Bandito italiano, giudice sardo

Identità tra pregiudizio ed accoglienza dell’altro – lo stereotipo del banditismo sardo ha radici lontane – per la cultura dei pastori sardi, la giustizia era un valore più importante del pane quotidiano

Tribuna Illustrata della Domenica
Roma, 20 novembre 1898, copertina di Tribuna Illustrata della Domenica

Nei giorni scorsi i mass-media nazionali hanno annunciato nelle pagine di cronaca nera l’attribuzione di un efferata condotta criminale ad un noto individuo, dalla non certo limpida fedina penale, in quel di Olbia; in quasi ironica contemporaneità, nella sezione spettacoli e cultura, è stata data notizia della morte di un celebre giudice dalla carriera pubblica e televisiva sfolgoranti. Ovvie ed eque la stigma e la condanna per chi si rende autore di gravi reati; legittimi ed opportuni gli onori tributati e l’indicazione ad esempio di coloro che, nel corso della loro vita, hanno condotto un encomiabile esistenza al servizio della collettività, specie in un’epoca di crisi sociale e culturale come l’attuale. In queste notizie, tuttavia, si è assistito anche alla propugnazione di alcuni aspetti peculiari: nel primo caso, infatti, si è dato rilievo ad un epiteto identificativo, il bandito sardo; nel secondo caso, invece, l’esemplarità del soggetto non ha dato luogo all’evidenziazione dell’origine isolana, sebbene il noto magistrato fosse originario di Ghilarza (OR), centro abitato posto al centro della Sardegna. Tali elementi identitari citati, proprio in quanto trasmessi al grande pubblico, forniscono l’opportunità per alcune riflessioni.Continua a leggere →

Unità di sapori, sapori dell’Unità

Sabato 17 e domenica 18 aprile si terrà a Pray Biellese l’Ottava edizione di “Sapori di Primavera” – gemellaggio del gusto tra Piemonte e Sardegna – degustazione di prodotti tipici – mostra di curiosi attrezzi per la cucina: “Le forme del rame” – presentazione del libro: “In cucina con la birra Menabrea”

produzione artigianale di mestoli biellesi
Produzione artigianale di mestoli biellesi

Gli ingredienti della memoria. In più circostanze è stato ricordato come il comportamento alimentare, più di ogni altro aspetto culturale, sia un rivelatore d’identità umane e di civiltà1. L’uomo, infatti, modificando e lavorando il cibo prima di consumarlo, si distingue da ogni altro essere vivente assumendo il ruolo di “inventore”, come nel caso indicativo del pane, ove il grano è convertito in alimento attraverso un processo di trasformazione per mezzo del fuoco e, quindi, della cottura, sorta di alchimia nella quale quanto è crudo e distinto si evolve in una pietanza composita ma unitaria2. Nelle attività gastronomiche ruolo fondamentale è ricoperto dalla persona del cuoco, soggetto nel quale si presentano decisivi per l’esito dei risultati le origini, il bagaglio culturale di conoscenze tecniche, oltre che le doti personali, tutti elementi utili a rendere unici ed irripetibili i “piatti”. Tutto ciò evidenzia come il “mangiare” abbia a che fare con la memoria, ossia con un mondo di esperienze umane che è ancora presente, grazie anche alla trasmissione orale, ove cibo e pietanze, nonché le sfere sensoriali del gusto e dei profumi, sono la risultante di processi storici, anche lunghi nel tempo, ed essi stessi fattore di conservazione culturale3. A tale riguardo rivelatrice di aspetti non del tutto scontati si mostra essere una breve analisi filologica ed etimologica circa le parole italiane “sapore” e “sapienza“, entrambe di origine latina e con una comune radice nel verbo săpĭo-is, săpĭi, săpĕre, il cui significato può consistere, alternativamente, nell’aver sapore o nel sapere-conoscere, a sibillina conferma della celeberrima massima del filosofo Ludwig Feuerbach, il quale affermava che «siamo quello che mangiamo»4.
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  1. Cfr., A.R.Zara, L’Odissea in cucina, Il leone verde, Torino, 2006, p. 9. Nonché in F.Soletti – a cura di, Il grande mosaico della cucina italiana, Touring Club Italia, Assago, 2009: I.Diamanti, L’uomo che mangia, p. 29; P.Teverini, Interpretare la tradizione, pp. 58-71. []
  2. Cfr., R.A.Alves, La cucina come parabola, Qiqajon – Comunità di Bose, Magnano, 1996, pp. 8-10; C.Augias, Dal pane alle polpette, così l’uomo inventò i cibi, in Il Venerdì di Repubblica, n. 1147, 12 marzo 2010, p. 129; B.Saiu, Non di solo pane, in Aa.Vv., Parla come mangi. Il cibo dell’altro, Centro Territoriale Permanente per l’Educazione degli Adulti, Biella, 2006, pp. 8-10. []
  3. Cfr., C.Berardo, Alla tavola di Giovanni Arpino, Il leone verde, Torino, 2007, p. 8; M.Montanari, Italia, un mosaico di culture e cucine, in F.Soletti, op.cit., pp. 10-23; P.Teverini, op.cit., pp. 58-59. []
  4. Cfr., R.A.Alves, cit., pp. 4-15; B.Saiu, cit., pp. 8-10. []

