Omaggio dei Sardi dell’Altrove alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj fòra ’d Finagi”.
Il mese di giugno, che porta il solstizio d’estate, le lunghe giornate inondate di luce, è tempo di mietere il grano. Molte sono le poesie in piemontese dedicate a questa stagione: numerosissime quelle di Nino Costa e rigurgitanti di aromi campestri, di ricordi d’infanzia e di solarità quelle di Luigi Olivero. Come spesso avviene, le lingue regionali posseggono parole che richiedono un’intera perifrasi per essere tradotte in italiano (o in una delle grandi lingue europee). La parola più interessante per il mese di giugno è un aggettivo, “grananta” (con due varianti dallo stesso significato: “granera” e “granòira”). Es.: aria grananta / aria granera / aria granòira: l’aria che possiede quelle qualità (secca, calda e leggermente ventilata) che i vecchi agricoltori sapevano essere l’ideale per far maturare il grano, portandolo a quell’ultima, incantevole sfumatura aurea che ne rivelava la maturità ideale per la mietitura.
Un altro aggettivo (che può essere utilizzato anche come aggettivo sostantivato), spesso riferito al grano, è “basan”, così come lo troviamo nel seguente proverbio: a cheuje ’l gran basan it pòrti a ca paja e gran = a cogliere il grano non completamente maturo porti a casa paglia e grano. Il grano mietuto viene raccolto a covoni. I covoni di grano, di segale, di orzo in piemontese si possono chiamare con due nomi (a seconda delle aree di locuzione): “capala” o “gerba”. Le espressioni fé ’d capale, fé ’d gerbe vuole dire ammucchiare covoni [di grano, segale, orzo].
Sergi Girardin (Sergio Maria Gilardino)
Nell’immagine: capolettera “G”, in Missale Magnum Festivum Domini Georgii Challandi (sec. XV), Priuli e Verlucca 1993, copia facsimile posseduta a Biella dal Comm. Mario Coda