S. Messa in ricordo dei caduti di Verrua – I Savoia, da Duchi a Re di Sardegna

Biella, Domenica 10 aprile, Basilica s. Sebastiano, Fucilieri di Su Nuraghe scorta d’onore allo stendardo sardo

Domenica 10 aprile, ore 10.30, in ricordo di tutti coloro che, civili e militari, si immolarono per l’onore e la dignità delle loro bandiere, verrà celebrata una messa di suffragio per le vittime dei fatti d’arme, precursori di quello che fu il Risorgimento italiano.
L’occasione è la 300° ricorrenza dei “Fatti di Verrua” (1704-1705) e l’assedio subito dall’esercito Gallo-Ispano (Franco Spagnolo). La resistenza eroica della Rocca ritardò di quasi un anno quello di Torino. Il 14 ottobre 1704 il Duca di Vendome è sotto le mura di Verrua.
Dal 7 Novembre 1704 al 9 Aprile 1705 Verrua resiste ma poi la fame e la scarsità di mezzi obbligarono il Comandante Von Fresen ad arrendersi.
L’ 8 Agosto 1720 i Savoia divengono Re di Sardegna e i Sardi dimostreranno sempre attaccamento alla Corona.
Tant’è che quando Savoia e Piemonte furono invase da Napoleone e la Sardegna no, l’Isola salvò Corte e Regno.
Un esempio per tutti il Sergente Millelire, comandante di una postazione di vedetta ricacciò in mare per ben tre volte le truppe napoleoniche. In memoria degli epici eventi venne eretta a Torino la Basilica di Superga.
Nel 1847 gli stamenti, bracci del Parlamento sardo, nato nel 1355, chiedono e ottengono la “fusione” della Sardegna con gli Stati di terraferma. Ha così fine il Regnum Sardiniae e nasce il Regno sardopiemontese.
Il 17 marzo 1861, con Legge sarda n. 4671, il Regno Sardo si trasforma in Regno d’Italia (da cui nascerà la Repubblica Italiana). ll 21 Dicembre 1862, in ricordo dei fatti d’arme, con Regio Decreto S.M. il Re Vittorio Emanuele II concede il privilegio di chiamarsi “Verrua Savoia”.
All’epoca, Signore di Verrua era la Famiglia “Scaglia” di Biella.

Un Crocefisso di legno di ginepro e di olivastro ad Oropa: dono dei Sardi

Domenica 1° maggio 2005 la Comunità sarda parteciperà alla processione della Città di Biella
Alle ore 9,30 al Santuario di Oropa, i Fucilieri di Su Nuraghe saluteranno con le salve beneaugurali

Il 25 agosto 2004, don Francesco Pala, parroco di San Teodoro della Diocesi di Tempio, donava, tramite Pier Giuseppe Alvigini di Biella, un Crocefisso scolpito in legno di ginepro e di olivastro, opera dell’artista Claudio Asunis, per essere inserito nel Museo della Madonna di Oropa.
Nella lettera di accompagnamento don Francesco Pala scrive: “Il sapere che un pezzo di San Teodoro è lì vicino alla Madonna è per me e per tutta la Comunità parrocchiale un grande, grandissimo onore, ma soprattutto un segno di fiducia e di speranza”. E continua: “Il Sardo che verrà ad Oropa, dalla Sardegna, da Biella, dal Piemonte o da qualunque parte del mondo, si sentirà sempre onorato e protetto”.
Ben volentieri accettiamo questo dono che resterà esposto per sempre nella Galleria reale del Santuario eusebiano di N.S. di Oropa.
Un nuovo ulteriore segno dei profondi e antichi legami tra le terre di Piemonte e di Sardegna.
Nel prossimo mese di aprile la scultura verrà esposta nell’androne d’ingresso del Circolo Su Nuraghe in via Galileo, 11 a Biella, fino a domenica Primo maggio, poi sarà portata solennemente ad Oropa in occasione dell’annuale pellegrinaggio della Città di Biella, guidato dal Sindaco Barazzotto, in concomitanza con l’apertura ufficiale dei cancelli del Santuario.

Battista Saiu

La “proficua lontananza”: Lao Silesu ed Alberto Ferrero Della Marmora

Sabato 2 aprile ore 21 – Basilica di San Sebastiano – concerto con musiche del compositore sardo