Sapori di Sardegna, tesori capaci di garantire continuità

pardulas
Preparazione del ripieno delle pardulas

L’arte culinaria sarda, parafrasando alcune celebri riflessioni consultabili nell’opera Mare e Sardegna di D.H.Lawrence, è una vera e propria culla di tesori del sapore dai caratteri autarchici, al contempo ricca, fantasiosa e povera, unica ed universale, ai confini della moderna nouvelle cuisine, capace di coniugare, ovunque sull’Isola, la trasformazione dei doni della varietà della natura geografica e delle stagioni insieme all’eredità di una storia plurimillenaria caratterizzata dall’isolamento1. Sulle tavole sarde si distinguono due macro-categorie di specialità: la cucina “di mare” e la tavola “di terra”.
La prima, mondo culinario di più recente attenzione e rielaborazione, focalizza la sua produzione lungo la costa, nelle città portuali, luoghi ove sono rintracciabili i piatti legati soprattutto ai frutti della purezza e della limpidezza delle acque marine o salmastre ove trovano asilo svariate attività ittiche, come la raccolta e la coltura di crostacei, molluschi e di talune specie della flora acquatica, nonché l’allevamento di varie tipologie di pesce. Tali tesori sono capaci di garantire la continuità anche di risalenti tradizioni di radice fenicia, greca2 e spagnola, come nel caso di ricche conserve, quali la bottarga di muggine e sa merca, fatta con muggine bollito e sa ziba, locale erba palustre3. Al contempo sono riconoscibili pietanze sorte nei contesti di enclavi culturali gastronomiche quali, nell’ambito tabarchino il cascà, sorta di cuscus delle isole di San Pietro e Sant’Antioco, e nelle aree catalane la cassola, zuppa di mare di matrice spagnola, per non parlare dei contesti di origine liguro-genovesi, con la burrida, antipasto di gattuccio e razza. Tuttavia piatti come sa fregula cun cocciula si delineano essere la sintesi e la linea di raccordo tra la costa e l’entroterra, in quanto unione di sapori della terra ed, attraverso le arselle, del mare4.
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  1. Cfr., Aa.Vv., Italia- Vol. 12. Sardegna, Mondadori – DeAgostini, Novara, 2009, p. 176; N.De Giovanni, A tavola con Grazia. Cibo e cucina nell’opera di Grazia Deledda, p. 15; D.Guaiti, La grande cucina regionale italiana. La Sardegna, Gribaudo, Milano, 2010, pp. 7-8; M.R.Linardi, Viaggio in Sardegna, in Aa.Vv., La Cucina Regionale Italiana. Vol. IX: Sardegna, Mondadori-Electa, Milano, 2008, p. 13; A.Vargiu, Postfazione, in N.De Giovanni, op.cit., p. 128. []
  2. Cfr., M.Juaneda Magdalena, La cucina ellenica: pochi eccessi e molto gusto, in Storica National Geographic, n. 11, 2010, p. 102. []
  3. Cfr., Aa.Vv., op. cit., p. 182; D.Guaiti, op.cit., pp. 14-16. []
  4. Cfr., D.Guaiti, op.cit., pp. 14-16. []

