Il 24 maggio 1915 segna lo spartiacque nella storia d’Italia

Su Biella e il Biellese calò la nebbia dell’assenza: assenza della verità e la drammatica realtà della Città mutilata, 523 Caduti, l’11,92% dei mobilitati
Un grazie sentito alla meritoria iniziativa di “Su Nuraghe”, che ci permette di aprire una pagina nuova sulla storia di Biella

Il “24 maggio 1915” segna davvero una data spartiacque nella storia d’Italia. L’Italia entra nella guerra più sanguinosa della sua storia. Obbiettivo: concludere il risorgimento con l’unità geografica della nazione. Il “vento di maggio” travolge l’alleanza con Austria e Germania, e porta il Paese alla “triplice intesa”: Italia, Francia , Inghilterra. Il 21 maggio sono interrotti i rapporti ferroviari, telegrafici, telefonici, postali, con l’Austria-Ungheria. Il 22 maggio Vittorio Emanuele III indice la mobilitazione generale. Il 24 maggio scoppia la guerra all’Austria. Le classi dal 1882 al 1898 sono avviate ai fronti di guerra quelle dal 1876 al 1881 comandate alla milizia territoriale delle retrovie: forniture, presidi militari. Le ferrovie passano all’autorità militare. Disposizioni speciali vengono diramate a ogni branca dello Stato e delle pubbliche amministrazioni. Provvedimenti speciali sono adottati per il funzionamento dei consigli comunali e provinciali, la cui maggioranza sia stata precettata alle armi.
Gli studenti delle scuole medie si vedono bonificare la maturità senza esami per chi espone la media del sei; speciali facilitazioni sono concesse agli studenti delle superiori e dell’università. I conferimenti di laurea per gli avviati al fronte godono di una corsia preferenziale.
Il 24 maggio 1915 i fanti corrono all’assalto sotto il fuoco dei cannoni, proprio come ci rammemora ogni IV novembre l’inno del Piave. Biella, il capoluogo del circondario di quest’angolo d’Italia portò anch’essa il suo contributo alla guerra. La quasi totalità della gioventù “porse il collo al giogo del dovere”, con l’eccezione di qualche decina di irriducibili passati alla pericolosissima clandestinità. Un centinaio d’altri giovani sfidò il destino sul fronte opposto quello dei volontari, la più parte “arditi”, gli uomini del “pugnale fra i denti”, dell’assalto del corpo a corpo. Altri volontari si distinsero tra i “nazionalisti”, tesi al compimento dell’unità nazionale con l’annessione dell’Alto Adige e dell’Istria (Trento e Trieste capoluoghi), e “interventisti democratici” volti a combattere nel nome della libertà e dell’eguaglianza dei popoli gli antidemocratici e oppressivi Imperi Centrali: Austria, Germania, Russia, Impero Islamico-Ottomano.
Oltre cinquemila giovani partirono da Biella al primo bando. Tra essi 22 preti (10 cappellani militari, 6 addetti ai servizi di sanità, i restanti come sottufficiali e truppa), e 10 chierici che avevano già fatto il servizio militare obbligatorio.
Le maestranze delle fabbriche si videro decimate, soprattutto dell’aristocrazia operaia: i tecnici, i tessitori, gli specializzati in genere. Un buon numero di esoneri provvisori si avrà tra poco, tra luglio e agosto 1915, per le maestranze delle aziende fornitrici del Regio Esercito.
Su Biella e il Biellese calò la nebbia dell’assenza.
In agosto-settembre il cattolico “Il Biellese” e il socialista “Corriere Biellese” – l’uno oscillante tra patriottismo e neutralismo, l’altro decisamente contro la guerra – cominciarono a pubblicare le prime notizie dal fronte: morti, feriti, dispersi. Nei tre anni e mezzo che seguiranno, le prime pagine saranno fitte delle ferali notizie, spesso con le fotografie dei caduti. Spesso sulle pagine informative comparivano le “lettere dal fronte”, testimonianze impietose di quella che papa Benedetto XV aveva definito “inutile strage”. A volte quelle lettere – le più critiche pubblicate da “Il Biellese” sulla prima colonna di prima pagina – furono sbiancate con la dicitura “censurato”. Per il governo la gente doveva solo apprendere le “pagine gloriose”, gli atti eroici, i meriti di guerra. Anche nei Consigli Comunali si andava piano nel dibattere. La parola d’ordine pareva essere: “Taci, il nemico ti ascolta!”. Ovvio che in tempo di guerra prevalesse la “ragion di stato”.
L’assenza della verità, dunque.
Ecco l’altra assenza.