Parigi, 12 agosto 1953. Al cimitero del Pantin viene calata nella fossa una bara ricoperta di gladioli bianchi e rossi, colori di Sardegna. Finiva così l’esistenza del compositore sardo Lao Silesu. Celebre in vita e apprezzato da compositori famosi come Puccini e da cantanti celeberrimi come Caruso; sconosciuto, o quasi, poi.
Nato a Samassi, in provincia di Cagliari, nel 1883, studiò a Milano (1904) e a Parigi, dove visse dal 1927 fino alla morte, salvi brevi periodi in Italia.
Destino comune a molti sardi, d’altronde, quello di potersi esprimere solo fuori dalla propria terra: ma destino comune non solo a noi. Non è la Terra, allora, ad allontanarci da sé: è la vita stessa che ci porta ad andare qui e là, ma che ci consente di essere sempre noi stessi, che è poi quel che conta. Infine, è proprio fuori dalla propria terra che acquista senso il nostro agire che, perché diversi – in quanto provenienti da altrove – acquisisce individualità e, mentre ci slega e ci libera dalla connotazione regionale, celebra proprio l’appartenenza al luogo lasciato dietro di sé.
Il nostro luogo finisce per assumere il rilievo dell’idealità e conferisce lustro al nostro operare in senso assoluto, affrancandolo dalla persona in sé, comunque limitata nel tempo e dall’agire della quotidianità.
È proprio grazie a questo essere diversi, che l’Isola attinge il proprio onore, che fiorisce, va da sé, dove trova terreno per farlo. Quel che conta, dunque, è l’aver fatto e non il dove lo si è fatto. Ma tant’è: sempre Sardi siamo, e sempre Sardegna è.
Così Silesu.
Pianista celebre e celebrato in vita, autore di opere per la tastiera e per la voce, che ne fecero un personaggio di prim’ordine nel mondo parigino degli anni venti e trenta e dell’immediato dopo guerra. Conobbe, oltre a Puccini e a Caruso, anche Maurice Ravel, Gabriele D’Annunzio, Manuel de Falla; frequentò anche personaggi come David Rockfeller, Sandro Pertini, Emilio Lussu e Grazia Deledda.
E, dunque, ben fa la Regione Sardegna a promuovere la riscoperta di un personaggio che ha celebrato la propria terra e che degnamente è un vanto per essa.
Direi che il terreno, quello della emigrazione, è perfetto, perché è della medesima pasta di quello di Silesu: quello della proficua lontananza.
Altrettanto degni di plauso i musicisti – entrambi sassaresi – cui si deve la lodevole intrapresa di ridare vita e chi la vita sarda ha saputo altrettanto degnamente illustrare.
Ad Alberto Ferrero Della Marmora, niente è stato intitolato sul continente: né vie né piazze né altro. E sì che, in vita, aveva ricoperto cariche prestigiose e ricevuto onori che, di solito, contraddistinguono i grandi personaggi.
Non così per i fratelli, Alfonso e Alessandro, la cui memoria è assicurata da parecchie intitolazioni, anche a Biella.
Invece, ad Alberto, nato a Torino il 7 aprile del 1789, tocca quel destino che molti sardi ben sanno: il silenzio. Ma, proprio questo silenzio illustra, strano caso della sorte, la Sardegna. Per vicissitudini che, qui, spazi e tempi non ci consentono, dal 1824 fino alla morte – avvenuta il 18 maggio 1863 – e fino all’ultimo viaggio in Sardegna nel 1851, la sua vita fu dedita all’illustrazione e alla celebrazione della nostra isola: 13 anni, 4 mesi, 17 giorni, secondo il calcolo che lui stesso ne fece.
Ben 50 lavori scientifici testimoniano quelli che, per dirla con le sue stesse parole, furono “anni, mesi di patimenti, di lavoro, di attività“. Di questi vogliamo ricordare solamente i due grandi volumi e l’Atlante, pubblicati nel 1857, col titolo, diretto e immediato, di Voyage en Sardaigne. Opera monumentale e ancor oggi fondamentale, ma che, nella sua patria, il continente, cioè, ha scarsi e disaffezionati riscontri. Silesu e Lamarmora: due vicende speculari, legate, entrambe, a quella dimensione di lontananza, che è proficua proprio perché segna quella distanza che ci sprona a essere quelli che, forse, restati in patria, non avremmo avuto bisogno di essere.
Già, bisogno e necessità, senza i quali l’adagiarsi è condizione corrente e ricorrente, quando non auspicata.
Allora, la strada sul cammino del sé ci porta lontano, forse, nello spazio, ma illumina il presente in cui il nostro acquisito modo di essere si espande, finalmente, è giunge a quello che, sempre, è stato. Semplicemente, mancava la coscienza di sé. La proficua lontananza è tale perché, chi la prova, sperimenta appieno l’esser suo, in una dimensione che gli consente di colmare la distanza, nello spazio, dal luogo di partenza entro uno spazio nuovo che, perché interiore, perché spazio del cuore e della memoria, è bagaglio inseparabile della persona ormai realizzata.
Per la comunità sarda di Biella – ma non solo, è ovvio – la figure di Silesu e di Lamarmora diventano emblematiche di una condizione umana rigenerata e riacquisita. Singolare che proprio da Sardi venga la prima dedica in continente ad Alberto Della Marmora: singolare, ma frutto, infine, della logica interna alle cose. Solo noi, da Biella, potevamo indicare chi, partito proprio da Biella, ha saputo illustrare con tanta dedizione la nostra terra lontana. Monito a trarne esempio per darle lustro sempre maggiore.