Gusti del Piemonte, eredità da tramandare e trasmettere

coroncina di pasta alimentare
Coroncina di pasta alimentare

Sin dal Settecento la cucina piemontese è oggetto di studio. Nel secolo dei Lumi essa si presentava fortemente influenzata nelle pietanze e nelle modalità di portata dalla cultura gastronomica d’Oltralpe, come nel caso del servizio alla francese, caratterizzato dal fatto di porre sin dall’inizio del pasto tutte le portate a tavola, circostanza che attualmente di rado trova riscontro nel territorio subalpino1. Quella che era la cucina sabauda cominciò ad italianizzarsi a partire dall’Ottocento, a seguito del verificarsi di differenti fattori e fenomeni di natura sociale e storica. Un primo apporto fu senz’altro fornito dall’affermazione della classe borghese e dall’uscita dei cuochi di professione dalle corti reali e nobiliari; al contempo, però, si diffuse l’industria e determinante fu sicuramente il contributo sociale apportato dal passaggio delle donne dal mondo delle case ai luoghi esterni di lavoro, ed in particolare alle fabbriche, fenomeno per lo più focalizzato nelle città2. Con l’Unità d’Italia ed il flusso di immigranti dal meridione del Paese nei decenni a seguire, specie, nel corso del Novecento, l’influenza gastronomica francese declinò definitivamente come verificabile dal progressivo minor spazio concesso ai grassi in favore dell’olio, non più proveniente dalla sola Liguria, e rispetto alle salse, sempre più desuete ed emarginate rispetto al passato sulle tavole piemontesi3.Continua a leggere →

  1. Cfr., S.Lanfranchini, 1861 – 2011: appunti per una storia gastronomica piemontese, in Torino Magazine, Anno 22, n. 92, Primavera 2010, p. 155. []
  2. Cfr. per il Biellese: G.Perona, Per una storia delle donne biellesi, in P.Corti e C.Ottaviano – a cura di, Fumne. Storia di donne, storie di Biella, Cliomedia, Torino, 1999, pp. 75-81. []
  3. Cfr., S.Lanfranchini, op.cit., p. 155; M.Montanari, Italia, un mosaico di culture e cucine, pp. 21-23. []

Fare, vivere, compiere il bene, 44 garofani rossi per Enrico

Lunedì 12 aprile si sono svolti a Biella i funerali di Enrico Maolu – la salma è stata portata al Tempio crematorio di Aosta – la Famiglia ha deposto un mazzo di 44 garofani rossi a Nuraghe Chervu in ricordo di chi è morto lontano dalla terra di origine

Biella, Nuraghe Chervu
Biella, Nuraghe Chervu

Nel Libro di Qohelet (IX, 10) si afferma che Tutto ciò che trovi da fare, fallo finché puoi farlo, perché dopo la vita non ci sarà né attività, né ragione, né scienza, né sapienza.
Uno dei pilastri fondamentali della filosofia buddista è la “compassione”, “il patire con”, per il quale non vi può essere “compassione senza saggezza”, né “saggezza priva di compassione”.
Indicazioni morali simili si riscontrano nel Nuovo Testamento, alla Lettera di Giacomo (II, 15-16 e 24-25): Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano e uno di voi dice loro: “Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi”, ma non date loro il necessario per il corpo, che giova? […] Vedete che l’uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede. Così anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via? A specificazione dell’affermazione presente nel Vangelo di Matteo (VII,21), per il quale: Non è dicendo “Signore, Signore” che entrerete nel Regno dei Cieli.
Ognuno può iniziare un lento risveglio nella vita e della vita. Il vero potere è fare il bene, vivere per il bene, compiere il bene. È importante almeno cominciare a farlo perché come ricordò Francesco d’Assisi in prossimità della morte, fino ad oggi poco abbiamo fatto. Don Oreste Benzi tempo fa affermò: «Non avere paura del male che c’è nel mondo. Abbi paura del bene che manca: chi potrà impedirti di fare del bene?»1.Continua a leggere →

  1. padre E.Fortunato, Tu puoi ancora aiutare tanta gente, in San Francesco patrono d’Italia, n. 3, 2010, p. 7 []