Ma, dopo l’euforia della vittoria, dopo il fatidico “IV Novembre 1918”, ecco l’assenza, terribile e definitiva. I comuni di Biella, Chiavazza, Cossila (l’attuale Città di Biella) censirono 523 caduti. Tanti ne ha contati “Su Nuraghe” nel censimento delle lapidi dei nove rioni storici: Biella, Chiavazza, Cossila S. Grato, Pavignano, Piazzo, Cossila S. Giovanni, Favaro, Vernato, Vandorno.
Non sappiamo quanti biellesi della Città siano andati con le diverse chiamate sotto le armi. Ci limitiamo a ricorrere alle medie nazionali, da cui si ricava la percentuale dei mobilitati sulla popolazione italiana di allora (34 milioni e 671 mila residenti): il 15,10%. Su tale parametro, ricaviamo che sui 29 mila 826 abitanti del complesso di Biella del 1915, sarebbero dovuti risultare mobilitati 4.503 uomini.
E, di nuovo tornando allo stesso calcolo, si dovrebbe ricavare che i 523 caduti rappresentarono l’11,61% dei mobilitati: molti di più della media nazionale rispetto all’incidenza nazionale dell’8,92% di caduti sul totale dei mobilitati.
E questa fu l’assenza definitiva.
Il conto delle lacrime di oltre 500 famiglie nucleari (soli genitori e figli) e di tante e tante famiglie estese.
La drammatica realtà della Città mutilata.

Marco Neiretti

La lingua della Brigata Sassari: “Si ses Italianu, faedda in sardu” (se sei Italiano, parla in sardo)

L’Italia ha contratto verso la Sardegna un grande debito di riconoscenza e questo debito pagherà” (Vittorio E. Orlando, Presidente Consiglio dei Ministri – 1918)

La Prima Guerra Mondiale costò alla Sardegna lutti e desolazione di maggior portata rispetto alle altre regioni italiane.
Stemma attuale della SassariIn un periodo in cui la Sardegna contava poco più di 800.000 abitanti, circa 100.000 uomini (quasi tutta la popolazione maschile adulta), partirono per la guerra. 13.602 di essi non rividero più il cielo dell’Isola. Caddero 138 Sardi ogni mille chiamati alle armi, una cifra di gran lunga superiore al 104%° della media nazionale.
La maggior parte di essi combatté nella Brigata “Sassari”, Unità che – caso unico nell’Esercito Italiano – il Comando Supremo volle costituita da soldati provenienti dalla stessa Regione: la Sardegna.
Occorreva risalire alle guerre medioevali contro l’Aragona, per vedere accomunati sotto un unico vessillo i pastori del Nuorese e i minatori del Sulcis, i contadini del Logudoro e gli agricoltori del Campidano.
Un evento straordinario che portò, per la prima volta, persone provenienti da villaggi sparsi in ogni parte dell’Isola, a conoscersi, confrontarsi, socializzare tra di loro e a riscoprire sentimenti nazionali e di orgoglio etnico da tempo confinati nei ricordi di un lontano passato.
Antico stemma della SassariLa Brigata fu veramente un pezzo di Sardegna: uomini, codici, valori, trasferita al Fronte. La stessa Lingua sarda divenne di fatto la lingua della Brigata: per esigenze pratiche dovute all’alta percentuale di analfabetismo tra i soldati e per misura precauzionale contro le frequenti intercettazioni da parte del nemico. “Si ses italianu, faedda in sardu” (se sei italiano, parla in sardo), era la frase che accompagnava l’intimazione delle vedette contro i tentativi di infiltrazione da parte del nemico nelle linee tenute dalla Brigata.
Due Medaglie d’Oro al Valor Militare conferite alle Bandiere dei Reggimenti (151° e 152°) e, individualmente, 6 Ordini Militari di Savoia, 9 Medaglie d’Oro, 405 d’Argento, e 551 di Bronzo, rappresentano il più alto tributo di eroismo e di gloria, mai eguagliato da nessun’altra Unità nel corso del Primo Conflitto Mondiale. Le 4 citazioni sul Bollettino del Comando Supremo, ampiamente riportate dalle cronache dell’epoca, imposero la Brigata, e quindi la Sardegna, all’attenzione del Paese che riservò sentimenti di ammirazione e di stima.
L’eccezionale tempra dei soldati, la loro tenacia e lo straordinario valore contribuirono, giorno dopo giorno, a creare il mito della Brigata invincibile della quale tutta la Sardegna andava fiera; tant’è che nell’immaginario collettivo isolano la Grande Guerra viene ricordata come la guerra della “Sassari”.

