Omaggio dei Sardi dell’Altrove che vivono a Biella alla terra di accoglienza, “omagià daj Sardagneuj ad Biela fòra ’d Finagi”.
Il bravissimo prosatore Michel dij Bonavé [Michele Bonavero], originario della Val Susa, editore della pluridecennale rivista Piemontèis ancheuj, fondata dal suo maestro Camillo Brero, e curatore del dizionario piemontese-italiano-piemontese, possiede ed usa, nelle sue magistrali prose, una gamma lessicale impressionante, che include i nomi di tutte le piante, le erbe, i volatili, i fenomeni atmosferici, i lavori, i mestieri della sua vallata. Qui, in questo brano, ci fornisce un termine tecnico, gnomone [dal lat. gnomon –ŏnis, gr. γνώμων -ονος, dal tema di γιγνώσκω «conoscere»], che traduce il traduce il termine piemontese pichèt, l’infisso metallico di una meridiana che con la sua ombra segna l’ora del giorno. Qui la metafora delle àmole ch’as baso sla boca (le ampolle che si baciano sulla bocca) gli impedisce di fornirci, in questa stessa frase, l’altra parola che però pure reperiamo nelle sue prose, e cioè spovrin [clessidra], l’altro orologio dei tempi passati, quello della finissima sabbia che dall’ampolla superiore rovesciata defluiva lentamente in quella inferiore, scandendo il passare delle ore, diurne e notturne.Continua a leggere →



RAMMU sass. ‘rame’. Cfr. rámene, arrámene log.; arrámini camp. m. ‘rame, minerale malleabile indicato col simbolo chimico Cu‘. Cfr. gen. rammo ‘rame’. Base etimologica della voce italica è il sum. ramu, con base in ra ‘solare, luminoso’ + mu ‘incantation, incantesimo’ = ‘incantesimo splendente’, o ‘splendore incantevole’ (causa lo splendore sensuale della materia). Non è un caso che sia legato alla parola akk. râmum ‘amore, love’. Nemmeno è un caso che il rame nel Medioevo dagli alchimisti fosse denominato Venere ed anche meretrix metallorum: a ciò concorsero il suo splendore, la malleabilità, la sua capacità di legarsi con tanti altri metalli. Quindi non è affatto un caso che gli antichi Romani chiamassero il rame āes, āeris, parola basata sul sum. a’aš ‘desiderio, brama, cupidigia, struggimento, libidine’. Si notino questi due radicali latini, il nominativo (āes) e l’altro (āeris) appartenente al genitivo, dativo ecc. Infatti, mentre il nominativo ha base nel sum. a’aš, le altre forme della declinazione hanno base nell’akk. eriu(m), werium, (w)erû(m) ‘rame’ < sum. erida ‘rame’.