Roberto Perinu

Sabato 16 aprile inaugurazione a Biella del “Punto Cagliari”

Sede di rappresentanza, cuore del gemellaggio tra le Province di Cagliari e di Biella
Pièce teatrale appositamente scritta e interpretata da Mirko Cherchi e con canzoni di Massimo Zaccheddu

Martedì 11 novembre 2003 è stato davvero un giorno memorabile.
Tutti i Sardi di Biella uniti a tanti innamorati della Sardegna hanno infatti esultato mentre nel palazzo Vice-regio di Cagliari i presidenti provinciali di Cagliari e di Biella, stringendosi la mano, sancivano ufficialmente il gemellaggio delle due Province.
“Ufficialmente” abbiamo voluto specificare, perché “di fatto” un gemellaggio tra Biella e la Sardegna esiste già da tempo.
Anzi, possiamo tranquillamente affermare che tra il Biellese e la Sardegna esista un legame che va oltre il nostro tempo.
Come raccontano le memorie più antiche di questa terra, uno dei simboli più forti del Biellese, la Sacra Vergine di Oropa, è strettamente legato alla Sardegna. La tradizione vuole infatti Sant’Eusebio da Cagliari profugo nella conca di Oropa intento a costruire il piccolo Sacello in pietra – oggi inserito nella chiesa secentesca – dove nascose la sacra statua che diverrà prima oggetto di venerazione da parte dei pastori locali, poi guida spirituale per tutto il popolo biellese. Una venerazione che ancora oggi, quasi millesettecento anni dopo, permea intimamente la vita di questa regione, come confermato anche dalle ben sette chiese locali dedicate al vescovo sardo portatore del supremo dono.
Insomma, che il sodalizio non si sarebbe inaridito in una semplice scritta sui cartelli stradali, lo sapevamo indubbiamente tutti. Perchè Biella e la Sardegna sono unite da sempre. Perché non bisogna creare un gemellaggio. Già c’è.
Oggi, uno dei fondamenti e fulcri di questa unione è il nostro Circolo Culturale “Su Nuraghe” che da anni studia e documenta l’identità della propria gente parallelamente – e attraverso il confronto – con il mondo che lo ha accolto. Nel Circolo non si realizza, infatti, solo un essenziale punto di ritrovo per Sardi e appassionati della Sardegna. È un centro dinamico dove si fa cultura sarda a tutti i livelli. Dai corsi di lingua e di ballo – per i figli degli immigrati, perché non dimentichino le loro tradizioni – fino all’organizzazione di mostre e convegni di respiro nazionale, con ospiti illustri e pubblicazioni di altissima qualità e interesse. Ecco quindi che, nel primo anniversario del gemellaggio, il Presidente della Provincia di Biella Sergio Scaramal ha incontrato il nostro presidente Battista Saiu per ribadire la volontà di rendere il gemellaggio concreto e fecondo, rafforzando e rinnovando l’antico sodalizio sardo-biellese.
All’interno di questa prospettiva nasce quindi il Punto Cagliari, sede di rappresentanza, cuore dell’unione tra le due Province, nucleo di promozione culturale che verrà inaugurato il 16 aprile 2005, presso alcuni locali completamente e appositamente ristrutturati dal Circolo con la collaborazione delle Province di Cagliari e di Biella e della Fondazione Cassa di Risparmio.
All’interno del Punto Cagliari sarà possibile informarsi su tutte le località della Sardegna, anche le più piccole e sconosciute e forse per questo più affascinanti. Diventando un vero e proprio modello di struttura per la promozione culturale a cui seguirà una iniziativa “gemella” a Cagliari dove si darà impulso alla conoscenza del territorio biellese. Per l’inaugurazione è stata preparata una pièce teatrale che sarà presentata nei saloni della biblioteca di Su Nuraghe, scritta e interpretata dall’autore ed attore Mirko Cerchi con musiche e canzoni di Massimo Zaccheddu. Seguiranno le attività istituzionali che vedranno l’incontro tra il presidente Balletto e le delegazioni da Cagliari, accolte da quelle biellesi guidate dal Presidente Scaramal.

Matteo Grotto

Programma:
Ore 21 inaugurazione
Ore 21,30 “La valigia”, Pièce teatrale di Mirko Cherchi musiche e canzoni di Massimo Zaccheddu

Corso di teatro a Su Nuraghe

20 settimane di lezioni a partire da giovedì 13 gennaio 2005
“A chi appartengono questi sentimenti? A voi o al personaggio?”