Antonio Pinna

Nelle foto: stemmi attuale ed antico della “Sassari”.

Caserma “Alberto La Marmora” di Sassari sede Comando Brigata “Sassari”

Biella: 60 uomini della Brigata “Sassari” per inaugurare il monumento che celebra l’Unità dell’Italia

Nuraghe Chervu è innanzitutto un monumento alla Brigata “Sassari”. La scelta di dedicare l’opera alla famosa Unità sarda non è casuale e in armonia con la località che la ospita.
Due giovani soldati di PozzomaggioreRicordare la Brigata “Sassari”, infatti, significa rammentare il contributo e la partecipazione dei Sardi al processo di formazione dell’Italia. Partecipazione che può essere vista sotto diverse angolazioni. Da una parte ricordando che la lotta di unificazione nazionale partì proprio dall’allora Regno di Sardegna, dall’altra (ben più significativa) non dimenticando che proprio dall’Isola, dai suoi abitanti e dalla Brigata “Sassari” fu pagato uno dei prezzi più alti durante la Prima Guerra Mondiale. Un chiamato alle armi ogni otto abitanti, questo è l’apporto che la Sardegna diede per combattere quella che, da molti, è considerata la quarta guerra risorgimentale e cioè l’ultimo atto della travagliata unificazione italiana. E dunque quale migliore modo per ricordare i novant’anni dal termine del Primo Conflitto Mondiale, se non quello di onorare chi pagò con il più alto contributo di sangue?
Oltre 13.000 soldati sardi persero la vita sul campo di battaglia, a questi si aggiungono i 523 Caduti biellesi che l’opera vuole allo stesso modo ricordare, insieme ai 650mila Caduti italiani della Grande Guerra.

Il ruolo di Alberto La Marmora

Tre giovani Sassarini di AbbasantaTra i tanti elementi che legano Biella alla Sardegna e alla Brigata “Sassari” non c’è soltanto il sacrificio compiuto per l’unificazione italiana, ma anche un uomo. Si tratta di Alberto Ferrero Della Marmora, esponente di una delle famiglie “storiche” locali che dedicò buona parte della sua vita allo studio della realtà mineraria sarda oltre che biellese. Non è un caso che sia la punta più alta del Gennargentu, così come tante piazze delle località isolane portino il suo nome.
Anche la Brigata “Sassari”, a cui come detto è dedicato il Monumento, conserva un rapporto molto stretto con lo scienziato biellese vissuto nei primi anni dell’ottocento, come dimostra il nome della sede sassarese del Comando militare, tuttora intitolata proprio al Gen. Alberto La Marmora. Rapporto che il caso ha voluto rafforzare nel 1988, anno della ricostituzione del corpo (sciolto all’indomani dell’8 settembre), ma pure duecentesimo anniversario della nascita del senatore del Regno di Sardegna.
Dedicare il nuraghe alla Brigata “Sassari” vuol dire quindi anche ricordare, come già successo con l’inaugurazione della piazzetta antistante il chiostro di San Sebastiano, un personaggio biellese che tanto ha significato nella storia di Sardegna.

Matteo Floris

Nelle foto: due giovani soldati di Pozzomaggiore e tre giovani “Sassarini” di Abbasanta.

Nel 90° dalla fine della Grande Guerra: la Brigata Sassari a Biella

Sabato 18, a Palazzo La Marmora verrà inaugurata la Mostra storica – festa degli alberi al Parco Fluviale Urbano
Domenica 19 ottobre, intitolazione di Nuraghe Chervu alla Brigata “Sassari”, ai Caduti sardi e ai Caduti biellesi

Sabato 18 e domenica 19 ottobre 2008, ai piedi delle Alpi riecheggerà il grido di battaglia “Forza paris!“, avanti insieme!, scandito dai fanti della Brigata “Sassari” che giungeranno a Biella per l’inaugurazione di Nuraghe Chervu, il monumento dalla forma caratteristica, eretto alle porte della città per ricordare il 90° anniversario della fine della Grande Guerra.
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