce, toglie il fiato.
Il pensiero che centinaia di uomini in qualche luogo lontano abbiano impiegato anni per concretizzare quel disegno con le mille azioni del lavoro… Me li immagino tutti sotto un enorme capannone come un’immensa officina. L’aria è intrisa di vapori, di odori di vernice, di metallo che fonde, che viene saldato. Il legno viene levigato e inchiodato per rivestire le pareti delle sale. Si sentono i colpi dei martelli che battono sulle incudini il ferro rovente e grandi quantità di grasso vengono spalmate sugli enormi ingranaggi che, assemblati, danno forma a complesse strutture che si muovono e che prendono vita.
Esce così questo immenso e potente miracolo d’ingegno: la nave. Portatrice di ogni merce, senza mai faticare nel sopportarne il peso, di qualunque individuo, sempre insensibile alle motivazioni che hanno spinto quell’uomo a salire a bordo.
Eccola pronta a rubare al mare la sua inviolabilità con i suoi motori, il suo timone. Ci riuscirà?
Riuscirà ad attraversare l’infinita massa d’acqua spostandosi su di essa da una parte all’altra del globo come se nulla fosse, senza considerare i venti, gli umori degli oceani, ma solo la sua rotta?
È l’uomo che ancora una volta sfida gli elementi e nello sfidarli gioca con se stesso, con i suoi limiti. Vuole andare ovunque, portare qualunque cosa in ogni dove, alla ricerca infinita di un posto sempre nuovo, miraggio del mondo migliore, come se sapesse dell’esistenza di un luogo dove risiede la felicità assoluta, il grande perché dell’esistenza del creato, ma non ne conoscesse la posizione esatta, inutile ricerca dell’irraggiungibile miraggio.
Per far questo è in grado di creare mezzi di trasporto sempre più potenti e complessi.
Strumenti esteriori al proprio corpo che lo spostano fisicamente, ma non lo aiutano a compiere quel viaggio interiore necessario a capire che non c’è bisogno di spostamento fisico alcuno per stare in pace con se stessi.
Qualunque sia l’intenzione che abbia portato l’uomo a creare questa balena d’acciaio che ora copre l’orizzonte, non ha importanza. La osservo mentre si allontana e prosegue il viaggio verso chissà quali mete e con quali scopi. La osservo mentre torna ad essere sagoma velata di foschia come spesso accade nei grigi mattini d’inverno.
Mirko Cherchi