Consegnate a Biella pietra di memoria di Palazzo Canavese e di Piverone

descrizioneNonostante la torrida estate, continuano ad arrivare a Biella pietre da inserire nell’area monumentale di “Nuraghe Chervu”, progetto di memoria condivisa, proposto dal Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe”, sostenuto dalla Prefettura e dal Comune di Biella.
Ultimo arrivo in ordine di tempo, la pietra proveniente dal Comune di Palazzo Canavese, consegnata direttamente a mano dal sindaco Silvano Signora, che ha portato con sé anche quella del vicino Comune di Piverone.

Ad accogliere il gradito ospite, il primo cittadino di Biella, Claudio Corradino. Durante la breve cerimonia con scambio di doni, il presidente di “Su Nuraghe”, Battista Saiu, ha illustrato il progetto di memoria, rispondendo anche ad alcune curiosità custodite nella bella sala consiliare di Palazzo Oropa in cui troneggia la mazza civica della Città.

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Due docufilm al Museo delle Migrazioni di Pettinengo: storie di vita e di integrazione

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Domenica 21 agosto 2022, alle ore 18:00, a Pettinengo, nuovo appuntamento gratuito al Museo delle Migrazioni, Cammini e Storie di Popoli, aderente alla Rete Museale Biellese. Nella chiesa di San Grato d’Aosta e Sant’Eusebio da Cagliari, verranno proiettati due docufilm, presente il regista Karim Galici, proveniente direttamente da Cagliari.

Nell’ambito di Estate a Pettinengo 2022 – Fratelli tutti – Biellesi con la valigia”, verranno proiettati due docufilm. Il primo racconta di quattro donne provenienti Dall’Est con amore (4 storie di vita e di integrazione di donne che hanno scelto la Sardegna per viverci); il secondo, la storia di un padre ortodosso in Sardegna. Da sempre, quello delle migrazioni è un universo complesso che, nell’attualità della guerra che attraversa il Vecchio Continente, mette alla ribalta le storie di quattro donne di generazioni e di nazionalità diverse con universali somiglianze. Quattro donne che arrivano dall’Est e che hanno scelto la Sardegna come luogo dove vivere, crescere, lavorare e amare.
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Poesia sarda di Nicola Loi: da Biella attraversando l’oceano

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Da sempre, la poesia cerca di dare voce ai sentimenti nella loro nuda umanità, nel bene e nel male; nella gioia e nel dolore: celebra l’amore, biasima l’odio e “sa disamistade”, censura l’inimicizia: Zente ch’est pronta a bender’ su frade / Gente che è pronta a vendere il fratello”; condanna il Caino che è in noi.

Dai versi “Populo isciau / Popolo schiavo”, di Nicola Loi di Ortueri, tracima tristezza e disappunto, misti al senso di impotenza che il Poeta cerca di far superare prendendo a prestito immagini tratte dalla quotidianità del villaggio. Qui il potere dei “banduleris de su parlamentu, / Le banderuole del parlamento” viene raffigurato nella plasticità di “piscamos in trona / vescovi sul pulpito”.Dae annos est matessi su missale / Da anni è lo stesso il messale”, afferma lo sconsolato ma non arreso Poeta. Costoro, dall’alto dei loro scranni, fanno sa vida ‘e su mannale / la vita del maiale da ingrasso”.

Poesia sociale, dura, che si chiude con l’invito alla riflessione, perché, “de totu custu chircadi sa culpa, / Lis as abbertu sa janna ‘e beranu”, vale a dire: “di tutto questo cerca la causa, / Hai aperto loro la porta della primavera”.

I versi, nella traduzione di Grazia Saiu, verranno inseriti nell’antologia di testi per il Laboratorio linguistico “Eja emmo sì, là dove il sì suona, s’eja, s’emmo cantant”.

Fatti del tempo presente narrati in “Limba” per gli incontri transoceanici, che mettono in collegamento mensile il Circolo Culturale Sardo “Su Nuraghe” di Biella e il Circulo Sardo “Antonio Segni” di La Plata (Argentina).

Battista Saiu

Nell’immagine: Tertenia (Nuoro), Nuraghe “Aleri” Sardegna, museo a cielo aperto, i nuraghi candidati a diventare patrimonio UNESCO (foto di Fabrizio BiBi Pinna).


Populu isciau

Betadu nd’ant a terra sa barraca,

Ma prontos sunt sos propios mamutzones.

Biadu chie los tenet a faca,

In pedde anzena faghent sos leones.

 

In mesu a custa mala carestia,

A buca ‘e porcu faghent sas promissas.