Il teatro, quando è emozione che coinvolge, quando è parte della vita culturale, quando vi sono gli strumenti perché possa essere realizzato con un certo criterio, diventa nutrimento sociale. È un momento collettivo che tocca tutti, da chi mette in piedi uno spettacolo, a chi lo guarda, è occasione di crescita e di riflessione.
Dai pensieri più intimi di un singolo individuo, ai suoi rapporti privati e sociali, fino ai grandi momenti storici che ci coinvolgono e hanno coinvolto le generazioni passate, l’uomo ha la capacità di guardare se stesso e giudicarsi. Lo fa attraverso quest’obiettivo dalle infinite lunghezze focali capace di trasformarsi in microscopio per vedere/scoprire ogni angolo della coscienza (penso ai monologhi di Eduardo alla fine delle sue commedie come analisi finale sulla meschinità della “piccola gente”, sull’ipocrisia, sulla paura del giudizio altrui, su come l’esteriorità spesso nasconda verità opposte alle apparenze; penso a Pirandello e al gioco delle maschere, al senso e la gusto della vita che scorre e non si lascia assaporare dall’uomo dal fiore in bocca) per poi diventare telescopio e raggiungere e ridimensionare le grandi questioni sia contemporanee che storiche (Adamov ne “La primavera ’71” racconta la rivolta operaia che diede vita alla Comune di Parigi nel 1871, Brecht ragiona con la forza disperata dell’ironia sul dramma della seconda guerra ne “La resistibile ascesa di Arturo Ui” e in “Svejk nella seconda guerra mondiale”).
Attraverso la descrizione/rappresentazione di una data realtà, siamo chiamati a mettere in evidenza la complessa struttura di cause/effetto che porta una nicchia della collettività ad essere così com’è. L’esempio lampante è quello del “teatro delle diversità“. Il teatro nelle carceri, nelle comunità per anziani, disabili, portatori di handicap, ma anche in ospedali, scuole ecc., è medicina, è formazione.
James Dean ha detto: “Il compito dell’attore è quello di interpretare la vita“. Il teatro è rivolto ed è di tutti poiché esso è la rap/presentazione della vita ed, essendo la vita la sorgente energetica di cui più concretamente disponiamo, nella sua “reale” raffigurazione. Che non può esistere passività lo possiamo capire dall’etimo stesso della parola. Teatro deriva dal greco “guardare”. Intendo questo “guardare” come un’azione positivamente attiva, come propensione alla ricerca, all’analisi e alla critica. Gli attori si guardano dentro e attorno, analizzano, ricercano. Il pubblico guarda l’esito di questa ricerca, l’analizza, la critica, può condividerla o meno con l’applauso, con il silenzio o allontanandosi dalla sala prima ancora della fine dello spettacolo. Questo non è possibile con la televisione, con il cinema o con un articolo di giornale.
In questi casi il pubblico può al massimo cambiare canale o smettere di leggere, ma questo non impedirà la diffusione del messaggio, né ne modificherà in alcun modo i contenuti.
In teatro le sensazioni che vibrano in scena vengono trasmesse ad un pubblico che reagisce e rimanda le sue impressioni in direzione del palco modificando inevitabilmente il comportamento di chi recita.
È uno scambio vivo e immediato. Nessun’altra forma letteraria è così terrena. Non solo, leggendo un testo teatrale, possiamo immaginare i personaggi di una trama, ma abbiamo la possibilità di agire come loro. Gli attori “raccolgono” parole, gesti, umori ben delineati presenti nel copione e se li “appiccicano” addosso modificando, dimenticando, la propria persona, trasformandosi in un altro essere. Costui sarà talmente autonomo nelle sue caratteristiche interiori ed esteriori, che potrà persino permettersi di abbandonare a tratti un testo prescritto o non usarlo mai. Scrive Tonino Conte, autore e regista, nel suo “Facciamo insieme teatro“, scritto a quattro mani con Emanuele Luzzati, indubbiamente uno dei più grandi scenografi del nostro tempo: “Il teatro è qualcosa di particolare che solo in se stesso trova la sua ragion d’essere: riesce infatti a esprimersi pienamente anche senza l’ossatura di un testo letterario vero e proprio“. Fare teatro è mettersi in gioco in prima persona, usare il proprio corpo, tirar fuori le proprie emozioni e le proprie esperienze in modo costruttivo… alla faccia di chi sostiene che il teatro è pura finzione. Il corso che quest’anno porto al circolo, oltre a dare un’infarinatura generale su alcune tecniche attorali, avrà un occhio di riguardo per il cabaret. Il comico, partendo dal quotidiano, filtra la realtà e la distorce come più gli pare, in totale libertà. Questo sfogo/ribellione contro l’appiattimento delle regole e delle consuetudini, diventa gioco e attraverso di esso, momento di apprendimento dell’arte teatrale.

Mirko Cherchi