Radici e semantica delle parole sarde, rivisitate mediante i dizionari delle lingue mediterranee (lingue semitiche, lingue classiche). Laboratorio linguistico, di storia e di cultura sarda a Biella
RAGHI sass.; log. bragas, ragas pl. ‘gonnellino di orbace nero’, appartenente al costume maschile dell’intera Sardegna. Da tutti gli studiosi è chiamato gonnellino. Wagner propone l’origine dall’it. braca, braga, che è dal lat. brăca, di origine gallica secondo Diodoro siculo ed Esichio, designante i ‘pantaloni’, un indumento che fu delle popolazioni celtiche ma ignoto ai Romani, i quali lo adottarono soltanto sul finire dell’Impero. Nessuno ha notato la contraddizione tutta sarda di chiamare gonnellino quelli che, stante l’etimologia corrente, dovrebbero essere pantaloni. In realtà le ragas note non sono né gonnellino né pantaloni poiché, pur avendo sagoma di gonnellino, hanno le falde saldate da una vistosa traversa inguinale.
Occorrerebbe uno studio accurato per capire la metamorfosi che dall’antico gonnellino (verificabile nei bronzetti nuragici) ha portato all’attuale gonnellino con traversa inguinale. A mio parere, la foggia attuale è spia di due successivi episodi di “moralizzazione” – voluti evidentemente dal clero bizantino – che modificarono l’antica foggia. In tal guisa, la traversa inguinale delle ragas fu il primo approdo sessuofobico, seguito poi dalle brache vere e proprie, ossia da bianchi mutandoni di lino, lunghi oltre il ginocchio, che vennero indossati sotto le ragas al fine d’inibire definitivamente la visibilità, sia pure parziale o accidentale, delle parti intime.
Va da sé che il termine ragas sortì quando maturò, tramite i Padri della Chiesa, un nuovo modo di concepire la vergogna; nacque dunque, almeno in Sardegna, durante l’epoca bizantina, come dire in epoca giudicale (quando ancora la Sardegna perpetuava l’uso della lingua accadica). Non a caso il termine è basato sull’akk. raqû(m) ‘nascondere, coprire’. A sua volta il termine lat. brăca, di origine gallica, a suo tempo (ossia in epoca preromana) aveva già subito l’influsso del termine accadico, che a quanto pare aveva contagiato tutte le coste del Mediterraneo, comprese quelle galliche
Il discorso sulle ragas (e sui mutandoni indossati al disotto) non va separato dalla consapevolezza che in Italia e in Europa le mutande, come oggi le intendiamo, pur avendo origini arcaiche (infatti con la stessa foggia di oggi appaiono già agli albori dell’Antico Egitto e poi nell’antica Roma), non venivano indossate dalle donne quando esse portavano i vestiti lunghi, ma soltanto quando si presentavano in pubblico seminude (danzatrici, musiciste). Ciò per ovvie ragioni. Infatti le mutande sotto il vestiario coprente erano considerate una civetteria, anzi un modo disonesto per attirare il maschio. In Sardegna l’uso muliebre di non indossare le mutande durò sino a mezzo secolo fa, almeno tra le donne paesane e quelle appena inurbate. Mentre per gli uomini bastò, a quanto si vede, l’uso della doppia copertura che saldò il modello celtico (e quello degli uomini delle steppe) a quello mediterraneo del gonnellino vero e proprio.
Salvatore Dedola,
glottologo-semitista
Nell’immagine: l’incipit “R”, in Giampaolo Mele (a cura di), Die ac Nocte. I Codici Liturgici di Oristano dal Giudicato di Arborea all’età spagnola (secoli XI-XVII), Cagliari: AMD Edizioni, 2009