Ma sunt in chirca de cadrea ebbia,

E dogni die cantant chentu missas.

 

Dae annos est matessi su missale,

Betzas cantones feas iscadidas.

E faghinde sa vida ‘e su mannale,

Ca sas proendas no las ant finidas.

 

Semper pienu ant su magasinu,

Cun sas provistas de donzi manera.

E no lis mancat peta, pane e binu,

A nois restat solu una chimera.

 

Chie los iscultat cun sa buca abberta,

Ca no lis bastat totu cuddu iscaddu.

Sighi[n]t a bider’ sa ‘idda deserta,

E issos torra ruent dae caddu.

 

Unu populu sena rebbellia,

Cundennadu a viver’ in cadena.

Sighit a lingher’ de dogni zenìa,

Bastat chi jutat sa ‘entre piena.

 

Zente ch’est pronta a bender’ su frade,

Vivinde che sos canes suta mesa.

Cando podet gosare libertade?

Si naschida est istraca, gia arresa.

 

Sos banduleris de su parlamentu,

Chi parent totu piscamos in trona.

Sunt bentulende cun su nostru bentu,

Issos connoschent solu annada bona.

 

E tue pedis su diritu tou,

Si ti lu dant est unu piaghere.

Pero no bessit da su sacu sou,

Ammenta, tue che l’as postu mere.

 

Pero vivende ses in s’arrennegu,

Ma cussu male ti l’as fatu a solu.

Dende su votu ti ses fatu tzegu,

Fatu as bolare sos corvos in bolu.

 

Chi ti consumat sos ossos e pulpa,

E tue vile li basas sa manu.

De totu custu chircadi sa culpa,

Lis as abbertu sa janna ‘e beranu.

 

Nigolau Loi, su 14 de austu 2022

 

Popolo schiavo

Buttato hanno a terra la baracca,

Ma pronti sono i loro “mamutzones”.

Fortunato chi li ha vicini,

Con pelle d’altri fanno i leoni.

 

In mezzo a questa brutta carestia,

Con bocca di maiale fanno promesse.

Ma sono in cerca solo di poltrona,

E ogni giorno cantano cento messe.

 

Da anni è lo stesso il messale,

Vecchie canzoni brutte scadute.

E facendo la vita del maiale da ingrasso,

Perché le provende non le hanno finite.

 

Sempre piena hanno la dispensa,

Con le provviste di ogni tipo.

E non manca loro carne, pane e vino,

A noi resta solo una chimera.

 

Chi li ascolta con la bocca aperta,

Perché non basta loro tutta quella scottatura.

Continua a vedere il paese deserto,

E loro di nuovo cadono da cavallo.

 

Un popolo senza ribellione,

Condannato a vivere in catene.

Continua a leccare chiunque,

Basta che abbia la pancia piena.

 

Gente che è pronta a vendere il fratello,

Vivendo come i cani sotto il tavolo.

Quando può godere libertà?

Se è nata stanca, già arresa.

 

Le banderuole del parlamento,

che paiono tutti vescovi sul pulpito.

Stanno aerando con il nostro vento,

Loro conoscono solo annata buona.

 

E tu mendichi il diritto tuo,

Se te lo concedono è una cortesia.

Però nulla esce dalla loro tasca,

Ricorda, tu che l’hai nominato padrone.

 

Però vivendo stai nell’arrovello,

E questo male te lo sei fatto da solo.

Dando il voto ti sei reso cieco,

Hai fatto alzare i corvi in volo.

 

Chi ti mangia ossa e polpa,

E tu vile baci loro la mano.

Di tutto questo cerca la causa,

Hai aperto loro la porta della primavera.

 

Nicola Loi, 14 agosto 2022

Agosto 2022, una parola sarda al mese: “L” come “Laborare”

descrizioneLABORARE sd. centr., laorare, laurare log. ‘mettere a coltura la terra, arandola, seminandola e predisponendola al raccolto’. Questo significato è identico pure negli Stat. Sass. I, 42; nelle CV XVIII 2, nel CSP 186, nel CSMB 165, 176. Quindi è fuor di luogo l’interpretazione del Wagner, che traduce ‘lavorare la terra, arare’, derivandola poi dal lat. laborāre ‘affaticarsi; essere ammalato’, ed ovviamente non tenendo conto che quel verbo latino ha base nell’akk. la’ābu ‘to harass, afflict, tormentare, affliggere’ (OCE II 444).

Per interpretare bene queste voci ci attestiamo sul prototipo laòre, (da cui hanno origine gli aggettivali laórgiu, laorzu) ‘tutte le attività per la messa a coltura e per il raccolto di cereali, viti, ortaggi’.

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